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www.davideberto.it2024-10-11
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    E' piuttosto normale chiedersi, nell'attuale epoca di ChatGpt, se l'andamento delle Borse sia effettivamente legato ai fondamentali delle aziende e alla congiuntura economica internazionale, oppure, invece, alla tecnologia che gestisce l'operatività di compravendita nei mercati.
    Sì, perché a far crescere e scendere i listini non sono solo i dati economici, e sui mercati globali sempre più l'algoritmo e i vecchi principi sono diventati quasi complementari.

    Chi determina allora realmente i rendimenti dei nostri risparmi?
    I profitti aziendali, l'andamento del Pil, le Banche centrali, o la tecnologia che lavora in un nano secondo sulle variazioni delle quotazioni?

    L'andamento dell'economia è ovviamente determinante, ma altri fattori sono diventati ormai fondamentali.
    E' possibile, a mio avviso, sintetizzarla in questo modo: sicuramente sul lungo periodo vincono la solidità e la redditività, ma nell'immediato comanda la speculazione.
    C'è un esercito di algoritmi che lavora giorno e notte per analizzare enormi volumi di dati e di notizie, e impostare, di conseguenza, il trading.
    L'andamento dei titoli, nel breve periodo, è di conseguenza sempre più esposto a variabili tecnologiche.
    Il risparmiatore, per forza di cose, deve abituarsi a queste dinamiche.
    Non deve farsi prendere dal panico, e affidarsi possibilmente ad esperti consulenti.

    Ti auguro una piacevole lettura.
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    1 - COME BERE UN BICCHIERE D'ACQUA

    Nei giorni scorsi mi è capitato di leggere che il risparmio medio, in Italia, si attesta intorno al 12-13% del reddito disponibile.
    All'interno di questo dato c'è ovviamente chi risparmia di più, chi risparmia di meno, e chi non risparmia affatto.
    Leggendo questo, mi è venuto allora in mente quanto valore abbia la forza di una buona abitudine.
    Prima di ogni altra cosa.

    Spesso, in ambito finanziario, siamo totalmente concentrati nella ricerca del miglior prodotto.
    Nella ricerca della migliore strategia.
    Nella ricerca del miglior momento.
    Attenzione, tutto legittimo.
    Eppure, credo che la questione sia un'altra: spesso fa più figo fare le cose difficili che quelle facili.
    Cos'ha più valore: suggerire a una persona un raffinato strumento finanziario analizzato e studiato nei minimi particolari, o un comportamento sistematico che preveda di accantonare e far lavorare una determinata quota di ciò che non spende?

    Per lo strumento ben radiografato vale la pena avere (e pagare di conseguenza) un consulente, non di certo per sentirmi dire che devo risparmiare di più, o che quel risparmio lo devo spostare dal conto corrente per metterlo da qualche altra parte...
    Una cosa che si sa già, e che non richiede di certo la testa di un premio Nobel per metterla in pratica.
    Peccato che, quella cosa lì, alla fine quasi nessuno la fa!

    Quasi nessuno ha idea di cosa significhi, a parità di risparmio mensile e di rendimento atteso, tenerselo in conto o spostarlo altrove quel risparmio.
    Quasi nessuno ha idea di cosa cambi, nel lungo periodo, mettere da parte e far lavorare 100 € in più o in meno al mese, quando magari quell'importo non sposta di una virgola il proprio tenore di vita.
    Quasi nessuno ha idea di cosa voglia dire accantonare in un certo investimento sottostante, piuttosto che in un altro, quando si ha davanti un orizzonte temporale verosimilmente importante.
    Quasi nessuno fa tutto questo, perché quasi nessuno sa (o ricorda) l'importanza di questi semplici comportamenti.
    Ripeto: semplici.
    Semplici come bere un bicchiere d'acqua.

    Il valore, allora, della semplicità.
    Il valore delle buone abitudini.
    Il valore di soffermarsi su azioni spesso trascurate, talvolta addirittura derise e ritenute insignificanti.
    Azioni, invece, che possono cambiare la vita, se viste nella giusta prospettiva.
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    2 - PARADOSSO INPS

    Andare oggi in pensione, se si è dipendenti pubblici, significa doversi armare di pazienza ed attendere (anche non poco!) per poter godere del proprio TFS, il trattamento di fine servizio che rappresenta l'equivalente del più noto e tradizionale TFR.
    Per tutti i lavoratori pubblici assunti ante 01.01.2001, non esiste infatti il TFR, ma solo questa indennità economica non di stampo previdenziale.

    Una beffa, per questi statali di lunga data, è rappresentata dal metodo di calcolo del TFS.
    Mentre il TFR riconosce, grossomodo, una mensilità per ogni anno di lavoro, il TFS viene invece calcolato sull'80% dell'ultima retribuzione, moltiplicata per gli anni di servizio. 
    Il TFR (se lasciato in azienda o all'INPS) gode inoltre di una rivalutazione annua collegata all'andamento dell'inflazione, cosa invece non prevista nel caso del TFS.
    Per fare un esempio pratico, il dipendente pubblico che dovesse soltanto terminare la propria carriera lavorativa in part-time, si vedrebbe decurtato pesantemente l'importo riconosciuto come liquidazione, perché non gli viene tenuto conto, in alcun modo, del suo storico lavorativo.
    Allo stesso modo, un dipendente pubblico potrebbe trascorrere tutta la sua vita lavorando part-time, per passare poi al full-time solo negli ultimi 12 mesi, così da assicurarsi un cospicuo tesoretto di fine rapporto, non certo proporzionato alla carriera effettivamente lavorata.
    Un bel paradosso, non trovi?

    Oltre a ciò, gli statali devono attendere almeno 12 mesi prima di vedersi riconosciuto il TFS di spettanza.
    Mesi che salgono a 24 se la cessazione del lavoro è causata da licenziamento o dimissioni.
    Inoltre, per i "quota 100" il termine di pagamento decorre da quando il lavoratore ha raggiunto i requisiti per la pensione ordinaria: si può dunque aspettare fino a 5 anni.

    Per venire incontro alle esigenze dei pensionandi, con una delibera dello scorso Novembre l'INPS ha deciso di sperimentare per 3 anni l'anticipo del TFS.
    Ma, ulteriore beffa, il servizio è a pagamento. 
    Lo statale che volesse infatti ricevere subito la propria liquidazione dovrà pagare un tasso d'interesse dell'1%, più una ritenuta dello 0,50% per le spese.
    Un vero e proprio paradosso quello di dover pagare per ricevere i propri soldi! 
    C'è stato comunque un miglioramento rispetto al passato, quando l'unico modo per avere un anticipo sul TFS era quello di ottenere un prestito agevolato dalle banche, in base a un accordo stipulato tra INPS e ABI (Associazione Bancaria Italiana) sulle condizioni. 
    Si pagava un tasso di interesse indicizzato al rendimento dei titoli di Stato con durata analoga al finanziamento, maggiorato dello 0,40%.
    Il che andava anche bene, se vogliamo, fino a un anno fa quando i tassi erano a zero o poco più.
    Ma, con i rialzi degli ultimi 12 mesi, il rendimento medio è salito oltre il 3,5%, il che vuol dire che il pensionato pubblico avrebbe dovuto pagare interessi attorno al 4%. 

    Essere dei dipendenti pubblici, sotto certi aspetti, può trasmettere allora una certa tranquillità e sicurezza, ma non è tutto oro ciò che luccica.
    Questo sistema fatto di rinvii e lunghe attese, dovrebbe, ancora una volta, farci riflettere su quanto siano scarse le risorse economiche di cui l'INPS (e più in generale tutto l'apparato pubblico) dispone, visto che si aggrappa ad ogni espediente pur di poter rimandare gli esborsi dovuti e giustamente spettanti a chi, dopo una vita di lavoro, se ne va in pensione.
    Che tu sia allora dipendente pubblico o privato, imprenditore o libero professionista, la regola rimane una sola: pensa per tempo alla tua pensione, costruendoti da solo una rendita integrativa per la tua terza età.
    Lo Stato non perde infatti occasione per dimostrare le sue fragilità e le sue difficoltà.
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    3 - UN FENOMENO DI RILIEVO

    8 miliardi di €.
    A tanto ammontavano (dati dei bilanci 2021) i risparmi di oltre un milione di italiani, raccolti e custoditi dalle 7 maggiori cooperative di consumo del nostro paese.

    Nonostante nell'ultimo decennio i prestatori siano diminuiti del 10% e i prestiti addirittura del 28% (-3,2 miliardi), i libretti Coop costituiscono ancora un fenomeno di rilievo, anche perché i risparmi in custodia superano il patrimonio stesso delle Coop (si attesta a 6,1 miliardi complessivi), e sembrano la naturale contropartita degli 8,7 miliardi di attività finanziarie iscritte nei loro bilanci.
    Di queste, 2,6 miliardi sono partecipazioni, per circa l'80% rappresentate da azioni Unipol, che consentono alle 5 maggiori Coop italiane (Alleanza 3.0, Nova Coop, Coop Liguria, Coop Lombardia e Unicoop Tirreno) di costituire il nucleo di controllo, come maggiori azionisti, dell'importante gruppo assicurativo.

    La finanza, fatta con i soldi dei soci, rende per le Coop più del supermercato.
    I proventi delle attività finanziarie fanno infatti affluire 160 milioni di € nelle loro casse, in grado di assorbire il risultato negativo della gestione caratteristica commerciale, che nel 2021 risultava in perdita per 89 milioni.

    Il prestito dai soci rappresenta allora un'importante forma di autofinanziamento, complementare all'intermediazione bancaria.
    Le Coop, un pò banche e un pò gestori del risparmio dei soci, le regole se le sono date da sole, seguendo una loro asset allocation con ampi margini di manovra, che le ha condotte a detenere investimenti di natura più speculativa che funzionale al perseguimento del loro scopo di base, quello mutualistico.
    Le cooperative sarebbero infatti tenute a impiegare le somme raccolte dai soci in operazioni strettamente funzionali al perseguimento dell'oggetto o scopo sociale.

    Il tasso riconosciuto ai depositanti sui libretti può essere anche allettante (arriva in alcuni casi al 3% in caso di "denaro fresco" vincolato per più anni), é però importante ricordare che non esistono prestiti sociali sicuri.
    Prima di aprire un libretto in una Coop sarebbe infatti opportuno informarsi sul suo andamento gestionale e sulla sua situazione patrimoniale e finanziaria, perché l'unica garanzia di restituzione delle somme depositate è rappresentata proprio dalla solidità patrimoniale della Coop stessa.
    I libretti in questione non beneficiano infatti della garanzia sui depositi fino ai 100.000 €, come accade per chi deposita in un conto corrente bancario il proprio denaro.
    Bisogna poi essere consapevoli del fatto che anche il settore della grande distribuzione (Gdo), per quanto solido, non è certo immune da rischi, e nel "Rapporto Coop 2022" si parla di incognite importanti con il 2022 (e forse ancor di più il 2023) che potrebbe essere l'anno più difficile nella storia del settore in Italia. 

    Aprire un libretto in una cooperativa significa diventarne soci.
    Soci in ogni aspetto, nel bene e nel male.
    E decidere a chi affidare i propri risparmi, a mio modesto avviso, non può e non deve essere fatto con leggerezza.
    Tra uno scaffale di pasta e uno di sacchetti di biscotti...
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    4 - UNO, DIECI, CENTO TESTAMENTI...

    Tutti sanno, bene o male, cosa sia un testamento.
    Ci sono però alcune sfaccettature da tenere bene a mente qualora si vogliano mettere per iscritto le proprie ultime volontà.

    Non tutti, ad esempio, sono al corrente che il testamento non è mai definitivo e può essere sostituito anche in punto di morte.
    Il testatore può revocare infatti l'intero testamento, o parti di esso.
    A valere è l'ultimo scritto in ordine di tempo.
    Chi scrive il proprio testamento, è ben libero di scriverne un altro che regoli la successione di beni non indicati nel primo, magari anche perché ne è divenuto proprietario soltanto successivamente.

    Esistono tre modi per modificare il testamento:
    - la revoca espressa, dichiarando cioè di voler togliere ogni validità al precedente scritto;
    - la revoca tacita, scrivendo cioè un testamento successivo incompatibile con il precedente;
    - la revoca legale, per sopravvenienza di figli.
    Quest'ultima non dipende dalla volontà del testatore, ma è automatica nell'ipotesi in cui una persona, dopo aver fatto testamento, diventi padre, e tale circostanza non gli era nota all'atto della redazione delle sue ultime volontà.

    La forma più semplice per redigere un testamento è la forma olografa
    Non è necessaria la presenza di un notaio e nemmeno di testimoni: è sufficiente che il testatore rediga le sue volontà scrivendole per intero, datandole e sottoscrivendole di proprio pugno. 
    Attenzione però! 
    E' vietato utilizzare moduli prestampati o redatti al computer, mentre c'è il via libera a qualsivoglia supporto cartaceo, di qualsiasi qualità, dimensione e colore.

    E' importante infine ricordare che ogni persona è libera di scrivere le proprie ultime volontà e destinare come meglio crede i propri beni, ma se vengono lese le quote di legittima, previste dalla legge, il testamento potrà essere impugnato dai legittimi eredi, e fatto decadere.
    Un padre di famiglia, ad esempio, può disporre il lascito di tutti i propri averi alla moglie, ma i figli potrebbero decidere di non rispettare la volontà paterna e intentare una causa affinché vengano rispettate le quote di legge, che prevedono la destinazione di una percentuale del patrimonio del defunto anche ai figli stessi.
    Non è detto che ciò accada, ma è bene sapere che può accadere.
    Le norme vigenti, infatti, tutelano fortemente gli eredi diretti (coniuge e figli) ed anche la famiglia di origine (genitori, fratelli), qualora il defunto, ancorché sposato, non abbia avuto discendenti.
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    5 - UN PASSO NELLA STORIA: IL PANICO DEL 1825

    Nella mia 7in7 di Venerdì 10 Marzo, ti ho raccontato la storia del fantomatico ed esotico Regno di Poyais, inventato di sana pianta dal colonnello scozzese Gregor MacGregor per spillare soldi ai ricchi europei in cerca di facili guadagni.
    Parliamo di oltre 200 anni fa, ma le truffe finanziarie già esistevano, e non erano poi così tanto diverse da quelle attuali.

    Il comportamento spregiudicato e truffaldino di MacGregor, oltre a far perdere soldi a chi gli diede fiducia, scatenò una serie di reazioni a catena, incluso un crollo del mercato azionario noto come "Panico del 1825".
    L'origine di questa vicenda risale però, in realtà, a qualche anno prima.
    Ripercorriamo allora assieme le fasi di questa importante crisi economico-finanziaria nata in Inghilterra, che colpì anche l'Europa continentale, l'America Latina e gli Stati Uniti.  

    Dal 1820, molte banche inglesi iniziarono ad emettere banconote approfittando dell'arrivo di metalli preziosi dall'America Latina, dove l'impero spagnolo si era appena sciolto.
    L'Inghilterra stava uscendo da una lunga e profonda crisi monetaria (1792-1815), caratterizzata da un'inflazione significativa, da una carestia monetaria, e da un notevole aumento del debito pubblico, a causa anche delle numerose guerre combattute, anche contemporaneamente.
    Nell'Aprile del 1822, il parlamento autorizzò perfino la Banca d'Inghilterra e le banche regionali a emettere banconote dal valore inferiore alle 5 sterline.
    L'Inghilterra conobbe così 4 anni di euforica espansione monetaria, e azionaria di conseguenza.
    Per capire la portata di quanto accadde, pensa che nel 1824 la Borsa di Londra contava 156 società quotate, per una capitalizzazione complessiva di 48 milioni di sterline.  
    Ebbene, nei 12 mesi successivi furono sviluppati prospetti di emissioni azionarie da parte di 625 nuove società, con l'obiettivo di raccogliere ben 372 milioni di sterline.
    Si trattava di intense speculazioni su tutti gli investimenti latino americani (banche, assicurazioni, cantieri navali, costruzione di canali...), dopo l'indipendenza che seguì la disgregazione dell'impero spagnolo.
    Parte della comunità finanziaria britannica iniziò allora a preoccuparsi per l'esagerato invio di capitali, e per la fondazione di troppe nuove società quotate in borsa, ma non fu ascoltata.
    Queste iniziative finanziarie si tradussero allora in una rapida bolla dei prezzi, con le azioni delle miniere anglo-messicane, fondate appena ad Agosto del 1824, che triplicarono il loro valore tra Dicembre 1824 e Gennaio 1825, anche se l'auspicato quintuplicamento delle estrazioni minerarie richiese in realtà 4 anni per diventare operativo.

    La primavera del 1825 fu poi segnata da una crisi del cotone e dal fallimento della London Bank.
    Quando la notizia di un calo dei prezzi di vendita globali si diffuse ad altri settori, la domanda di azioni e obbligazioni rallentò, e i tassi d'interesse salirono.
    La crisi di fiducia era ormai innescata, e i risparmiatori impauriti iniziarono a voler convertire nuovamente le loro banconote in oro.
    Tra Ottobre e Febbraio, ben 59 banche inglesi rischiarono il fallimento.
    Mentre, tra il 12 e il 13 Dicembre 1825 le transazioni finanziarie furono paralizzate e il prezzo delle azioni sudamericane crollò alla Borsa di Londra.
    Solo un afflusso di riserve auree dalla Banca di Francia salvò la Banca d'Inghilterra dal completo collasso.
    A Londra vennero comunque chiuse 6 banche, ed altre 60 seguirono la loro stessa sorte in tutto il Paese.
    Molte delle banche rimaste in piedi si ritrovarono comunque in difficoltà agli inizi del 1826, incapaci di continuare ad erogare credito.
    Questo portò anche 3.300 aziende britanniche a fallire tra il 1825 ed il 1826.
    Anche la Francia subì pesanti conseguenze, con l'industria tessile in grave difficoltà a causa della scarsità di punti vendita, determinata dai numerosi fallimenti aziendali.
    Si innescò così una potente deflazione, con i prezzi in calo di oltre l'11%.
    La deflazione fu aggravata dalla carenza di mezzi di pagamento: gran parte delle banconote era costituita da piccoli tagli che il pubblico non voleva più e i commercianti ancor meno. 

    Le economie industriali hanno ciclicamente subito crisi finanziarie, seguite da una forte disoccupazione.
    Questi episodi sono negativi per tutte le parti chiamate in causa: per i lavoratori che perdono il posto di lavoro, per gli imprenditori e gli azionisti che perdono i loro profitti e forse anche le loro aziende, per i governi che perdono i proventi fiscali, e per i detentori di titoli che subiscono le conseguenze della bancarotta.
    Abbiamo avuto circa due secoli per capire come gestire queste crisi, ma sembra che la lezione non sia ancora stata imparata del tutto.
    Così come non abbiamo ancora imparato a tenere a bada l'umana ingordigia, e tenerci alla larga dalle truffe finanziarie...
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    6 - RUBRICA: LA PSICOLOGIA DEI SOLDI (IL MARGINE DI ERRORE)

    Torna oggi l'appuntamento con l'esplorazione del libro "La psicologia dei Soldi" di Morgan Housel.
    Siamo giunti al capitolo numero 13, il cui titolo è "Il margine di errore - La parte più importante di ogni piano è sapere cosa fare se il piano va a rotoli".

    Secondo Morgan Housel, alcuni dei migliori esempi di comportamento finanziario intelligente si possono trovare in un luogo improbabile oltre che impensabile: i casinò di Las Vegas.
    Qui, un piccolo gruppo di giocatori di blackjack che pratica il conteggio delle carte, può insegnare alle persone normali qualcosa di molto importante sulla gestione del denaro: l'importanza di lasciare sempre un margine di errore.
    Un giocatore che conta le carte sa che sta praticando un gioco di probabilità.
    Non di certezze.
    C'è sempre una probabilità di errore.
    Serve allora umiltà: scommettere troppo anche quando le probabilità sembrano totalmente a nostro favore, può portarci a perdere così tanto da non poter più rimanere in gioco.
    E' necessario allora farsi trovare pronti, lasciarsi un margine di errore e sapere cosa fare nel caso in cui i nostri piani non vadano, come previsto, in porto.

    La storia è lastricata di buone idee spinte però troppo oltre, fino a diventare indistinguibili dalle cattive idee.
    Lasciare spazio all'errore è saggio.
    Significa riconoscere che l'incertezza e il caso, l'ignoto, sono una parte ineliminabile della vita
    Avere un margine di sicurezza (o, appunto, di errore) è l'unico modo efficace per muoversi nel mondo del denaro, un mondo governato dalle probabilità e non tanto dalle certezze.
    Lo diceva anche il grande investitore Benjamin Graham: "il mondo non va visto in bianco e nero, come l'alternativa tra un futuro prevedibile e un salto, invece, nel buio".
    E' intelligente muoversi nell'area grigia, aprendosi a un ventaglio di possibili esiti, ed esservi ragionevolmente preparati.
    Ma si sa, l'esperto che enuncia certezze incrollabili otterrà molti più seguaci di quello che dice: "Non possiamo saperlo con sicurezza"...

    In ambito finanziario, i più alti guadagni arrivano di rado, perché non accadono spesso o perché richiedono tempo per accumularsi.
    Così, la persona che imposta la sua strategia di investimento lasciandosi un ragionevole margine di sicurezza (ovvero della liquidità), potrà meglio tollerare le difficoltà cicliche che interverranno dal lato degli investimenti.
    Si crea così un vantaggio rispetto a chi, invece, va all-in, perché, in questo ultimo caso, quando si sbaglia si perde tutto: game over, inserisci un'altra moneta.

    Bill Gates lo sapeva bene.
    Quando Microsoft era un'azienda giovane, ha adottato un approccio estremamente prudente, "volevo avere i soldi in banca a sufficienza per pagare gli stipendi di un anno, anche se non mi fossero arrivati pagamenti".
    Warren Buffet ha espresso un'idea simile quando, nel 2008, ha detto agli azionisti della sua Berkshire Hathaway "ho promesso a voi, alle agenzie di rating e a me stesso, di gestire sempre Berkshire con una liquidità più che sufficiente. Se sono costretto a scegliere non scambierò neanche una notte di sonno sereno con la possibilità di extra profitti".

    La domanda da porsi allora è: posso sopravvivere se i miei investimenti perdono il 30%?
    Sulla carta forse anche sì, ma mentalmente? 
    Diversi investitori si sono ritirati dopo una perdita perché esausti.
    Fisicamente esausti.
    Un foglio excel è bravo a dirti quando i conti tornano e quando no.
    Ma non è bravo a dirti come ti sentirai quando metterai a letto i bambini la sera, e ti chiederai se le tue decisioni sbagliate stanno rubando loro il futuro.
     
    La soluzione però c'è ed è semplice: usa il margine di errore nella stima dei rendimenti futuri.
    Ipotizza, cioè, che i rendimenti ottenibili siano inferiori di 1/3 rispetto alla loro media storica.
    In questo modo si è portati a risparmiare di più, 1/3 in più, creando così un cuscinetto di liquidità che basterà a farti dormire sereno la notte.
    E se invece il futuro, in termini di rendimenti, dovesse somigliare al passato...rimarrai piacevolmente sorpreso.
    Citando Charlie Munger: "Il miglior modo per raggiungere la felicità è puntare in basso".
    Proprio ciò che bisognerebbe fare è amare il rischio, ma essere completamente avversi alla rovina.
    Per fare strada, in generale, è necessario correre dei rischi, ma non vale mai la pena rischiare tutto.
    Una persona che ha perso la casa nel 2009, non ha potuto trarre vantaggio dalla riduzione dei tassi sui mutui nel 2010.
    Lehman Brothers non ha potuto investire a buon mercato nel 2009 perché aveva già chiuso bottega.
    Bisogna allora assicurarsi di restare in piedi abbastanza a lungo, affinché i rischi che ho scelto di correre diano i loro frutti.
    C'è poco da fare, per avere successo bisogna anzitutto essere vivi!

    Il problema è che possiamo prevedere molti rischi, tranne quelli che non ci vengono in mente perché troppo assurdi.
    E sono proprio questi eventi assurdi a poter essere i più dannosi, perché si verificano più spesso di quanto immaginiamo, e perché non siamo preparati ad affrontarli.
    Non ci si può preparare a dei territori inesplorati, ma una buona regola generale in molti aspetti della vita è che tutto ciò che può rompersi, prima o poi, si romperà.
    Venendo al lato pratico, il punto di vulnerabilità più grave, per quanto riguarda i soldi, è fare affidamento soltanto su una busta paga per rispondere alle esigenze di spesa a breve termine, senza avere un cuscinetto di risparmi da parte che creino uno scarto tra le spese previste e quelle, in futuro, possibili.

    E' importante ricordare, infine, che non serve un motivo specifico per risparmiare.
    E' giusto farlo per una macchina, una casa, la pensione ... ma è altrettanto importante farlo per le cose che non possiamo prevedere e neppure comprendere.
    Premunirsi finanziariamente solo per i rischi noti non ci dà un margine di sicurezza sufficiente per sopravvivere nel mondo reale.
    Ecco allora perché la parte più importante di ogni piano è sapere cosa fare quando le cose non vanno secondo i piani.

    Anche per questa 7in7 con Morgan Housel è tutto.
    Appuntamento al prossimo 2 Giugno, con il capitolo numero 14 dedicato alle difficoltà della pianificazione di lungo periodo.
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    7 - ACCELERATA ALLA CRESCITA ED ALLA MENTALITA': IL CASO VENETA CUCINE

    Investire in un fondo di Private Equity significa entrare nel capitale di aziende non quotate in Borsa, diventandone così, di fatto, soci.
    Aziende che, è bene ricordarlo, rappresentano la stragrande maggioranza del tessuto produttivo di un paese.
    Nelle mie scorse 7in7, ti ho già parlato dei casi Dainese e Golden Goose, brand e imprese molto importanti, cresciute molto anche grazie alla spinta di capitali privati.
    Altri esempi, in tal senso, ce ne possono essere tanti, ed oggi voglio raccontarti di un'altra importante azienda veneta partecipata da un fondo di Private Equity: Veneta Cucine, azienda di proprietà della famiglia Archiutti (ne controlla il 51% attraverso la sua holding), che dallo scorso mese di Novembre può vantare l'ingresso, per il 30% del suo capitale, di un socio molto importante rappresentato dal fondo Nb Aurora.

    Nel board decisionale dell'azienda trevigiana siedono infatti ora in 7: 3 membri della famiglia, 2 manager del fondo, l'attuale amministratore delegato e l'ex CEO.
    "Avere nell'azionariato un fondo di Private Equity permette di dare una forte accelerata alla crescita, ma anche alla mentalità" ha recentemente dichiarato la famiglia Archiutti.
    L'azienda, con 5 stabilimenti produttivi tutti in terra veneta, produce cucine su misura e dichiara una quota di mercato dell'8% all'interno di un settore molto frammentato.
    I ricavi consolidati sono stati pari a 339 milioni per il 2022 (+19% rispetto al 2021 e +56% rispetto al 2020), per un margine operativo lordo di quasi 27 milioni nel 2020 e 30 nel 2021.
    Veneta Cucine, diventata nel 2019-2020 la prima azienda italiana produttrice di cucine, punta tantissimo sui suoi negozi monomarca: sono aumentati del 43% (da 161 a 230) dal 2017 al 2022, mentre i dipendenti addirittura del 69% (da 486 a 639).
    Lato monomarca, l'obiettivo è quello di aprirne 100 in Francia entro il 2025.
    Il 70% dei ricavi aziendali viene attualmente dall'Italia, ma l'internazionalizzazione è assolutamente in corso con la Francia primo mercato estero, e con Cina e Stati Uniti in forte rafforzamento.
    Chiaro, dietro la crescita non possono non esserci importanti investimenti: 70 milioni in tecnologia e impianti negli ultimi 3 anni, e altri 70 previsti nel corso dei prossimi 4 anni.

    Veneta Cucine è un classico esempio delle medie imprese del made in Italy in grado di crescere nonostante le difficoltà.
    Investire in un fondo di Private Equity significa allora prendere parte alla crescita di importanti aziende, imprese in grado di generare valore per gli azionisti, ma anche (e soprattutto) per il territorio in cui operano.
    Contattami per maggiori informazioni in merito alle soluzioni di Private Equity proposte e partecipate dal Gruppo Azimut, che, alla data di oggi, sono state in grado di sostenere ed aiutare ben 400 imprese italiane nel loro percorso di crescita e sviluppo.
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    Concludo questa mia 7in7 invitandoti a seguire i miei canali social professionali: Facebook, Instagram, LinkedIn e YouTube.
    Sempre attivi e ricchi di notizie e spunti economico-finanziari.
    Appuntamento a Venerdì 19 Maggio con la mia prossima newsletter.

    Ti auguro un sereno fine settimana.
    Un caro saluto.

    Davide