FOCUS ITALIA 1di2: recenti dati e statistiche che devono far riflettere.
Oggi con questo nuovo articolo, vorrei accendere un focus sull'Italia.
A livello mercati finanziari, forse ne sei già al corrente, il nostro paese è una sorta di formica rispetto al resto del mondo, pesa infatti meno dell'1% (lo 0,91 per la precisione) tra tutte le borse mondiali.
Ma si tratta ovviamente sempre del nostro paese, qui viviamo ed è giusto avere delle nozioni per poter fare ognuno il proprio personale punto della situazione e affrontare così, se possibile, meglio e con maggiori conoscenze e competenze il futuro.
In questi ultime mesi ho raccolto risultati di statistiche e articoli di giornale che, con piacere, intendo condividere qui di seguito.
ITALIANI, OTTIMI RISPARMIATORI MA PESSIMI INVESTITORI
Da sempre noi italiani siamo dei gran risparmiatori.
Facciamo importanti sacrifici per mettere da parte del denaro che poi, molto spesso, non facciamo crescere.
Lavoriamo quindi per il denaro, senza però fare in modo che il denaro stesso lavori per noi.
In base al recente Global Investor Study 2019 di Schroders, I risparmiatori italiani oggi, sempre più spesso, si accollano rischi troppo alti nel tentativo di recuperare qualche decimo di punto in più.
In questa frenesia da rendimento spesso sbagliano i tempi (il timing) di entrata o uscita da questo o quel prodotto finanziario, e cambiano, più spesso e più velocemente dei cugini europei, le loro strategie di investimento restando in molti casi
spiazzati dai saliscendi dei listini.
Ad esempio, a fine 2018 il 64% degli italiani intervistati ha apportato cambiamenti al profilo di rischio dei propri investimenti, in seguito all'instabilità e al crollo dei mercati, per poi trovarsi in difficoltà davanti alla forte ripresa del 2019.
Inoltre, altra cosa sbagliata, gli investitori italiani stanno avendo sempre più un approccio di breve termine nei loro investimenti, cambiando la loro asset allocation in media ogni 2,2 anni.
Dallo studio emerge ancora che gli investitori italiani si attendono in media un rendimento totale (crescita + dividendi o cedole) dell'8% annuo nel prossimo quinquennio dai loro investimenti finanziari.
Irrealistico ottimismo dovuto a una scarsa conoscenza del contesto di mercato.
Quando invece, ritengo, il sapere e l'informazione ci rendono più consapevoli e liberi in ogni ambito, compreso ovviamente quello della gestione del denaro.
Nonostante questo, gli italiani si dimostrano insicuri.
Ne è prova anche l'enorme liquidità parcheggiata sui conti correnti nel nostro paese (a fine Marzo è stato infranto il muro dei 1.500 miliardi di €, non molto distante dalla ricchezza prodotta ogni anno in Italia).
Questa trappola della liquidità porta a non costruire basi solide su cui edificare il futuro, sacrificandolo, di conseguenza, in nome del presente, poiché il denaro è accantonato e non investito in modo proficuo.
Una montagna di liquidità molte volte considerata spia della scarsa capacità di pianificazione finanziaria, di una malintesa prudenza e di una disaffezione nei confronti dell'industria finanziaria che rischia, anche se a volte comprensibile e giustificata,
di trasformarsi in un boomerang.
Il tutto termometro anche della preoccupazione dei risparmiatori di casa nostra rispetto alle notizie sulla salute dell'economia nazionale, con le oscillazioni dello spread sempre in prima pagina sui giornali.
Se guardiamo infatti agli ultimi 15 anni, la ricchezza finanziaria degli italiani è cresciuta molto meno rispetto a quella degli altri europei, che magari hanno anche risparmiato meno, ma di sicuro investito molto meglio.
Secondo infatti una recente ricerca Allianz, 100 € investiti da un italiano nel 2003 sarebbero diventati 124 nel 2017 (24% di rendimento a 15 anni).
Con gli stessi 100 € iniziali, un finlandese avrebbe ottenuto 221 € a fine periodo (+121%), un tedesco avrebbe mediamente ottenuto un rendimento del 71%, mentre uno spagnolo del 72%.
Stare liquidi ha quindi poco senso!
Occorrono nervi saldi e un orizzonte possibilmente di lungo periodo negli investimenti, senza inseguire i movimenti di breve dei mercati.
Secondo un recente sondaggio, il 12% della ricchezza finanziaria delle famiglie del nostro paese è collocata in fondi comuni di investimento che investono in asset (titoli) quotati nei mercati finanziari.
In queste soluzioni di investimento va solamente il 5% della ricchezza delle famiglie francesi e inglesi, e l'11% di quelle tedesche.
Questo primato fa però da contraltare alla ricchezza italiana investita in fondi previdenziali e assicurazioni sulla vita.
In questo siamo purtroppo all'ultimo posto, con una quota pari al 23%, contro oltre il 30 di Francia e Germania, e il 55% di Inghilterra.
Il cammino è ancora lungo nel ridurre le distanze tra Italia ed Europa rispetto all'attenzione verso i fondi previdenziali e i prodotti vita.
Guardando poi alle fasce d'età, ci si accorge che i risparmiatori più giovani, forse anche perché privi di possibilità economiche, sembrano snobbare questa tipologia di soluzioni di investimento.
Solo il 7% degli individui di età compresa tra i 26 e i 35 anni ha infatti in portafoglio un fondo comune.
L'età media dei sottoscrittori di fondi comuni di investimento è infatti pari a 60 anni.
La quota degli investitori più anziani (oltre i 75 anni) è balzata dal 9 al 19% in pochi anni.
Evidente conseguenza dell'invecchiamento della popolazione e della difficoltà dei giovani di accumulare e investire risparmi.
Oltre al gap generazionale, resta ancora una forte concentrazione territoriale della domanda di Fondi solo nel Nord Italia, dove si colloca il 65% dei sottoscrittori.
In alcune regioni, Liguria e Veneto ad esempio, si registra una decisa contrazione della domanda anche per effetto delle crisi bancarie.
I clienti infatti di Carige, Veneto Banca e Popolare di Vicenza hanno solo in parte riposizionato i loro risparmi in fondi offerti da altre banche o intermediari presenti nel territorio.
E' piuttosto evidente, il risparmiatore italiano ha perso fiducia proprio tra crisi bancarie, andamento altalenante dei mercati e poca crescita del paese.
Oggi l'investitore è indeciso e preferisce temporeggiare lasciando ricchezza sul conto corrente.
La maggior parte dei sottoscrittori sottoscrive inoltre i fondi attraverso il canale bancario (95%) che molto spesso opera in forma di vendita, mentre la quota residuale si è affidata alle reti di consulenti finanziari, probabilmente più competenti in
materia e attivi in ambito consulenziale.
LUDOPATIA vs PREVIDENZA INTEGRATIVA
18,6 miliardi di € è la spesa degli italiani in giochi legali nel 2018 (104,8 miliardi di raccolta da parte dello Stato - 86,2 miliardi di vincite).
Una perdita irrimediabile e senza appello.
16,3 miliardi invece i risparmi accantonati in Fondi Pensione nello stesso anno.
Un risparmio che nel tempo punta a incrementarsi grazie all'andamento dei mercati finanziari (+3,7% medio annuo nell'ultimo decennio; +3,1% nell'ultimo ventennio).
Da una parte quindi la scelta di chi si sottrae liquidità nell'immediato in vista di esigenze future, dall'altra invece il culto del calcolo delle probabilità e l'azzardo di sperare di risolvere i problemi grazie alla fortuna.
La ludopatia è una dinamica che si è diffusa davvero in maniera impressionante a partire dalla crisi di dieci anni fa, tanto che si calcola che dal 2006 le somme giocate annualmente dagli italiani siano cresciute del 200% (il dato ammontava all'epoca
a 35 miliardi di €).
IL MATTONE E LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE
La ricchezza delle famiglie italiane poggia ancora sul mattone.
Le case infatti, per noi italiani, esprimono valori culturali e simbolici che vanno oltre quelli monetari.
Nessun altro paese destina agli immobili una così alta fetta di patrimonio, nonostante sia considerato in generale uno degli asset finanziari più illiquidi sul mercato.
Questo essere proprio un bene illiquido nei portafogli delle famiglie è percepito come un non-argomento sino a quando non ci si confronta con la necessità di vendere l'immobile.
Diversamente è considerato "patrimonio" e quindi "ricchezza", anche se, sempre più frequentemente la percezione di valore del proprietario è sensibilmente diversa rispetto alla realtà di mercato.
Oltre il 76% delle famiglie italiane possiede l'abitazione in cui vive, quota che aumenta con l'avanzare dell'età se si pensa che tra gli over 65 la percentuale sale all'83%.
Il 26% dei risparmiatori più anziani è proprietario poi anche di altri immobili.
In Francia sono proprietari della loro abitazione solo il 65% dei francesi, e in Germania il 52% dei tedeschi.
Per molti si tratta di una ricchezza, soprattutto psicologica, che tuttavia non sempre si traduce in una ricchezza economica.
L'offerta immobiliare in Italia, in particolare di abitazioni, è tre volte superiore alla domanda, in un contesto in cui i prezzi continuano a scendere (-20% dal 2011).
Il nostro, escluse poche città, è l'unico paese europeo in cui i prezzi delle case sono ai minimi storici.
Secondo una recente indagine di Banca d'Italia, sono 520 mila gli immobili proprietà di privati oggi invenduti.
Il mattone resta debole e per oltre mezzo milione di famiglie mantenere (anche fiscalmente) un'abitazione inutilizzata è un grosso cruccio.
Eppure la percezione riguardo il mattone è ai massimi dal 2011 e in costante ascesa.
Quasi il 69% degli italiani ritiene infatti si tratti di un investimento sicuro, e solamente il 15% dei proprietari è disponibile a vendere casa per vivere meglio.
Un'incongruenza tutta italiana che si prova a scalfire da tempo, con gran fatica.
Un'altra parte considerevole è poi conservata in depositi, per un tipico atteggiamento da formichine che non sembra passare di moda.
Istat e Banca d'Italia hanno firmato assieme un rapporto che stima in quasi 10 miliardi la ricchezza delle famiglie al netto dei debiti (926 miliardi le passività, per un rosso molto meno profondo rispetto a quello che si osserva in altri paesi).
Le case, come detto, fanno la parte del leone assorbendo quasi la metà della ricchezza (il 49% per 5.246 miliardi di euro), con una quota comunque in calo negli ultimi anni (prima del 2012 era pari al 54%).
Insieme ai terreni, le attività cosiddette "reali" rappresentano il 59% della ricchezza netta complessiva (6.295 miliardi).
Il restante 41% (4.374 miliardi di euro) è rappresentato dalle attività finanziarie.
L'incidenza di azioni, titoli e depositi bancari è in costante aumento ma ancora inferiore rispetto alle altre grandi economie internazionali.
Come detto, rispetto al passato, si è esteso il ruolo dei depositi dove finisce il 13% della ricchezza (era il 10% nel 2005), a scapito di azioni (in discesa dal 12 al 10%) e titoli (dall'8 al 13%).
Si preferisce tenere fermi i risparmi in attesa di tempi migliori per un atteggiamento conservativo che risente anche probabilmente del ristagno ventennale dei redditi delle famiglie.
Di fronte allo stallo delle entrate, al blocco dei guadagni, la ricchezza accumulata (principalmente in abitazioni) risulta extra large e pari a 8,4 volte il reddito disponibile.
Questo non accade in nessuna delle altre realtà contemplate da Istat e Bankitalia, dagli USA alla Francia.
Guardando alle imprese invece, quelle italiane sono tra quelle meno indebitate al mondo.
PIAZZA AFFARI: UN OCCHIO AL MERCATO FINANZIARIO DI CASA
Nonostante un'economia tra le più zoppicanti del vecchio continente, Piazza Affari da inizio anno è uno dei migliori listini azionari al mondo.
Milano in questi mesi ha fatto meglio di molte altre borse, grazie soprattutto ai titoli finanziari che da sempre incidono molto all'interno di borsa italiana.
Ma se allarghiamo lo sguardo rimane ancora ben distante dai massimi del 2007.
Una performance positiva in questo 2019 imputabile in gran parte alla favorevole congiuntura internazionale (ritorno delle banche centrali ad atteggiamenti molto morbidi per contrastare il rallentamento economico globale).
Guardando alla stagione dei dividendi poi, quella conclusa a metà maggio è stata ricca di soddisfazioni.
Il monte dividendi, ossia la somma degli utili aziendali distribuiti ai soci e non reinvestiti nell'attività di impresa, nel 2019 si è aggirato intorno ai 23 miliardi di €, segnando un aumento del 7% rispetto ai 21,5 del 2018.
Una buona notizia che si aggiunge a quella che annovera Piazza Affari come la migliore borsa europea da inizio anno.
Ovviamente il rendimento del dividendo non può essere il solo metro da utilizzare per definire la bontà di un investimento.
Il dividendo va considerato come un valore aggiunto per un investimento di lungo periodo, non certo come un'occasione speculativa, in quanto misura la capacità di una società di ripagare nel tempo la fiducia concessa dai propri azionisti.
Del resto, l'investimento nelle azioni di un'azienda dovrebbe proprio essere dettato dalla capacità della stessa azienda di ripagare gli investitori attraverso gli utili in x anni di tempo.
Anni ben rappresentati dal rapporto prezzo/utili (in inglese price/earnings o p/e) che misura appunto in quanti anni il mercato si aspetta che l'investitore recuperi quanto investito grazie ai dividendi distribuiti.
I mercati poi tendenzialmente tendono scontare con qualche tempo di anticipo nel valore del titolo l'importo del dividendo stesso.
Anche nel 2019 le aziende quotate si sono dimostrate generose con gli azionisti, visto che il rendimento medio generale del dividendo è stato del 3% agli attuali prezzi di borsa.
Il 3,6%, in particolare, quello del Ftse MIB, l'indice composto dalle 40 più importanti aziende quotate per capitalizzazione di mercato (prezzo del titolo x il numero delle azioni in circolazione della società).
Un valore, quello generale, che secondo gli analisti salirà al 3,3% nel corso del 2020.
Per effetto delle politiche iperespansive della Banca Centrale europea, in seguito all'annullamento del rendimento privo di rischio (il Bund decennale tedesco rende zero), vi è una totale assenza di vere alternative alle azioni in ambito obbligazionario.
Oggi, ad esempio, il BTP decennale rende l'1,61%.
Anche per questo non stupisce il grande interesse di molti risparmiatori per i dividendi offerti dai titoli azionari.
Regina dei dividendi, anche grazie alla straordinaria cessione di Magneti Marelli ai giapponesi di Calsonic Kansei, per l'anno 2019 è stata FCA, con un dividend yield pari circa al 13%.
Al netto delle operazioni straordinarie, il dividendo più corposo è stato quello di Azimut, pari all'8,8% se paragonato al prezzo del titolo.
Ben anche Intesa Sanpaolo con un ottimo 8,4%.
Tutte distribuzioni di valore veramente importanti agli azionisti.
IL NOSTRO PAESE SEMBRA ESSERE PIU' OTTIMISTA
La recentissima 9° edizione dell'indagine sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani, di Intesa Sanpaolo e del Centro Luigi Einaudi, ci consegna la fotografia di un paese più ottimista.
E come diceva giustamente il poeta e sceneggiatore romagnolo Tonino Guerra in un famoso spot ... L'ottimismo è il profumo della vita!
Da 10 anni a questa parte non era mai accaduto che 1 milione e 300 mila famiglie rientrassero nel ceto medio o vi arrivassero per la prima volta.
Tornano poi ad aumentare gli italiani "formica" rispetto ai "cicala", un bel segnale per il paese che da sempre fonda la sua solidità sul risparmio.
Sembrano infatti crescere le persone che si sentono a proprio agio e quelle che appunto risparmiano (52%), superando invece il 48% che non lo fa.
La percentuale di reddito risparmiata raggiunge nel 2019 il massimo storico al 12,6% (era del 9% nel 2011).
In vetta alla classifica i risparmiatori del Nord-Est, seguiti da quelli del Centro Italia.
Tra gli intervistati, l'ambizione per la casa è il motivo principale del risparmio intenzionale nel 41,3% dei casi, viene poi l'istruzione dei figli nel 21,5%.
Meno sentita invece la necessità di risparmiare in vista della vecchiaia.
CONCLUSIONI PERSONALI
In definitiva, la cura dei propri risparmi è oggi un passaggio sempre più necessario.
Occorre dedicare un pò del nostro tempo a questo, il risparmio merita più rispetto!
La finanza conta e dentro alle varie decisioni finanziarie ci sono i nostri sogni e i nostri timori, ci sono i progetti per il futuro nostro e dei nostri figli, ci sono le speranze per il nostro domani.
Le nostre scelte finanziarie, dalla più piccola alla più grande, contano e il risparmio è di fatto un pò come la salute: va curata quando ce l'hai e occorre prevenire i problemi per non doversene poi pentire.
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