L'Europa è un continente di risparmiatori, ma il sistema di mercato europeo dei capitali è frammentato e fa sì che questi risparmi non vengano indirizzati nei settori e nei luoghi più opportuni.
Questo problema è particolarmente acuto in Italia.
Di ricchezza, in gran parte derivante dai lasciti delle precedenti generazioni, ce n'è ancora.
Ma in termini reali cresce meno di prima , è mal distribuita, e ancor peggio investita.
Analizziamo insieme i numeri di questo fenomeno, e scopriamo assieme come si potrebbe migliorare.
Secondo i dati di Banca d'Italia, appena l'11,5% degli 11.500 miliardi di € di ricchezza delle famiglie italiane è investito in azioni, più un altro 6% in quote di fondi comuni.
Questo capitale di rischio finanzia per lo più grandi aziende americane quotate in Borsa.
Parallelamente è aumentata molto la quota di risparmi attratta dai Btp, assorbiti dunque dal nostro debito pubblico.
Questa è una buona notizia per le casse dello Stato, valida forse in parte ad evitare possibili "tempeste" sul Paese, ma una scelta poco utile alla crescita, dato che tanto risparmio affluisce dentro un universo stagnante e disorganizzato come
quello della pubblica amministrazione.
Sarebbe allora sufficiente che solo una piccola parte dei 1.760 miliardi di € lasciati nei conti correnti dalle famiglie, affluisse verso settori che davvero ne hanno bisogno.
Ma questo, purtroppo, non accade.
Gli italiani preferiscono mantenersi liquidi perché "non si sa mai...", o incrementare investimenti a bassa produttività e ad alta percezione diffusa di "rendita facile", come il caro vecchio mattone e il già menzionato debito pubblico.
Un fenomeno preoccupante e recente, del quale non abbiamo ancora piena consapevolezza, è che a forza di dirci che siamo un popolo di formiche, senza accorgercene stiamo smettendo di esserlo.
In altri termini, complice anche l'inflazione, facciamo mediamente molta più fatica a risparmiare rispetto al passato.
Non ci credi?
Diamo un occhio ai numeri.
Nel 2002 il tasso di risparmio in Italia era intorno al 15%.
Per tasso di risparmio si intende il risparmio lordo delle famiglie diviso per il reddito disponibile lordo.
Questo valore ha subito una flessione con la crisi finanziaria del 2011, scendendo poi ancora con la pandemia sotto al 9%.
Il risparmio é poi esploso con i vari lockdown del Covid, arrivando a superare il 20%.
Tuttavia la pandemia, la crisi energetica e la ripresa dell'inflazione, ci hanno messo a dura prova e non ci stiamo più riallineando con il resto d'Europa.
Ci siamo infatti stabilizzati su un tasso di risparmio del 7-8%, pari alla metà della media europea (14%), di molto inferiore rispetto ai livelli dei francesi e degli spagnoli.
Fortunatamente le passività finanziarie rimangono ancora molto contenute, e, se ci si indebita, è essenzialmente per comprare una casa, il che significa avere un debito nel passivo del proprio bilancio familiare, ma anche un asset nel proprio attivo.
Ma quali sono le vere radici del problema?
Sul lungo periodo il risparmio è determinato dalla produttività e dalla demografia di un paese.
Due fattori che non giocano a nostro favore.
Il risparmio si accumula infatti prevalentemente nella fase in cui si lavora (e guadagna) di più, fra i 35 e i 55 anni circa, poi si passa al decumulo in prossimità della pensione, con minori guadagni e maggiori spese.
Più giovani nel pieno delle forze ci sono in un paese, più le famiglie riescono a mettere soldi da parte alla fine del mese; più sono gli anziani, più accade il contrario e i risparmi vengono consumati.
Il nostro è il paese più anziano d'Europa.
Per quanto riguarda la produttività, cioè la capacità di generare reddito in un'ora di lavoro, la nostra storia è ormai nota: dal 1980 abbiamo perso il 40% di produttività rispetto agli Stati Uniti, il 20% rispetto a Francia e Germania.
E meno reddito si produce in un tempo dato, meno si guadagna in media, meno soldi restano da mettere da parte.
La tendenza a risparmiare sempre di meno in Italia è allora strutturale, e tale rimarrà se non cambieremo radicalmente il nostro approccio.
Se i nuovi flussi di risparmio diverranno cosa sempre più rara, anche lo stock di risparmio esistente è destinato ad erodersi, finché continueremo a bloccarlo in immobili che si deprezzano, in conti deposito che rendono pochissimo, in troppi
titoli di Stato, e in troppo poco capitale di rischio in imprese (anche italiane) che crescono veramente generando valore per tutta la collettività.
È necessario allora un radicale cambiamento di visione.
Dobbiamo imparare a pensare in modo strategico e lungimirante, anziché stolido e miope.
Imparare a canalizzare il nostro risparmio e i nostri capitali verso settori produttivi e imprese che sanno crescere e innovare, è la chiave per rivitalizzare il nostro futuro e quello delle nuove generazioni.
Tutto ciò, invece, non avviene investendo in criptovalute (le detengono 3,6 milioni di italiani) e in orologi di lusso (siamo il terzo mercato europeo per vendita dopo Svizzera e Regno Unito), che hanno impatto zero sul reale motore economico del paese.
Il mio invito è allora quello di riflettere su questi dati, prendendo in considerazione una gestione più proattiva del proprio risparmio e dei propri capitali.
Io, come sempre, ci sono.