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www.davideberto.it2024-10-11
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    Qual'è la vera lezione che va tratta dai recenti crac di Silicon Valley Bank e di Credit Suisse?

    1. Le regole e la vigilanza contano.
    Regole leggere e vigilanza leggera possono fare disastri nel settore finanziario.
    L'amministrazione Trump aveva deciso di allentare le regole sulle banche di minori dimensioni (come SVB)...

    2. Il buon management conta.
    Le banche sono imprese come tutte le altre e, a prescindere da regole e vigilanza, il management fa la differenza nel bene e nel male, orientando una banca al successo o alla crisi.

    3. Il consolidamento conta.
    SVB è una banca regionale, relativamente piccola nel contesto americano.
    Credit Suisse è, al contrario, una banca grande, e la sua crisi è stata risolta con un'operazione di consolidamento che darà ad UBS la spinta ad una crescita ulteriore.

    Non potevo non parlare in questa mia 7in7 dei recenti casi, tra loro concomitanti ma privi di qualsiasi connessione, di Silicon Valley Bank e di Credit Suisse...
    Ho cercato allora di spiegarti, nel modo più semplice possibile, quanto accaduto a queste due banche.
    Ma non perderti la semplice, ma allo stesso tempo splendida, storia di Thelma Pearl Howard, ed il capitolo 12 degli libro "La Psicologia dei Soldi".

    Ti auguro una piacevole lettura.
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    1 - RICORDI ANCORA IL DIALOGO TRA ALICE E LO STREGATTO?

    Non so se ancora ricordi il racconto di "Alice nel paese delle meraviglie", ma, ad un certo punto, Alice incontra in un bosco il gatto del Cheshire, uno strano animale ai più noto con il nome di Stregatto.
    Il loro colloquio è illuminante:
    Alice: "Stregatto, potresti dirmi per favore quale strada devo prendere per uscire da qui?"
    Stregatto: "Tutto dipende da dove vuoi andare Alice..."
    Alice: "Non mi importa molto..."
    Stregatto: "Allora, in questo caso, non importa quale strada sceglierai..."
    Il loro colloquio prosegue, ma il gatto non offre mai ad Alice una soluzione ovvia: le risponde infatti in maniera criptica, misteriosa e volutamente ironica, gettando in confusione la giovane ragazza per farla, possibilmente, ragionare.

    Questo breve estratto riporta una situazione quotidiana e comune a tutti: fare delle scelte.
    Spesso il fare delle scelte può generare, come per Alice, ansia e il conseguente rischio di rimanere bloccati.
    Lo Stregatto resta vago nelle sue risposte, e rimanda ad Alice la responsabilità della scelta, suggerendole che lei ha dentro di sé la capacità di prendere la decisione che le serve.
    Ciò che conta è l'esperienza personale e gli obiettivi, "tutto dipende da dove vuoi andare Alice...".
    Avere chiaro in mente un obiettivo, prima di compiere una scelta, anche di tipo finanziario, può incidere molto sulla qualità della decisione.
    Al contrario, non chiarire a se stessi i propri obiettivi, come mostra lo Stregatto, rischierebbe di rendere superflua la scelta stessa, facendo perdere importanza e significato alle decisioni.

    Oggi provo allora a mettermi io nei panni dello Stregatto, e dare così risposta alle due domande che più spesso mi sento fare:
    "E' il momento giusto per investire?", e "dov'è il caso di andare ad investire?".
    La risposta che sempre mi ritrovo a dare, un pò come lo Stregatto, è "dipende dove vuoi andare!...".
    A differenza di Alice, spero però tu sappia dove vuoi andare.

    Il tuo è un obiettivo di breve periodo?
    Oggi, finalmente, ci sono soluzioni d'investimento valide ed utili anche per il breve periodo, con conti deposito e titoli obbligazionari a corte scadenze, tornati a ritorni nominali (non purtroppo reali, vista e considerata l'attuale inflazione) positivi.

    Il tuo è invece un obiettivo di più medio-lungo termine?
    E' possibile allora optare per un portafoglio incentrato in titoli obbligazionari di più medio-lungo periodo a rendimenti più elevati, e azioni che sono solitamente una scelta vincente nel medio-lungo termine.
    Ca va sans dire che qualsiasi investimento comporta il dover sopportare delle oscillazioni del capitale, oscillazioni che, se non sono in grado di sopportare, nemmeno mi dovrebbero avvicinare ai mercati finanziari.
    Ne approfitto per ricordarti, ancora una volta, che le oscillazioni sono una naturale caratteristica dei mercati stessi, non certo un loro difetto.
    Sostenere e sopportare quel rischio, è il prezzo da pagare senza il quale non si avrebbe alcuna ricompensa.
    Siamo sostanzialmente ad un bivio: rimanere nella propria comfort zone e continuare a tenere i propri risparmi in conto corrente, gravati però da un'inflazione prossima al 10%, oppure prendere atto della nuova normalità e agire, possibilmente al meglio e con l'aiuto di un (bravo) Consulente Finanziario, di conseguenza.
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    2 - IL CASO SVB

    Nessuno onestamente ne avvertiva la mancanza...
    Se solo pensiamo agli ultimi 3 anni, dopo pandemia, guerra, crisi energetica e impennata inflazionistica, avremmo tutti fatto volentieri a meno di ulteriori fattori di disturbo buoni a risvegliare la volatilità dei mercati e l'emotività degli investitori.
    E invece, prima il fallimento di Silicon Valley Bank oltreoceano, e poi la vicenda Credit Suisse poco lontana da noi, hanno scatenato nuovi timori e funesti presagi che, per molti (troppi) improvvisati commentatori, richiamano la grande crisi finanziaria di 15 anni fa.
    Esordisco subito con una rassicurazione: ci sono molte evidenze che ci raccontano la grande differenza fra quanto sta accadendo oggi e quanto accaduto ai tempi della crisi del 2008, soprattutto perché oggi questi istituti bancari si sono messi nei guai da soli, e non ci sono coinvolgimenti del sistema bancario nel suo complesso.
    Detto questo, la carne al fuoco è tanta.
    Cercherò di spiegarti al meglio quanto accaduto, partendo dal caso di Silicon Valley Bank (SVB).

    SVB era la 16° banca per capitalizzazione negli States, con attivi pari a 210 miliardi di $ e una storia di 40 anni alle spalle.
    Il clamore che ha circondato il suo fallimento è quindi giustificato, essendo il più illustre default dai tempi di Lehman Brothers, anche se era comunque una banca "regionale" e con un core business particolare, rivolto prevalentemente alle start-up, aziende innovatrici della Silicon Valley.
    Rivolgersi a questo target di clienti comporta oneri e onori: le start-up sono aziende in fase embrionale, economicamente instabili, patrimonialmente deboli e finanziariamente vulnerabili, sensibilmente esposte alle fasi del ciclo economico.
    Nel contesto di ripresa che ha caratterizzato il 2021, SVB ha comunque incrementato dell'85% la propria raccolta, passando da 102 a 189 miliardi di depositi.
    A questo punto, il management della banca, invece di aprire i rubinetti del credito e puntare così alla generazione di profitti grazie alla differenza tra i tassi d'interesse della raccolta (depositi) e quelli degli impieghi (crediti e finanziamenti), ha deciso di investire una quota significativa di questa liquidità in titoli di Stato americani a lunga scadenza, alla ricerca di rendimenti che, al tempo, non si trovavano sulle scadenze più brevi.
    Parliamo di ben il 57% degli attivi di bilancio della banca destinati a questa scelta, contro il 24% medio delle altre banche americane.
    Un'esposizione eccessiva.
    Il problema è sorto a causa di un mix micidiale scaturito da due questioni: da un lato c'è stato il rialzo dei tassi d'interesse operato dalla banca centrale americana, che ha penalizzato pesantemente il valore dei titoli in cui SVB aveva investito, dall'altro lato sono emerse le difficoltà di molte start-up che, a causa di scarsi afflussi di capitali, hanno dovuto attingere alle proprie risorse depositate in SVB.

    Il resto è storia recente: di fronte a 1,8 miliardi di perdite realizzate in seguito all'avverso andamento dei mercati finanziari, SVB ha annunciato un aumento di capitale di 2,25 miliardi di $ non andato però a buon fine.
    Le voci sul precario stato di salute della banca hanno così iniziato a circolare con insistenza, portando i clienti al "bank run", la corsa agli sportelli con prelievi massici per 42 miliardi di depositi.
    Un'onda alla quale la banca non ha saputo far fronte, diventando di fatto insolvente.

    Di fronte a simili fallimenti di istituzioni bancarie, l'opinione pubblica giustamente si indigna chiamando in causa la latitanza dei controlli da parte di chi avrebbe dovuto vigilare.
    Va detto però che la normativa americana, in tal senso, è molto meno stringente rispetto a quella europea: SVB non era sottoposta alla vigilanza ordinaria, in quanto si collocava sotto la soglia di capitalizzazione prevista dalle leggi statunitensi.
    Beneficiava quindi di regole più morbide, lasche e permissive rispetto ai colossi finanziari di Wall Street.
    Certo, almeno i risk manager della banca avrebbe potuto e dovuto muoversi con maggiore diligenza, invece la protezione dal rischio di aumento dei tassi era stata addirittura abbassata, con lo scopo di tagliare i costi, e non di poco: nel 2021 a questa voce erano stati destinati quasi 11 miliardi di dollari, nel 2022 solo 550 milioni. 
    Ecco quindi che il fallimento di SVB è specifico, e non causato da problemi dell'intero sistema.

    Quando si verificano episodi di insolvenza bancaria, la prudenza è sempre d'obbligo.
    Ma, in questo caso, si può affermare che il rischio contagio è al momento molto basso, e tanto deve bastare per convincere gli investitori ad allontanare quella spirale emotiva che, come un canto di sirena, sembra attrarre e ipnotizzare ogni volta che qualche cattiva notizia irrompe sulla scena.
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    3 - UNA CONCENTRAZIONE DI POTERE SENZA PRECEDENTI

    Nemmeno il tempo di metabolizzare la notizia del fallimento di Silicon Valley Bank, che subito le attenzioni degli investitori sono state attirate dal crollo di Credit Suisse, seconda banca svizzera, il cui nome aveva sempre richiamato a un'idea di stabilità, solidità e ricchezza.
    E invece...

    In una sola seduta di borsa, quella di Mercoledì 15 Marzo, la banca elvetica ha lasciato sul campo il 25% del suo valore.
    Oltre a tutte le perdite fatte registrare negli anni scorsi.
    Perché il de profundis di Credit Suisse non è tema di oggi, ma è iniziato molti anni fa.
    La banca ha infatti dalla sua una storia di caos interno e di scandali che non ne hanno fatto di certo un modello da seguire: dal 2011 ha effettuato ben 7 ristrutturazioni, e l'ottava poteva farne uno "spezzatino" dividendola in più realtà pur di salvare il salvabile.
    Ma così non è stato, ed UBS è stata "spinta" ad acquistarla nel corso del week-end successivo per 3 miliardi di franchi svizzeri.
    4,5 miliardi in meno rispetto al valore di borsa di Venerdì 17 Marzo, ultimo giorno di quotazione prima dell'operazione.
    Un intervento che è stato una vera e propria "forzatura" delle autorità svizzere, se si pensa che la fusione è stata decisa senza neanche passare dal voto di approvazione (o meno) delle assemblee degli azionisti delle due banche.
    Le perdite per gli azionisti sono state, ovviamente, ingenti.
    Pensa infatti che il titolo azionario di Credit Suisse ha perso il 90% del suo valore negli ultimi 5 anni.
    Nel 2008 la banca capitalizzava addirittura 70 miliardi di euro!
    Il destino di Credit Suisse non è stato minato da un problema di liquidità, come invece accaduto alla Silicon Valley Bank.
    Dietro la sua debacle ci sono questioni specifiche, ombre del passato che nulla hanno a che vedere con la salute, in generale, del sistema bancario.
    La strada verso il baratro e la credibilità dell'istituto erano da tempo segnate.

    La Svizzera si ritrova ora con una mega-banca, i cui attivi varranno il doppio del prodotto lordo del paese, mentre i patrimoni in gestione cubano addirittura 6 volte l'economia nazionale.
    Senza contare che la quota di mercato della nuova entità nella Confederazione sarà pari a 2/3 dell'intero settore delle banche significative.
    Chi comanderà ora realmente nel paese?
    Il governo o il nuovo amministratore delegato (Sergio Ermotti) di Ubs?
    La nuova entità esordirà con 120mila dipendenti, e a vigilare su di essa, oltre che sulle altre 240 banche svizzere, sarà un'autorità con poco più di 500 dipendenti, portieri e custodi inclusi.
    Benché questo nuovo colosso sia comunque destinato a dimagrire, sarà ugualmente troppo grande per il paese in cui avrà sede e gran parte del business: troppo grande per poter fallire, ma anche troppo grande per poter essere eventualmente salvato, com'è successo a Credit Suisse, giunti a queste dimensioni.
    Nessuna autorità antitrust di un paese democratico avrebbe mai accettato il formarsi di un potere finanziario ed economico di queste proporzioni nelle mani di una sola impresa. 
    Non in condizioni normali, almeno.
    Ma senza un accordo come quello di metà Marzo, Credit Suisse avrebbe rischiato di prendere la strada di Silicon Valley Bank o di Lehman Brothers, e le ricadute sarebbero state incalcolabili. 

    Solo a fusione ultimata si capirà bene la portata di una tale concentrazione di potere, che non ha precedenti nella storia.
    Questa nuova realtà bancaria porta allora la finanza svizzera dentro ad un nuovo capitolo della sua storia secolare.
    Certo, senza però aver risolto molti dei problemi che l'hanno condotta fino a qui.
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    4 - DESTINATA A SCIVOLARE IN BASSO

    Se parliamo di welfare e sussidi per le famiglie, l'Italia è uno dei paesi europei che investe meno di tutti, destinando a questo obiettivo soltanto l'1,4% del Pil.
    Meglio solo di Portogallo e Spagna (1,2 e 1,3% rispettivamente).
    Mentre Lussemburgo, Estonia e Finlandia (3,4, 3,2 e 2,8%) viaggiano a più del doppio rispetto a noi, ma anche Grecia (1,8%), Francia (2,7%) e Germania (2,4%) si danno decisamente più da fare.

    Questa scarsa attenzione alle politiche familiari si riflette inevitabilmente sui trend demografici e, soprattutto in prospettiva, ha significative ricadute economiche.
    Destinare poche risorse alle famiglie, significa infatti influire automaticamente sulla natalità, perché la mancanza di supporto impedisce alle coppie di allargare la famiglia e crescere così i cittadini di domani.
    Il tasso di fertilità, da noi, è così pari a sole 1,24 nascite medie per donna nel 2020, e risulta in continuo calo.
    In Germania è 1,53, in Francia 1,79, ed entrambi i paesi hanno registrato negli ultimi anni un aumento della popolazione residente.
    Da noi, al contrario, si contavano 58,9 milioni di persone nel 2022, contro i 59,2 milioni del 2021. 
    Stiamo, in sostanza, decidendo di non contare nulla economicamente nel corso dei prossimi anni.
    I 390mila nuovi nati all'anno non sono sufficienti per evitarci di "scomparire": dovremmo arrivare almeno a 500mila nascite entro una decina d'anni, perchè quei figli sono coloro che pagheranno un domani le nostre pensioni, ma non solo.

    Continuando così l'Italia è destinata a scivolare in basso anche nella classifica della ricchezza: le proiezioni ci vedono infatti passare dall'attuale ottavo posto in termini di Pil, fino al sedicesimo nel 2050 e al venticinquesimo entro il 2100, mentre Germania e Francia si manterranno in alto, tra la quinta e la settima posizione.
    E' infatti vero che la nostra spesa sociale è in continuo aumento, ma ne utilizziamo la maggior parte per pagare le pensioni invece che per le famiglie.
    E' un dato preoccupante, ed è necessario darsi da fare affinché non crolli tutto il sistema: dalle pensioni stesse, alla sanità, al welfare, finanche allo stesso Pil.
    Le famiglie hanno bisogno di sostegno concreto ed equità fiscale, con un sistema di tassazione che tenga conto del reddito ma anche dei carichi familiari.
    Un sistema integrato, in cui la famiglia sia parte del tessuto sociale, senza costringere le coppie a fare i salti mortali (sia fisici, che economici) per conciliare lavoro e gestione dei figli.

    La questione demografica è inevitabilmente una questione economica: una parte del Pil dev'essere destinata in maniera strutturale ad asili nido, congedi parentali più ampi, agevolazioni per l'acquisto della prima casa e sostegno al lavoro femminile.
    Una sfida che richiede lungimiranza da parte di chi ci governa.
    Perché ne va del nostro futuro.
    E soprattutto di quello dei nostri figli.
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    5 - LA STORIA SCONOSCIUTA DI THELMA PEARL HOWARD, INSOSPETTABILE MILIONARIA

    Investire in azioni ha un impatto sulla vita reale.
    Le aziende, quelle ovviamente sane, solide, e in crescita, sono i veri motori di ricchezza.
    Lo è anche, di riflesso, il mercato finanziario che le rappresenta.
    Le aziende, con il loro business, influenzano e cambiano l'economia e la prosperità di paesi interi.
    Essere dei loro azionisti può cambiare e influenzare profondamente la vita delle persone.
    E' stato questo il caso di Thelma Pearl Howard.
    Insospettabile milionaria.

    Thelma, la cui famiglia non era affatto abbiente, era costretta da giovane a fare 3 lavori per frequentare il college.
    Una vera botta di fortuna la portò però a lavorare per un personaggio molto, molto noto: Walt Disney.
    Se il tuo pensiero è allora quello che Thelma fosse un'importante dirigente del mondo Disney, stai sbagliando strada: Thelma è stata, più "semplicemente", per trent'anni (dal 1951 al 1981) governante e cuoca a casa Disney ad Holmby Hills (vicino a Los Angeles, California).
    Thelma preparava quotidianamente i pasti per la famiglia, e badava amorevolmente le due figlie del grande Walt.
    Pensa che lui la chiamava "la vera Mary Poppins"...
    Thelma era allora parte integrante della famiglia Disney, riceveva un compenso mensile un pò superiore alla media del suo settore, ma nulla che la potesse rendere un giorno milionaria.

    Lavorare per Walt Disney le diede però l'opportunità di ricevere, 2 volte all'anno, delle azioni Disney, che il suo stesso titolare le regalava per il suo compleanno e per Natale, in segno di grande riconoscenza.
    Questi bonus in azioni si accumularono anno dopo anno, fino a raggiungere, quando Thelma morì nel 1994, un totale di 193mila titoli azionari.
    Thelma, infatti, per il rispetto che nutriva nei confronti del suo titolare, mai liquidò i titoli ricevuti.
    Anzi, ne comprò degli altri, un pò alla volta, di suo.
    Il controvalore di quel "bottino" azionario?
    9,5 milioni di dollari!
    Oltre 20 milioni odierni!!
    Senza includere in questo calcolo i vari dividendi staccati trimestralmente dall'azienda.

    Anche una volta in pensione, Thelma, figlia della grande depressione, visse in modo piuttosto semplice e frugale.
    Fino a quando non fu aperto il suo testamento, nessuno dei suoi più vicini amici e familiari sapeva che era multimilionaria.
    Thelma lasciò metà della sua fortuna al figlio disabile che necessitava di assistenza a tempo pieno.
    L'altra metà la destinò alla creazione di un'organizzazione caritatevole, la Thelma Pearl Howard Foundation, a sostegno di bambini con disabilità, con lo scopo di avvicinarli alle arti, alla danza, alla musica ed al teatro.

    La sua storia uscì chiaramente soprattutto per il suo legame con il grande Walt Disney.
    Ma, si sa, tendiamo ad avere più familiarità con le storie di persone che, invece, perdono tutti gli averi investendo, o, meglio, scommettendo in azioni, perché sono queste storie che fanno più notizia finendo così sui giornali.
    Ma che cosa possiamo trarre da una storia simile?
    In che cosa è stata brava Thelma nella gestione del suo patrimonio?
    Sicuramente Thelma è stata paziente in tutti quegli anni, e non si è mai fatta ingolosire dai guadagni accumulati anno dopo anno.
    L'interesse composto le ha permesso, nel tempo, di veder crescere in modo spropositato il suo investimento.
    Probabilmente, in questo, è stata anche avvantaggiata dal fatto che, all'epoca, non esisteva l'home banking, e non si poteva di conseguenza avere una posizione ogni giorno aggiornata del proprio deposito titoli.

    Certo, è possibile anche dire che Thelma ha corso dei rischi andando all-in in titoli Walt Disney.
    Ma, probabilmente, ben conoscendo il Signor Walt, la sua cieca fiducia non la portò mai a diversificare il suo portafoglio...
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    6 - RUBRICA: LA PSICOLOGIA DEI SOLDI (SORPRESA!)

    Rieccoci nuovamente con l'appuntamento mensile dedicato al libro "La Psicologia dei Soldi" di Morgan Housel, un libro che stiamo esplorando assieme da oltre un anno.
    Oggi è la volta del capitolo numero 12, dal titolo "Sorpresa!" e dal sottotitolo "La storia è lo studio del cambiamento, paradossalmente usato per prevedere il futuro".

    Housel ci porta in questo capitolo a riflettere sull'utilità della storia in ambito finanziario.
    E' indubbiamente utile e intelligente studiare a fondo la storia economica e quella degli investimenti, perché ci aiuta a calibrare le aspettative, a scoprire cosa di solito funziona, e quali sono invece gli errori evitabili.
    Ma la storia non è assolutamente una mappa del futuro.
    Fare troppo affidamento sui dati passati per prevedere le condizioni future, in un contesto, quello finanziario, in cui l'innovazione e il cambiamento sono la linfa vitale del progresso, è una trappola nella quale cadono molti investitori.
    Una trappola anche chiamata "la fallacia dello storico-profeta".

    Certo, se l'investire fosse una scienza esatta, la storia sarebbe allora una guida infallibile per il futuro.
    Ma l'investimento non è una scienza esatta.
    E' un enorme gruppo di persone che prendono decisioni imperfette, sulla base di informazioni limitate, su questioni che avranno un enorme impatto sul loro benessere: e questo basta a rendere nervose, avide e paranoiche anche le persone più intelligenti.
    Chi investe è dominato dai sentimenti, ed è per questo che è difficile prevedere cosa faranno in futuro sulla sola base di ciò che hanno fatto in passato.
    Quando facciamo troppo affidamento sulla storia degli investimenti come guida per il futuro, andiamo incontro a due cose pericolose.

    1. Probabilmente ci lasceremo sfuggire gli eventi eccezionali che fanno la differenza.
    Le grandi anomalie, gli eventi imprevisti che hanno battuto i record, sono i fatti più importanti registrati dalla storia, e sono loro a spostare l'ago dell'economia e dei mercati finanziari.
    Pochi eventi anomali influenzano molti altri eventi successivi.
    Pensa infatti alla Grande Depressione, alla Seconda Guerra Mondiale, alla Bolla delle dot-com, all'Undici Settembre, al fallimento di Lehman Brothers...
    La trama più ricorrente nella storia economica è il ruolo dei colpi di scena, una manciata di avvenimenti passati che era quasi impossibile prevedere. 
    Capire che il futuro potrebbe non assomigliare affatto al passato è un'abilità particolare cui la comunità dei previsori finanziari non attribuisce, purtroppo, grande valore. 
    L'insegnamento chiave da trarre dalle sorprese è allora quello che il mondo è sorprendente.
    E le sorprese fanno sempre la differenza.
    Gli eventi economici più importanti del futuro saranno eventi su cui la storia non ha nulla da insegnare.
    Eventi senza precedenti.
    E noi non saremo preparati ad affrontarli.
    Anche per questo il loro impatto sarà forte.
    E' così per le recessioni e per le guerre in negativo, ma anche per le grandi innovazioni e le scoperte, al contrario, in positivo.

    2. La storia può essere una guida poco affidabile per il futuro finanziario ed economico perchè non tiene conto dei cambiamenti strutturali che sono rilevanti per il mondo di oggi.
    Facciamo a tal proposito l'esempio del venture capital, il finanziamento privato alle start-up.
    Una cosa che 25 anni fa era praticamente sconosciuta.
    Nelle sue memorie, Phil Knight (fondatore di Nike), ha così ricordato i suoi esordi nel business: "Non esisteva il venture capital. Un giovane aspirante imprenditore aveva ben poche risorse cui attingere, ed erano tutte controllate da persone perlopiù avverse al rischio e con zero immaginazione: i banchieri".
    Ciò significa che i dati storici sul finanziamento delle start-up sono obsoleti, perché oggi queste aziende possono finanziarsi in un modo completamente nuovo, attingendo anche direttamente al risparmio privato.
    Ancora: fino al 1976 l'indice azionario americano S&P 500, il paniere di aziende più importante al mondo, non includeva titoli finanziari né tecnologici.
    Oggi i titoli finanziari rappresentano il 16% dell'intero indice, mentre i titoli di aziende legate alla tecnologia sono oltre 1/5 dell'S&P stesso.
    Le cose sono cambiate nel tempo, e ancora sono destinate a cambiare radicalmente
    Ai fini del discorso non è importante sapere cosa abbia causato il cambiamento, ma il fatto che le cose siano palesemente diverse da prima. 

    La concorrenza è aumentata perché si è diffusa la conoscenza delle opportunità.
    La tecnologia ha reso le informazioni più accessibili.
    L'economia è cambiata passando da una prevalenza dei settori industriali al dominio di quelli tecnologici, con diversi cicli economici e usi del capitale.

    Un aspetto interessante della storia degli investimenti è che più guardiamo indietro, più vedremo un mondo diverso da quello odierno.
    Molti investitori ed economisti trovano conforto nell'idea che le loro previsioni siano sostenute dai dati storici accumulati in decenni o secoli.
    Ma poiché le economie si evolvono, spesso è la storia più recente a fare da miglior guida, perché ha maggiori probabilità di includere condizioni importanti che saranno rilevanti per il futuro.
    Questo non significa che la storia va ignorata quando prendiamo decisioni sul denaro, ma dobbiamo tener presente che le tendenze specifiche, i settori specifici, le specifiche relazioni causa-effetto sui mercati, e ciò che le persone dovrebbero fare con i loro soldi, sono sempre realtà in evoluzione.
    Tendono, al contrario, a restare stabili nel tempo il modo in cui reagiamo all'avidità e alla paura, come ci comportiamo sotto stress e come rispondiamo agli incentivi.
    Gli storici non sono profeti.
    Non bisogna investire con lo specchietto retrovisore, aggiungo io, ma guardare sempre avanti investendo con gli occhi ben orientati al futuro.
     
    La domanda sorge allora spontanea: come dobbiamo ragionare e pianificare il futuro stesso?
    Questo lo vedremo assieme Venerdì 5 Maggio con il capitolo numero 13: "Il margine di errore".
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    7 - GOLDEN GOOSE: LA GALLINA DALLE UOVA D'ORO

    Investire in un fondo di Private Equity, significa investire nel capitale di aziende NON quotate in Borsa, con l'obiettivo di veder crescere l'investimento nel tempo, in contemporanea alla crescita delle stesse aziende partecipate.
    Aziende, quelle non quotate, che rappresentano poi la stragrande maggioranza dell'economia reale.

    Dopo averti parlato nella mia 7in7 del 10 Febbraio di Interflora, colosso globale dei fiori acquisito a fine 2020 dal fondo Pai Partners, oggi voglio portarti un altro esempio di eccellenza, in questo caso tutta italiana, partecipata da un fondo di Private Equity: Golden Goose, brand della moda noto probabilmente soprattutto ai più giovani.
    Ecco che allora, a Giugno 2020, il fondo Permira ha acquisito (dal precedente fondo Carlyle) la quota di maggioranza di Golden Goose, per un’importo, non certo "banale", di 1,3 miliardi di €.

    Golden Goose significa letteralmente "gallina dalle uova d'oro".
    L'azienda, diventata famosa per le sue sneaker di lusso (il loro prezzo medio va dai 400 ai 600 € al paio), é nata a Venezia 22 anni fa da una giovane coppia di skater, ed è stata protagonista negli ultimi anni di una crescita sbalorditiva.
    Fatturava, fino a 15 anni fa, circa 20 milioni di € con una ventina di dipendenti.
    Prima della pandemia il suo fatturato si attestava attorno ai 260 milioni, con una crescita annua del 35%.
    Nel primo semestre del 2022 il fatturato è stato di ben 228 milioni.
    I dipendenti sono oggi più di 350, con 170 negozi sparsi in giro per il mondo.
    Un trend esplosivo, insomma.
    Nel 2013 il mercato italiano pesava per il 90% del fatturato aziendale, mentre ora è soltanto l’8% e l'America rappresenta addirittura il 42%.
    Il brand Golden Goose ha saputo trasformarsi negli anni in una vera e propria offerta di lifestyle: lavorazione 100% a mano e artigianalità rigorosamente made in Italy.
    Il proposito aziendale è quello di diventare un marchio senza tempo, con un design gentile in grado di non passare mai di moda.
    Pensa, ora le scarpe Golden Goose si possono anche co-creare: lo stesso cliente può infatti rapportarsi agli sneaker-makers e progettare insieme a loro dei prodotti unici e personalizzati al massimo.

    L'entrata in gioco del fondo Permira ha contribuito in modo decisivo a potenziare il marketing, e a dare sicurezza finanziaria per continuare a mettersi in gioco e spiccare così il volo.
    Il quartier generale dell'azienda è a Milano, e il suo slogan, già dall'ingresso, è un bel riassunto della cultura organizzativa aziendale: “Everyone can be a star” (tutti possono diventare una stella).
    La qualità della vita lavorativa è strettamente monitorata (“da noi non ci sono dipendenti, ma talenti” racconta il CEO Silvio Campara), e il welfare aziendale offre baby (e dog) sitting, oltre allo smart working libero.
    L’età media dei dipendenti è molto bassa, tanto che il 65% di loro ha meno di 32 anni ed è alla sua prima occupazione.
    E poiché in azienda i commessi si definiscono dream-makers, diventa naturale l’equazione per cui il sogno, in Golden Goose, fa rima con innovazione, motivazione e determinazione.

    Azimut, per concludere, è da anni assolutamente attiva e operativa in soluzioni d'investimento orientate ai mercati privati, con soluzioni di Private Equity entrate nel capitale di eccellenze aziendali, vere leader di settore a livello globale.
    Non avremo in portafoglio Golden Goose, ma recentemente siamo diventati soci, grazie anche a Peninsula, di MC2 Saint Barth, altra azienda italiana molto in voga negli ultimi anni nell'ambito dell'abbigliamento casual.
    Sono allora ben volentieri a tua disposizione per curiosità o maggiori informazioni in merito a questa, sempre più importante, nicchia di mercato.
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    Voglio concludere questa mia 7in7 augurandoti una serena Pasqua (e Pasquetta) di Resurrezione.
    Un caro saluto.

    Davide