Negli ultimi tempi, sembra che l'ombelico del mondo si stia spostando, pur rimanendo sempre nell'est del nostro globo...
Sono infatti piuttosto simbolici e significativi i due sorpassi che l'India ha di recente maturato: uno riguarda la demografia del paese, visto e considerato che l'India è recentemente diventata la nazione più popolosa della terra ai danni della Cina,
l'altro è di carattere economico e risiede nel sorpasso del suo Pil su quello del Regno Unito.
Non solo l'India oggi è il paese più popoloso del pianeta, ma è anche molto giovane.
Più di metà degli oltre 1,4 miliardi di abitanti ha meno di 30 anni.
Lato Pil, invece, oggi quello indiano è il 5° al mondo, e, secondo previsioni, tra due-tre anni supererà anche quello della Germania.
Come non bastasse, stando alle recenti previsioni del Fondo Monetario Internazionale, nel 2023 la crescita economica indiana dovrebbe essere superiore a quella cinese.
Delhi ha inoltre assunto la presidenza di turno del G20, ruolo che ne esalta ulteriormente l'importanza geopolitica.
Il premier Narendra Modi sta gestendo, al momento, un capolavoro di equilibrismo, dimostrandosi filo-americano quando si tratta di contenere la Cina, pur rimanendo neutrale sull'Ucraina e mantenendo buoni rapporti con la Russia (da cui compra non solo
gas e petrolio, ma anche armi).
Se oggi tutti sembrano corteggiare l'India, non certo ultima la nostra premier Meloni che nelle settimane scorse è andata in visita alla corte di Modi, decenni di speranze passate sono però andati delusi.
E' infatti da almeno 20 anni che il paese ci ha abituato a momenti di euforia, durante i quali viene designata come "la nuova Cina", salvo poi tradire sistematicamente le promesse.
Sulla carta, l'elefante indiano ha dei vantaggi rispetto al dragone rosso: una popolazione in crescita continua e una forza lavoro più giovane, in buona parte anglofona.
Ha inoltre delle eccellenze in campo tecnologico, ed ha acquisito prestigio e potere anche grazie alla sua diaspora, soprattutto verso gli Stati Uniti.
Basti pensare infatti che al vertice dei colossi Big Tech a stelle e strisce ci sono persone di origine indiana (Sundar Pichai per Google, Satya Nadella per Microsoft), così come è indiano il nuovo presidente della Banca Mondiale Ajay Banga,
in precedenza capo di Mastercard.
Ed è di madre indiana anche l'attuale vice di Biden, Kamala Harris.
Sul territorio indiano invece sono già più di un centinaio gli Unicorni, start up che valgono più di un miliardo di dollari.
A questi dati strutturali, noti da anni, si è aggiunta una novità geopolitica che ha preso corpo negli ultimi anni.
La nuova guerra fredda Usa-Cina ha portato a ripensare la globalizzazione, privilegiando le localizzazioni industriali in paesi amici, alleati o comunque affidabili.
L'India, storicamente antagonista della Cina, è così in una posizione ideale per catturare i flussi di investimento di quelle multinazionali che vogliono ridurre la loro dipendenza dal Celeste Impero.
Emblematico, in tal senso, è il caso di Apple, che attualmente assembla l'85% dei suoi iPhone proprio in Cina, ma che vorrebbe in futuro arrivare ad un 40% di produzione tra l'India ed il Vietnam.
Ma, tra potenzialità e realtà dei fatti, c'è sempre stato un divario importante quando si parla di India.
Il settore finanziario non sempre è trasparente, e questo frena terribilmente l'ingresso di capitali dall'estero.
La limitazione dell'agibilità dei media pone un problema democratico, e alza il rischio che ciò che non funziona non sia portato all'attenzione pubblica.
Non sono poi ancora stati superati i ritardi in settori chiave quali infrastrutture, logistica, energia ed efficienza della pubblica amministrazione, dove dilaga la corruzione ed una burocrazia pervasiva e penalizzante.
Oltre a tutto questo, i blackout energetici hanno perseguitato le imprese indiane riducendone la produttività.
Qualcosa, però, sembra stia cambiando: dal 2014, anno di insediamento del presidente Modi, le autostrade si sono allungate del 50%, gli aeroporti sono raddoppiati e i blackout dimezzati.
In questo 2023, si stima, gli investimenti infrastrutturali avranno un ulteriore boom del 33%, e il clima economico appare un pò meno ostile nei confronti delle imprese private.
Se le stelle sembrano allora allineate in modo (un pò più) favorevole, bisogna sempre mantenere il senso delle proporzioni: l'India rimane un'economia più piccola rispetto alla Cina, e meno "estroversa" perché il suo modello di sviluppo è
stato trainato dalla domanda interna ed ha sempre avuto caratteristiche di autarchia.
Basti pensare che quando la guerra in Ucraina provocò delle tensioni nelle forniture alimentari, l'India non esitò a bloccare le sue esportazioni di grano e farina, in modo da riservare la sua produzione al mercato interno e calmierare così i prezzi.
Se l'attenzione verso il gigante asiatico è allora ai massimi, il futuro dell'India sulla scena globale sembra ancora tutto da scrivere...