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www.davideberto.it2024-10-11
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    Tutti i consulenti parlano di investimento e pianificazione, possibilmente, di lungo termine.
    Ma che significa, poi, lungo termine?
    5 anni?
    10 anni?
    O di più ancora?
    La risposta è sicuramente quest'ultima: "di più".
    Ma perché investire e guardare al lungo termine è importante?

    Il "lungo termine" è il tempo necessario affinché le tendenze positive si affermino.
    Queste tendenze sono poi i diversi premi al rischio offerti dal mercato.
    L'investimento azionario, ad esempio, è più rischioso di quello obbligazionario.
    Anche per questo, le azioni tendono ad avere dei rendimenti più elevati rispetto alle obbligazioni.
    Se ciò non fosse vero, nessuno acquisterebbe azioni...
    Più un asset è rischioso, maggiore è il suo premio al rischio, e più forte ed importante è il trend positivo che ne deriva.
    Ma si chiama "premio al rischio" per un motivo: è rischioso.
    E non ci sono garanzie.

    Per ottenere i più importanti rendimenti "promessi" dai mercati, bisogna accettare il rischio di rimanere più a lungo nei mercati stessi.
    Più a lungo si resta investiti in un mercato, più scende la possibilità di ottenere dei rendimenti negativi da quell'investimento.
    Ad esempio, i numeri dell'indice azionario americano S&P 500, vero e proprio termometro del sistema produttivo USA, analizzati dal 1926 alla fine del 2022, dicono che, superati i 20 anni di investimento, non si sono presentati risultati negativi, e si va da un ritorno minimo annuo dell'1,89% a un massimo del 18,26%. 
    Il rischio?
    Sta nella differenza tra un rendimento potenziale e l'altro.
    E nella necessità eventuale di allungare quel lungo termine per migliorare il rendimento ottenuto.

    Ti auguro una piacevole lettura.
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    1 - IL CINISMO DEI MERCATI FINANZIARI

    Poco più di un anno fa ci siamo svegliati con l'incredulità di vedere una nuova guerra, una vera guerra, nuovamente svilupparsi in Europa.
    Questo shock geopolitico è stato certamente l'evento principale che ha scosso il 2022, a ragione definito annus horribilis anche per gli investimenti.
    Non però l'unico.
    I mercati finanziari reagirono subito con grande nervosismo al conflitto, sapendo che avrebbe portato con sé grandi rischi e incertezze: una crisi energetica in considerazione della forte dipendenza europea dal gas russo, e l'aumento dei prezzi delle materie prime (petrolio, grano...) con nefaste conseguenze su un'inflazione già in risveglio di suo.
    Quando però la Russia lanciò il suo primo razzo verso il territorio ucraino, il 24 Febbraio 2022, diversi operatori di borsa fecero notare come, in passato, i mercati finanziari avessero generalmente accompagnato gli eventi di guerra con successivi movimenti al rialzo.
    Oggi, a dodici mesi di distanza e con un conflitto del quale appare purtroppo ancora difficile individuare al momento una fine, quella profezia pare essere confermata con tutto il suo cinismo.

    Dopo i primi mesi veramente complicati, gli indici azionari sono infatti tornati a superare i valori di quel tragico 24 Febbraio.
    Questo almeno in un'Europa, che sotto l'aspetto geografico ed economico è più vicina al campo di battaglia.
    La Borsa italiana, quella tedesca, quella francese ed anche quella inglese (che per altri motivi è rimasta immune all'ecatombe dei listini finanziari dello scorso anno), viaggiano su livelli ben superiori rispetto a dodici mesi fa.
    E' invece l'America a restare ancora sotto i livelli di allora, soprattutto con l'indice dei titoli tecnologici, il Nasdaq, maggiormente impattato dallo scorso Febbraio ad oggi (-9% circa).
    In questo caso è però difficile trovare un nesso con la guerra, geograficamente anche più lontana dagli Stati Uniti, e la causa principale risiede nell'aumento dei tassi d'interesse da parte della banca centrale a stelle e strisce.

    Con questo non si può certo dire che l'impatto immediato del conflitto sia stato indifferente: a fine Settembre scorso l'indice europeo Eurostoxx 600 aveva perso l'equivalente di 5mila miliardi di capitalizzazione, e l'S&P 500 di New York circa il doppio.
    Da allora è partita la riscossa, grazie al fatto che il rischio di un'escalation nucleare sembra essersi allontanato, e grazie anche ad un inverno relativamente mite che ha allontanato lo spettro dello shock energetico per il vecchio continente.
    Non sono stati certo questi gli unici fattori in gioco, ma si tratta di elementi incisivi sullo scenario economico e finanziario, con ripercussioni sulla crescita, sull'inflazione, e sulle scelte di politica monetaria delle banche centrali che guidano in gran parte i movimenti sui mercati.
    A Gennaio le Borse hanno poi festeggiato la revisione delle stime macroeconomiche, che hanno segnato il passaggio da uno scenario di recessione ad uno di crescita, seppur moderata

    Il futuro resta in ogni caso avvolto nell'incertezza.
    Un'eventuale escalation del conflitto verrebbe immediatamente prezzata dai mercati con perdite sull'azionario e sui più rischiosi settori dell'obbligazionario.
    Con flussi di capitali che tornerebbero verso i tradizionali "beni rifugio", come il dollaro, l'oro ed i titoli di Stato americani.
    Non va poi dimenticato il rischio inflazione, non ancora domata dalle manovre al rialzo dei tassi operate dalle principali banche centrali al mondo.
    E' allora soprattutto in periodi come questi, con i risparmiatori comprensibilmente disorientati dalla situazione (non solo) economica, che la Consulenza Finanziaria è chiamata a rappresentare una guida efficace e affidabile per proteggere i risparmi degli italiani.
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    2 - IL GLOSSARIO DELLE OBBLIGAZIONI

    Dopo oltre un decennio di oblio, le obbligazioni societarie ed i titoli di Stato sono nuovamente nel mirino degli investitori, grazie ai loro rendimenti finalmente tornati su livelli interessanti.
    Oggi voglio allora spiegarti meglio qualche termine di uso comune nel mondo degli investimenti obbligazionari, il cui significato però non sempre è scontato per gli investitori.

    - CEDOLA
    Si trattava in origine di un tagliando cartaceo, allegato al certificato rappresentativo del titolo obbligazionario, che, materialmente staccato dal certificato stesso, consentiva al possessore la riscossione degli interessi maturati a date prestabilite.
    Oggi, con la dematerializzazione dei titoli, il termine "cedola" è rimasto a rappresentare l'interesse periodico maturato da un'obbligazione.
    Si usa ancora l'espressione "stacco cedola" per definire il momento in cui questa remunerazione viene pagata, con accredito in conto corrente, al proprietario del titolo, anche se materialmente non viene più "staccato" nulla.

    - REDDITO FISSO
    Si tratta di titoli di debito che presentano tassi di interesse definiti in fase di emissione, non soggetti poi a variazioni durante la vita dello strumento.
    Il proprietario riceve pertanto un flusso stabile e prefissato di versamenti, dati dalle cedole e dal rimborso del capitale nominale alla scadenza del titolo.
    Ciò che varia in corso d'opera è, invece, il prezzo giornaliero del bond sui mercati, ed è ciò che abbiamo bruscamente sperimentato negli ultimi mesi: per adeguarsi al rialzo dei tassi di interesse operato dalle banche centrali, i titoli a reddito fisso già quotati e scambiati sui mercati hanno subito una pesante svalutazione del loro valore corrente.
    Influire sul prezzo di mercato dei titoli, è infatti l'unico modo per mettere "al passo con i tassi" un titolo che presenta una cedola fissa già stabilita in partenza.

    - DATA DI GODIMENTO
    Si tratta del giorno di maturazione degli interessi di un'obbligazione.

    - OBBLIGAZIONI CORPORATE
    Sono queste le obbligazioni emesse da società private, in particolare banche e società industriali.
    Si contrappongono ai titoli di Stato, emessi dai governi di ogni parte del mondo.
    I titoli corporate possono essere di diversi tipi: a tasso fisso o variabile, indicizzati all'inflazione, o anche zero-coupon (ovvero obbligazioni che non prevedono una cedola periodica, ma solo un valore di rimborso più elevato rispetto al capitale versato alla sottoscrizione del titolo).
    Le obbligazioni corporate possono poi essere anche strutturate (il cui rimborso o la cui remunerazione è legata all'andamento di altre attività finanziarie, come, ad esempio, i tassi d'interesse, le materie prime, gli indici finanziari...), e subordinate (debito societario che, in caso di fallimento dell'azienda emittente, verrebbe rimborsato in subordine rispetto ad altre tipologie di debito).
    Queste due ultime tipologie di obbligazioni sono più rischiose, e per questo offrono rendimenti più appetibili a chi sceglie di investirvi.

    Detto questo ... buoni investimenti obbligazionari a tutti!!!
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    3 - L'ORO RIPRENDE A BRILLARE

    Il 2022 da poco concluso, è stato caratterizzato da un andamento estremamente negativo dei mercati finanziari.
    L'indice azionario America S&P 500 ha chiuso con una perdita del 18%, mentre il più speculativo Bitcoin ha lasciato sul terreno addirittura il 64%.
    A fronte di queste discese, l'oro (pur facendo registrare in corso d'anno un massimo ribasso dell'11%) ha chiuso a valutazioni praticamente immutate rispetto alla fine del 2021.
    Questo anche grazie ai possenti acquisti (673 tonnellate nel solo 2022, il livello più alto dal lontano 1967) fatti dalle banche centrali, in particolare quelle non occidentali.
    Alcuni dei maggiori acquirenti del metallo sono state infatti le banche centrali di India, Qatar e Uzbekistan, oltre a Turchia, Egitto, Iraq e Argentina.
    Tutti paesi che vogliono evidentemente diventare meno dipendenti dal dollaro statunitense.

    L'oro, ma anche l'argento, sta prepotentemente tornando nei radar degli investitori in seguito alle scelte di politica monetaria delle banche centrali (FED americana in primis), che stanno invece indebolendo il dollaro, altro "bene rifugio" per eccellenza.
    Da tempo i mercati finanziari prevedono una recessione negli States, e, guardando al passato, l'oro tende a far registrare buone performance proprio durante i periodi recessivi americani, con anche i titoli azionari auriferi storicamente in grado di far ancora meglio.
    Molti fattori che hanno giocato a sfavore dell'oro nel 2022, si sono rivelati poi positivi all'alba del nuovo anno.
    La volatilità geopolitica e finanziaria ha sostenuto l'aumento delle scorte di questo metallo, notoriamente considerato un bene rifugio durante i periodi di turbolenza economica, e spesso visto anche come una buona copertura a lungo termine contro l'inflazione.
    Questa massiccia richiesta rivela anche un cedimento della fiducia nei confronti delle istituzioni e dei governi, nonché anche della sicurezza delle valute tradizionali.
    La bellezza dell'oro è che non necessita di fiducia, a differenza del denaro emesso dagli stati. 

    Da Febbraio 2022 a Gennaio 2023, mentre l'indice azionario globale MSCI World ha perso il 13% in euro, l'oro ha invece guadagnato il 7% sempre in euro, manifestando tutto il suo potere calmierante.
    In tutti i mercati ribassisti degli ultimi 50 anni, in particolare durante la crisi finanziaria del 2008, l'oro ha svolto un ottimo lavoro di stabilizzazione del portafoglio.
    Anche nell'attuale congiuntura economica sfavorevole, l'oro ha saputo sviluppare il suo effetto.

    Per quanto riguarda invece i titoli azionari dei produttori d'oro, ci si aspetta un anno di miglioramento, dopo che, lo scorso anno, i margini di profitto sono stati compressi dell'aumento dei costi (petrolio, acciaio, manodopera) e dal temporaneo calo dei prezzi dell'oro. 
    Tutto ciò ha portato le azioni dei produttori a sottoperformare il lingotto, mentre normalmente le valorizzazioni sono allineate e tra loro correlate (più il prezzo dell'oro sale, più diventa conveniente scavare per trovare fonti d'oro), anche sei i titoli del settore mining sono tradizionalmente più volatili e tendono ad amplificare i movimenti del metallo giallo.
    Detenere allora dell'oro (o dei titoli di aziende legate a quest'ambito) in portafoglio è cosa buona e giusta.
    Come sempre, ovviamente, con il giusto peso, e senza cadere in uno sbilanciamento eccessivo e, di conseguenza, rischioso.
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    4 - CHE SI INTENDE PER PREVIDENZA?

    Troppo spesso si tende ad usare la parola "previdenza" e la parola "pensione" come fossero due sinonimi.
    In realtà, la pensione rientra nel più ampio tema previdenziale.
    E' un suo sottoinsieme, in quanto la previdenza è, più in generale, l'atteggiamento di essere previdenti.
    La capacità di pensare e di leggere il proprio futuro da un punto di vista economico, e adottare così le scelte funzionali atte ad ottimizzare questo processo.

    Previdenza è dire ad una persona che, molto probabilmente, ha un tema pensionistico da risolvere.
    Ma non solo quello, il tema va infatti visto in modo più ampio pensando al futuro.
    Nella nostra vita possiamo incontrare purtroppo degli imprevisti, come ad esempio una malattia, un serio infortunio, il decesso prematuro, un divorzio, il fallimento della propria impresa...
    Agire previdenzialmente significa farsi trovare pronti!

    Ma come si può farsi trovare pronti?
    Possiamo farci trovare pronti sostanzialmente in due modi:
    1) accumulando risorse e costruendo patrimonio per far fronte agli eventi, buoni o meno buoni, che possiamo incontrare lungo la nostra vita;
    2) ma, siccome a volte gli eventi sono dirompenti nella vita delle persone, occorre scaricare i rischi che è possibile scaricare, proteggendoci con degli strumenti assicurativi.
    Accumulazione e protezione!

    Non può esserci garanzia di benessere, anche di tipo pensionistico, senza:
    - protezione del capitale umano della famiglia, in caso di eventi invalidanti o di prematuro decesso;
    - protezione del patrimonio immobiliare (per molti il principale, se non addirittura l'unico, asset patrimoniale), per preservarlo da eventi in grado di danneggiarlo;
    - protezione anche dell'azienda, nel caso di un imprenditore, con lo scopo di garantirne la continuità.
    E' un viaggio lungo quello della pianificazione previdenziale, e la protezione è la prima tappa del viaggio.
    Senza protezione, il rischio è che venga un pò meno anche tutto il resto...
    Ricordalo sempre!
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    5 - UN PASSO NELLA STORIA: L' ILLUSIONE DEL REGNO DI POYAIS

    Come esseri umani, siamo naturalmente portati a fidarci.
    Questo implica però il rischio, soprattutto in ambito finanziario, di cadere in truffe, in alcuni casi, anche ben escogitate.
    Truffe ce ne sono sempre state, fin dalla notte dei tempi.
    Oggi voglio raccontarti quella organizzata da un truffatore che, addirittura, s'inventò uno Stato.
    Seguimi allora!

    Era il 1820, e Gregor MacGregor, colonnello scozzese della Royal Navy, tornò a Londra dopo aver trascorso una decina d'anni in Sudamerica dove fu mandato a tenere d'occhio i movimenti indipendentisti che in quegli anni stavano sconvolgendo la regione.
    Proprio durante questo periodo, maturò l'idea che gli fece fare tanta fortuna.
    Alle spalle di altri però...
    Tornato in patria, si fece infatti passare come il principe, insignito da tribù locali, di una nazione indipendente nella baia di Honduras, ricca d'oro e di altri inestimabili tesori, chiamata Principato di Poyais.

    Era questo un periodo in cui investire in bond inglesi era considerato noioso, e molti erano pertanto interessati a nuove e più intriganti prospettive d'investimento, come, ad esempio, quelle relative a obbligazioni e titoli di Stato dei paesi dell'America Latina che avevano appena ottenuto l'indipendenza o stavano per farlo, e che, in sintesi, avevano gran bisogno di soldi per far crescere le loro economie.
    I rendimenti dei bond di Colombia, Cile e  Perù erano attorno al 6%, almeno il doppio dei bond della Corona Inglese.
    Fu quella una sorta di bolla delle dot.com, con investitori che nulla conoscevano di quei paesi lontani, e che furono pervasi dal compulsivo bisogno di investirvi, creando così un clima finanziario ideale per un truffatore.
    Inoltre, considerata la vivacità del contesto geopolitico latinoamericano, era plausibile che fosse nato qualche nuovo stato di cui nessuno, o quasi, aveva sentito parlare, e che uno come MacGregor potesse esserne a capo.
    MacGregor si adoperò allora in modo tale (creazione di una bandiera e di uno stemma, interviste varie, stampa di finta valuta, apertura di 3 sedi commerciali nel Regno Unito, materiali promozionali...) da far percepire come vero ed esistente, uno Stato che invece non esisteva proprio.
    Molti, forse per la paura di poter perdere l'investimento giusto, o anche solo abbindolati da certe promesse, comprarono allora le obbligazioni di Poyais e, visto che l'interesse cresceva, il buon MacGregor non solo alzò a tavolino i prezzi di quei titoli, ma si mise a vendere anche terre e ad organizzare viaggi coloniali verso il suo lontano feudo.
    Due navi, con un totale di quasi 250 aspiranti pionieri, partirono nel Settembre del 1822 e nel Gennaio del 1823. 
    Dei 250 coloni inviati in Honduras, ne sopravvissero solo 60.
    I pochi che riuscirono a tornare in patria denunciarono la truffa, ma MacGregor era ormai diventato parte dell'elite inglese e venne difeso a spada tratta.
    Fece perfino causa ai giornali che lo accusarono di frode.
    Tuttavia, nell'Ottobre del 1823 la situazione si complicò, e fu così costretto a ripiegare a Parigi.

    A Parigi, stessa trama e stessa promozione del suo Principato di Poyais.
    Questo, almeno, finché i funzionari francesi, dietro richiesta da parte di svariati coloni con passaporto di una nazione della quale mai avevano sentito parlar prima, requisirono la nave predisposta per la nuova spedizione oltreoceano e iniziarono le indagini.
    Il 7 Dicembre del 1825 MacGregor venne arrestato.
    Il processo iniziò ad Aprile del 1826, e il 14 Luglio dello stesso anno venne rilasciato.
    Tornato nuovamente a Londra, anche per pagare i molti debiti che aveva sulle spalle, si mise a promuovere ancora la sua truffa fino al 1839, quando si trasferì definitivamente in Venezuela, e riuscì ad ottenere anche una pensione in quanto generale che aveva combattuto per l'indipendenza del paese.
    Morì poi a Caracas il 3 Dicembre del 1845.
    Si stima che la truffa di Poyais costò all'economia inglese 1,3 milioni di sterline del tempo (3,6 miliardi di euro ai nostri giorni), senza contare le sue vittime all'estero, come in Francia o in Belgio.

    Fu questa una delle prime grandi truffe dei tempi moderni, che portò ad una delle crisi più importanti del 19° Secolo, nota come Panico del 1825.
    Ricapitolando un pò il tutto, le frodi si basano sempre sui classici modus operandi, validi anche 200 anni fa:
    - Fiducia e ottimismo generalizzato di base
    - Senso di urgenza ("solo ancora per pochi giorni!...", "offerta limitata e a numero chiuso!...")
    - Promessa di guadagni facili e stratosferici
    - Trasmissione di esclusività per solleticare così l'ego delle persone

    Per fortuna ci sono tanti bravi Consulenti Finanziari, che lavorano in società serie ed affidabili, e che permettono ai propri clienti di dormire sonni tranquilli senza correre il rischio di incappare in un regno che non esiste.
    Come il regno di Poyais...
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    6 - RUBRICA: LA PSICOLOGIA DEI SOLDI (RAGIONEVOLE > RAZIONALE)

    Torna oggi all'interno della mia 7in7, a distanza di un mese esatto, l'appuntamento mensile con il libro "La psicologia dei soldi".
    Siamo giunti al capitolo numero 11 "Ragionevole > Razionale", che ci accoglie con un significativo sottotitolo "puntare alla ragionevolezza è più efficace che sforzarsi di essere freddamente razionali".
    Morgan Housel ci ha guidati nei suoi primi 10 capitoli attraverso ragionamenti logici e scientifici, facendoci scoprire i bias della nostra mente e della nostra psiche.
    In questo nuovo capitolo, invece, un pò ci spiazza, perché ci invita ad accogliere le nostre debolezze.
    Non siamo infatti dei fogli Excel.
    Siamo persone.
    Esseri umani complicati ed emotivi.

    Un investitore razionale prende le sue decisioni sulla base di fatti e numeri.
    Un investitore ragionevole le prende invece pensando al coniuge che non vuole deludere, ai colleghi che spera pensino bene di lui, confrontandosi con i propri dubbi e con rivali immaginari ma realistici, come il cognato, il vicino di casa...
    C'è, insomma, anche una componente sociale nelle scelte finanziarie di ognuno di noi.
    Una componente spesso trascurata quando le si osserva attraverso la sola lente finanziaria.
    Possiamo anche riflettere sul fatto che la maggior parte delle previsioni sul futuro prossimo dell'economia e dei mercati non si avverano, e affidarsi ad esse è pericoloso.
    Ma, al contempo, fare previsioni è ragionevole.
    E' difficile svegliarsi al mattino e ammettere a noi stessi di non sapere davvero cosa ci riserverà il futuro, anche se è proprio così.
    Può essere allora pericoloso fidarsi delle previsioni sugli investimenti, ma è comprensibile vedere che le persone si sforzano di prevedere cosa potrà capitar loro in futuro.
    E' la natura umana.
    E' ragionevole.
    E' più realistico essere allora ragionevoli, piuttosto che freddamente razionali, perché in questo modo avremo maggiori probabilità di mantenere comportamenti virtuosi nel lungo periodo, ed è questo il fattore più importante nella gestione del denaro. 

    Una delle variabili finanziarie più correlate alla perfomance di un investimento, è l'impegno e la capacità di portare avanti la strategia prescelta anche nelle fasi più difficili e turbolente dei mercati.
    Rimanere investiti e coerenti al proprio piano, anche quando le cose vanno male, influenza sia l'entità dei risultati, sia le probabilità di ottenerli in un arco temporale prestabilito. 
    Statisticamente le probabilità storiche di guadagnare sui mercati americani nell'arco di una giornata sono del 50%.
    Testa o croce, rosso o nero praticamente!
    Salgono al 68% nell'arco di un anno.
    Raggiungono l'88% in 10 anni. 
    Su un arco temporale di 20 anni, il 100% degli investimenti sui mercati statunitensi ha generato guadagni.
    Ecco allora che rimanere investiti ha un vantaggio tangibile, e tutto ciò che ci permette di rimanere in gioco più a lungo ha un vantaggio quantificabile.

    Puntare quindi al ragionevole, piuttosto che al razionale, è uno degli approcci da considerare molto seriamente quando dobbiamo prendere decisioni sui nostri soldi.
    Ricordalo bene.
    Anche per questo mese con Morgan Housel è tutto.
    L'appuntamento con il capitolo 12 è fissato per Venerdì 7 Aprile.
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    7 - SPEDITA VERSO I 500

    Nella mia 7in7 di Venerdì 10 Febbraio, all'articolo numero 3, ho voluto spiegarti perché (potendolo fare per capitale investibile e per tempo a disposizione...) sarebbe opportuno investire nei mercati privati.
    Nella mia successiva newsletter, datata 24 Febbraio, ho trattato i vari ambiti degli investimenti nei mercati privati, parlando quindi del private equity, del private debt, del venture capital e del real estate.
    A mio avviso, il private equity è di gran lunga l'ambito più interessante e affascinante nel complesso mondo degli investimenti "alternativi".
    Poter entrare infatti nel capitale di importanti aziende non quotate in borsa, e divenirne così soci, trovo sia una cosa enormemente sfidante.
    Allo stesso tempo, investire oggi nei mercati privati non è più solo un'opzione, ma una vera e propria esigenza che permette di dare decorrelazione al proprio portafoglio investimenti, donandogli così maggiore stabilità, con la possibilità poi di ottenere nel tempo dei rendimenti potenzialmente molto importanti.
    Il tutto, ovviamente, sostenendo le imprese e l'intero tessuto economico.

    Sempre più, le operazioni di private equity si stanno sviluppando anche nel nostro Veneto.
    Terra di straordinarie eccellenze in diversi ambiti dell'economia.
    Uno dei casi forse più eclatanti di azienda veneta (vicentina oltretutto) posseduta da un fondo di private equity è Dainese.
    Dainese, addirittura, è stata prima di proprietà di Investcorp che la acquisì direttamente dal suo fondatore Lino Dainese ad inizio del 2015, per passare poi al portafoglio di Carlyle nel Marzo del 2022.

    Da anni, ormai, Dainese è un colosso nell'ambito dell'equipaggiamento sportivo e motociclistico.
    Pensare che tutto iniziò da un viaggio a Londra in Vespa, a 20 anni, del suo fondatore...fa specie.
    Era infatti il 1968, e Lino Dainese tornò dal Regno Unito con l'idea, in qualche modo, di dar protezione ai motociclisti.
    Si studiò anche un logo che potesse rappresentare il demone della velocità, simbolo di dinamicità e ribellione.
    L'azienda sarebbe stata poi fondata a Molvena nel 1972, ed il primo articolo prodotto fu un paio di pantaloni da motocross.
    Oggi Dainese è leader globale nel suo settore.
    I suoi caschi e le sue tute sono stati indossati da Valentino Rossi, e lo sono tutt'ora, nello sci, da Sofia Goggia.

    Dal 1972 di anni ne sono passati, i mercati si sono fatti globali, e le dimensioni locali fanno sempre più fatica a rispondere alle complessità del mondo intero. 
    Non basta più lavorare, come si è sempre stati abituati, in Italia, insomma. 
    Anche con l'obiettivo di rilanciarla ulteriormente, nel Marzo 2022 è entrato in gioco Carlyle, colosso americano del private equity, che  ha rilevato la proprietà di Dainese (incluse le quote del suo fondatore) da Investcorp (altro fondo di investimenti, in questo caso del Bahrain, che aveva acquistato l'80% dell'azienda ad inizio 2015), grazie alla raccolta di risparmio privato.
    Secondo indiscrezioni, Carlyle avrebbe messo sul piatto qualcosa come 630 milioni di €, quando Investcorp ne sborsò 130 7 anni prima.
    Bella plusvalenza!!

    Nell'ottica allora di accelerare ulteriormente il proprio business, Dainese ha piazzato delle mosse strategiche, acquisendo le calzature tecniche della Tcx (altro gioiellino veneto), sviluppando una partnership con Momodesign, e siglando  un accordo di distribuzione con gli 8 mila negozi di Trucker Powersports negli Stati Uniti. 
    Negli ultimi 8 anni i ricavi di Dainese sono raddoppiati, ma l'obiettivo è quello di raddoppiarli ulteriormente per arrivare così, in altri 5, a 500 milioni di fatturato.
    Progetto decisamente ambizioso, che cambierà (e in parte ha già cambiato) la pelle dell'azienda, non certo più la perla di provincia di un tempo, ma un'azienda presente oggi in 96 paesi al mondo, 2 stabilimenti produttivi in Veneto, uno in Romania, uno in Tunisia, con oltre 1.200 dipendenti tra Europa, Asia e America, 38 negozi e un nuovo impianto produttivo di caschi ad Hanoi, in Vietnam, pensato unicamente per il mercato cinese.
    La Cina, a Giugno 2020, ha infatti introdotto l'obbligo di elmetto per chi guida un ciclomotore, e questo fa pensare ad un mercato potenziale di 250 milioni di nuovi clienti...

    La storia di Dainese è sicuramente quella di un'esempio virtuoso, e di un brand oggi riconoscibile in tutto il pianeta.
    Ma tante, veramente tante, sono le imprese venete ed italiane che hanno le carte in regola per farcela.
    A volte basterebbe loro un pò di capitale, spesso una struttura manageriale, e magari anche qualche partnership ben studiata ed organizzata per svoltare ed allargare a nuovi mercati il loro business.
    Il nostro, ritengo, è un paese veramente straordinario in tal senso.
    Con la nuova linfa apportata dal risparmio privato, molte aziende possono fare veramente grandi cose, affermandosi nel mondo a discapito di una narrativa che ci vede spesso ancora troppo piccoli.
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    Anche per questa mia 7in7 è tutto.
    Con la prossima del 24 Marzo, ti parlerò, tra le altre cose, dell'avidità degli investitori, e degli errori che possono ostacolare il lungo percorso verso la costruzione di una pensione integrativa.

    Non mi resta allora che augurarti un sereno e piacevole fine settimana.
    Un caro saluto!

    Davide