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www.davideberto.it2024-10-11
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    "Si sceglie un Consulente non perché gestisca i nostri soldi, ma perché gestisca noi stessi".
    Così diceva il buon Nick Murray, grande professionista (nonché scrittore) in ambito finanziario.
    Il ruolo del Consulente non si traduce allora tanto nella protezione dai rischi di mercato, ma più che altro nella difesa dal nostro vero nemico: noi stessi.

    Ma come scegliere il giusto Consulente Finanziario?
    Se ci si ferma al "quanto ha performato nell'ultimo anno", difficilmente troveremo la persona giusta cui affidarci.
    Per quanto componente certamente importante, il rendimento è pur sempre una conseguenza del processo d'investimento, piuttosto che il suo fine ultimo.
    Il Consulente che, ad esempio, ha investito nel corso del 2022 il 100% dei capitali dei suoi clienti nel settore energetico dell'azionario, sarebbe allora un valido Consulente Finanziario cui delegare la gestione del proprio patrimonio???

    Meglio chiedere piuttosto al Consulente quale processo adotta, che costi applica e trattiene, meglio ascoltare le sue domande, e se fra queste non compaiono quelle relative al potenziale mal di pancia del cliente quando i mercati scendono, quali sono gli obiettivi del cliente stesso, perché investe e con che arco temporale ... beh, facilmente per questo consulente potremmo essere solamente un numero utile al raggiungimento del suo budget...
    Non trovi?

    Ti auguro una piacevole lettura!
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    1 - LE DUE "F" FONDAMENTALI PER INVESTIRE PROFITTEVOLMENTE

    La Consulenza si nutre di consapevolezza e di co-progettazione, ed è un incontro tra saperi diversi, privo di ambiguità.
    Il cliente deve saper esprimere i suoi bisogni, i desideri ed i vincoli che riguardano la sua vita.
    Il consulente deve offrire alternative e supportare decisioni, mettendo in gioco strumenti e competenze di metodo.

    Un tema, più di tutti, impone a mio avviso fiducia: il FUTURO.
    Tutte le scelte dell'economia personale si basano inevitabilmente sul tempo: spendere tanto o poco, consumare o investire, proteggersi o meno dai rischi, pianificare la fine del lavoro o vivere alla giornata, programmare una casa o lo studio dei figli...
    Tutte scelte che gettano ponti tra noi e il futuro.
    La complessità che sta dietro a queste scelte richiede di accordare FIDUCIA a esperti, capaci di aiutare a destreggiarsi in un percorso di vita lungo e non certo lineare, che ci obbliga a pescare sia le carte "probabilità" che quelle "imprevisti".
    Perché dobbiamo capire che la contemporaneità è ricca di incertezze.

    Il consulente non può infatti darti delle certezze nel secolo del Covid e dell'Intelligenza Artificiale, ma deve rafforzare la tua consapevolezza e offrire alternative.
    E' pertanto poco utile chiedere al consulente cosa accadrà in futuro ai mercati finanziari.
    Allo stesso tempo, si dovrebbero evitare aspettative irrealistiche.
    Accordare fiducia non significa allora attendersi delle previsioni attendibili, ma competenze e attenzioni di qualcuno che dev'essere al tuo fianco, nelle prosperità come nelle crisi.
    Il consulente al quale accordare fiducia è una persona che deve insegnare ad apprendere, accompagna nel cammino e merita fiducia perché affianca intenzioni orientate al bene comune a strumenti utili a minimizzare i rischi, per accompagnare così alla meta.
    Accordare fiducia va fatto non solo per difesa, magari per contrastare i guai di un dissennato "fai da te", ma soprattutto perché la fiducia è un valore universale, che anche quando viene meno in un punto non tocca la società intera.

    La fiducia è un collante universale che tiene assieme gli individui: non va sottovalutata né donata ingenuamente, ma affrontata come un progetto, personale e professionale, che richiede obiettivi, diagnosi, strategie, tempi, risorse e comunicazione.
    Affrontare allora il futuro con fiducia può essere la strategia più efficace a nostra disposizione per non sprecare le difficoltà del periodo.
    E che periodo non ha le sue difficoltà?...
    Riducendo così il rischio che, davanti a un mondo che corre, si preferisca stare fermi.
    Fermi, magari nell'attesa che torni una "neonormalità" fin troppo idealizzata...
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    2 - PRIMA DI ACQUISTARE UN FONDO...

    Prendere il Toro per le corna, nel caso dei mercati e degli investimenti finanziari, non è affatto facile: ci vogliono i giusti strumenti.
    Una volta che si è deciso di investire e di far lavorare il proprio risparmio, la selezione del prodotto adatto è anche più importante dell'azzeccare il momento buono del mercato per entrarvi (market timing).
    I fondi comuni attivi di investimento, quelli in cui il gestore seleziona i singoli titoli sui quali investire, danno l'opportunità di ottenere performance amplificate rispetto a quelle degli ETF passivi (che fotografano e seguono l'andamento di un mercato o di una sua particolare nicchia), ma portano con loro anche il rischio di incappare in perdite maggiori.
    Il gestore ha infatti il comando di una leva che può alzare o abbassare il valore dei risparmi investiti.

    Per scegliere lo strumento più opportuno, a costruzione del più ampio portafoglio d'investimento, è allora fondamentale verificare che quel fondo abbia una certa costanza di rendimento e, possibilmente, che non ricorra a estreme strategie di investimento, che possono dare risultati eccezionali o, al contrario, pessimi.
    A meno che non si tratti di scelte consapevoli, per una parte limitata del portafoglio.
    Il rischio è altrimenti quello di scappare dall'investimento, spinti dal panico e con il capitale falciato.

    Un modo per capire in quale tipo di fondo si sta investendo è guardare il suo drawdown storico, la perdita cioè massima fatta registrare in un particolare periodo di mercato, o la sua volatilità negativa, le oscillazioni cioè del fondo nei periodi di ribasso.
    Certo, drawdown e volatilità non sono informazioni facilmente a portata di mano dell'investitore...
    Seguimi però in questi 4 consigli:

    3 anni almeno
    Quando ti propongono (o stai per scegliere) un fondo comune di investimento, dà un occhio alla sua data di partenza: lo strumento finanziario che sei in procinto di acquistare dovrebbe avere una storia di almeno 3 anni, il tempo minimo per dare un giudizio all'operato del suo gestore.
    E a volte, 3 anni sono anche pochi.

    Periodi esagerati
    I 3 anni di cui sopra sono la regola.
    Vi sono poi le eccezioni.
    L'eccezione più importante riguarda l'esuberanza (fase Toro) o la depressione (fase Orso) di un determinato periodo storico.
    Ricordi il 2008 e la crisi Lehman?
    O anche, più semplicemente, quanto accaduto lo scorso anno nei mercati finanziari?
    Ecco, questi balzi, soprattutto verso il basso, vanno presi in considerazione: le performance realizzate dal gestore possono infatti aver subito una rilevante distorsione causata da quel determinato momento storico.
    Meglio allora qualche chiarimento in più, magari da parte del consulente di turno.

    La scelta del gestore poco "star"
    Meglio guadagnare il 20% in un anno, ma perdere la stessa percentuale (se non anche di più) l'anno successivo?
    O meglio scegliere un fondo che storicamente ha guadagnato meno, ma in modo sistematico e senza particolari scossoni?
    Il primo è per cuori forti, il secondo è invece più consono a coloro che vorrebbero portare a casa un pò di guadagno, preservando al tempo stesso il proprio capitale investito.

    Attenzione alle mode
    Ultimo ma non ultimo, evita di investire tutto (o buona parte) il tuo capitale in temi specifici molto di moda.
    Ricordi, a tal proposito, i titoli dot.com di inizio 2000?
    Una moda del momento è, ad esempio, quella relativa all'Intelligenza Artificiale.
    Leggi sempre la documentazione esplicativa, o fattela almeno spiegare come si deve!
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    3 - ALLA RICERCA DI DIVERSIFICAZIONE E GUADAGNI EXTRA: I MERCATI PRIVATI (1di2)

    Il 2022 da poco concluso, ci ha lasciato in eredità rinnovate possibilità di scelta sui tradizionali mercati obbligazionari e azionari, dove i rendimenti sono tornati a farsi potenzialmente molto interessanti.
    Un ambito di grande interesse che, invece, già c'era e sempre più ci sarà in futuro, è quello legato ai cosiddetti "private markets", quei mercati privati (non quotati e non pubblici) dove si trova un'intera galassia di opportunità per diversificare il proprio portafoglio d'investimento.

    Si tratta di investimenti non quotati in aziende, crediti, immobili e infrastrutture, in grado di congiungere il risparmio privato ad attività che necessitano di capitali per espandere e potenziare il proprio business, in cambio di ritorni extra performanti. 
    Un bacino alternativo che, a livello globale, vale già il 13% delle masse gestite, e dove sempre più gli investitori vanno a pescare, per trovare rendimenti più elevati e, soprattutto, de-correlati dall'andamento dei mercati finanziari tradizionali.
    Il tutto, però, in cambio di una certa pazienza e fedeltà all'investimento scelto, dal quale spesso si è vincolati per un periodo di tempo di 7-10 anni, o anche superiore.

    Un tempo, queste opportunità erano appannaggio dei soli investitori istituzionali e delle famiglie multimilionarie.
    Di recente, però, le porte dei mercati privati si sono aperte anche agli investitori privati più tradizionali e con risorse meno ingenti, ad esempio attraverso i fondi chiusi europei a lungo termine denominati ELTIF, che permettono di accedere all'investimento in asset illiquidi a partire da 10mila euro.
    Si tratta per lo più di prodotti sottoscrivibili all'interno di una specifica finestra di collocamento, terminata la quale le masse raccolte vengono subito impiegate per lo scopo dichiarato.
    Alcuni di questi fondi chiusi investono allora nel capitale di aziende non quotate (private equity venture capital), mentre altri hanno il loro focus nel debito non quotato (private debt), nelle infrastrutture, o mescolano le diverse strategie all'interno di un singolo strumento (multi-asset).
    Esistono anche alcuni fondi con specifiche caratteristiche, denominati PIR, che permettono all'investitore di accedere ad importanti benefici fiscali, come l'esenzione dalla tassazione sui guadagni.
     
    Insomma, al giorno d'oggi, soprattutto per chi possiede importanti capitali, focalizzarsi esclusivamente sui mercati quotati significa guardare solo ad una porzione limitata delle opportunità a disposizione, precludendosi così la possibilità di partecipare a fasi importanti della creazione di valore di aziende italiane, europee, ma anche globali.
    Tutto ciò trova ampio riscontro nei rendimenti storici di queste asset class, che sono arrivate a consegnare rendimenti medi annui tra il 10 e il 30% per quanto riguarda il private equity, tra il 7 e il 12% per il private debt, e tra il 3 e il 16% per quanto riguarda infine l'ambito infrastrutture e real estate.

    Certo, i mercati privati non sono adatti a tutti gli investitori, ma, per chi può e decide di destinar loro una parte del portafoglio d'investimento, stimolano a guardare al lungo termine, oltre al fatto che, per chi già li possedeva lo scorso anno con tutto quanto accaduto nei tradizionali mercati quotati, i private asset hanno espresso tutta la loro capacità di stabilizzare e diversificare il portafoglio, consentendo agli investitori di non subire (e soffrire) la quotidiana volatilità delle Borse. 

    Nella mia prossima 7in7, entrerò maggiormente nel dettaglio, parlandoti delle caratteristiche del Private Equity, del Venture Capital, del Private Debt e del Real Estate.
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    4 - OLTRE IL 60% E' ASIA

    Lo scorso 15 Novembre la popolazione mondiale ha raggiunto lo storico traguardo degli 8 miliardi, simbolicamente attribuito dalle Nazioni Unite a una nuova nascita avvenuta a Manila, nelle Filippine.
    Una decisione in linea con le future proiezioni demografiche, che imputano gran parte della crescita della popolazione mondiale, da qui al 2050, a soli 8 paesi, metà di questi dell'Africa sub-sahariana, e metà dell'area asiatica.
    Questa celebrazione fa seguito ai 7 miliardi toccati nel 2011, mentre gli step precedenti, 5 e 6 miliardi, sono datati rispettivamente 1987 e 1999.

    La popolazione mondiale ha registrato una crescita lenta, prossima allo zero, fino al 1700.
    Cosa, purtroppo, dovuta all'elevato tasso di mortalità infantile.
    Il trend ha poi visto una forte accelerazione, se si considera che in appena duecento anni siamo passati da 1 a 8 miliardi, con un picco di fertilità nella metà degli anni '60.
    Ora, grazie anche ai passi da gigante compiuti nell'ambito sanitario, che hanno avuto un importante e positivo impatto riducendo tantissimo la mortalità infantile, cresciamo in media dell'1% l'anno.
    Per circa 60 milioni di morti, si registrano infatti in media 140 milioni di nuove nascite annue, per un delta positivo di 80 milioni di persone.

    L’ONU prevede una popolazione mondiale in continua crescita, in grado di raggiungere 9,7 miliardi di persone nel 2050, e 10,9 miliardi entro il 2100, con aspettative di vita in miglioramento un pò ovunque.
    Per quanto riguarda invece proprio l'aspettativa di vita, si ritiene che salirà dai 72,6 anni del 2019, ai 77 anni del 2050, anche se ancora persistono importanti divari di longevità tra i singoli paesi.
    In quelli meno sviluppati permane infatti un alto tasso di mortalità infantile e materna, maggiori conflitti, standard sociali inferiori e, ancora, un elevato impatto di pandemie ed epidemie (HIV in primis).

    Cina (1,44 miliardi) e India (1,38 miliardi), sono di gran lunga i due paesi più popolosi al mondo.
    Pesano rispettivamente il 19 e il 18% della popolazione mondiale (di cui oltre il 60% vive in Asia), contro i 333 milioni degli Stati Uniti.
    Il 17% del pianeta vive oggi in Africa, il 10% in Europa, l'8% in America Latina e Caraibi, e il restante 5% in Nord America e Oceania.
    In ambito curiosità, nel corso del 2027 la popolazione indiana potrebbe superare quella cinese, vista in diminuzione del 2,2% tra il 2019 e il 2050.

    Lato demografico, ci sono quindi molte forze in atto che impattano direttamente su diversi settori: dai consumi, all'urbanizzazione e alle infrastrutture, passando per il settore sanitario (con particolare attenzione alla cultura della prevenzione), e finendo poi con tutto ciò che coinvolge il sistema alimentare e produttivo, che va ripensato con l'obiettivo di sfamare sempre più persone, preservando, al contempo, le risorse naturali e l'ambiente.
    In quest'ottica si inserisce la transizione ecologica e l'attenzione al concetto di riciclo e riutilizzo, in particolare per beni preziosi come i metalli industriali e l'oro blu (l'acqua). 
    Tutto questo è futuro.
    Un futuro su cui si deve investire.
    Anche Azimut, come altre società di gestione, è operativa da tempo su questi megatrend, con soluzioni specifiche globali assolutamente ben gestite.
    Io, come sempre, sono ben volentieri a tua disposizione per affrontare assieme questi temi, e calarli eventualmente nelle tue esigenze e nei tuoi obiettivi d'investimento.
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    5 - CI SERVE MOLTA PIU' PROTEZIONE

    Noi italiani abbiamo ancora troppa poca confidenza con i prodotti assicurativi.
    Una recente indagine dell'Ivass (Istituto per la Vigilanza sulle Assicurazioni), ha messo infatti in luce un annoso problema del nostro popolo, che, da sempre, risulta sottoassicurato ed è poco confidente con i prodotti di tutela e protezione.
    Anche se, va detto, ci sono importanti divari tra le varie aree geografiche interne al nostro paese.

    Il problema di fondo è che le nozioni di base e i prodotti assicurativi stessi sono poco conosciuti nel nostro territorio.
    Non parlo naturalmente delle assicurazioni obbligatorie come la RC Auto, ma di tutte quelle forme di tutela e prevenzione che vengono spesso tralasciate o, peggio, snobbate.
    Tra le polizze non obbligatorie troviamo, in ordine di diffusione, le assicurazioni sulla casa, le RC capofamiglia, le polizze infortuni, quelle relative al caso morte, e, infine, quelle relative alla previdenza complementare, alle calamità naturali, alle malattie, ai rischi professionali e agli animali domestici. 
    Rispetto al Nord, la percentuale di italiani che non hanno alcuna polizza, ad eccezione di quelle obbligatorie, è quasi il doppio al Centro e il triplo al Sud e nelle isole.
    Un divario che riguarda soprattutto le polizze casa, calamità naturali ed RC famiglia.

    Ivass, attraverso un'intervista condotta a 2.000 italiani, ha indagato le conoscenze di base, chiedendo il significato di tre concetti tipici del mondo assicurativo: Premio, Franchigia e Massimale. 
    Il risultato è stato ampiamente insufficiente: la percentuale di chi ha risposto correttamente su tutti e tre i concetti è stata solo del 14%.
    Il livello di conoscenza è direttamente correlato al livello di scolarizzazione.
    A un maggior titolo di studio sono associati livelli di conoscenza più elevati.
    Le risposte corrette sono arrivate in generale più dagli uomini che dalle donne, e più al Nord che al Sud e alle Isole.
    L'indagine mette in luce anche un'errata percezione del proprio livello di alfabetizzazione assicurativa: si tende cioè a sovrastimare le proprie conoscenze e a ritenersi più esperti di ciò che si è.
    In questo contesto, rimane comunque saldo il ruolo dell'assicuratore, figura verso la quale i 2/3 del campione intervistato esprime fiducia e soddisfazione.

    L'analisi evidenzia, ancora una volta, come sulle assicurazioni serva più cultura ed educazione nel Belpaese, anche se, tra gli intervistati, solo in pochi attribuiscono questo compito al luogo d'istruzione per eccellenza, la scuola.
    Ben il 60% di chi ha risposto all'indagine, ritiene infatti che il gap andrebbe colmato dalle istituzioni pubbliche (la stessa Ivass, Consob, Banca d'Italia...), mentre il 45% ritiene che questo ruolo educativo e informativo spetti alle banche, alle compagnie e agli intermediari assicurativi.

    Forse, ancor prima di tutto, sarebbe necessario far emergere i nostri bisogni latenti, i rischi che corriamo nel nostro quotidiano e che spesso nemmeno percepiamo.
    Ecco allora che un colloquio con l'assicuratore di fiducia può essere un primo, importante passo da compiere.
    Un vero e proprio check-up assicurativo quindi, illustrando la nostra personale situazione (casa di proprietà o in affitto, figli, lavoro autonomo o dipendente...) per valutare in che ambito siamo eventualmente più scoperti e a rischio.
    Ovvio, è pressoché impossibile assicurarsi contro tutto e contro tutti, ma in Italia ci si deve certamente assicurare di più, e meglio.
    Mettere in sicurezza se stessi e la propria famiglia viene ancora prima dell'investimento.
    Perché coprirsi a dovere dai rischi, libera capitale e, soprattutto, genera serenità e tranquillità in ottica futura.
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    6 - RUBRICA: LA PSICOLOGIA DEI SOLDI (RISPARMIARE)

    Torna anche a Febbraio l'appuntamento mensile della mia 7in7 dedicato allo splendido libro di Morgan Housel "La psicologia dei soldi".
    Ti porto oggi alla scoperta del 10° capitolo dal titolo Risparmiare (L'unico fattore che possiate controllare genera una delle poche cose davvero importanti. Non è meraviglioso?).

    Quando parliamo di denaro e ricchezza, il risparmio è l'unico fattore controllabile dall'essere umano.
    Ma le persone necessitano di essere convinte a risparmiare.
    Il rendimento degli investimenti, soprattutto nel lungo periodo, può anche farci diventare ricchi, ma il fatto che una strategia di investimento funzioni o no, e quanto a lungo funzionerà, se i mercati collaboreranno ... resterà sempre un'incognita.
    I risultati sono infatti sempre avvolti nell'incertezza.
    Il risparmio personale e la parsimonia (l'equivalente economico del risparmio energetico di cui tanto si parla oggi), sono invece elementi su cui possiamo esercitare il nostro controllo, e hanno il 100% di probabilità di essere efficaci in futuro come lo sono oggi. 

    Ti faccio un esempio a tal proposito.
    Con la crisi petrolifera degli anni '70, sembrava che il mondo stesse per rimanere senza energia. 
    Il fattore principale che ha permesso di superare quella crisi, non è stato tanto l'aumento dell'energia disponibile ed estratta, ma l'aumento della ricchezza energetica.
    Ciò è avvenuto in un solo modo: riducendo l'energia di cui il mondo aveva bisogno.
    Iniziando cioè a produrre auto, fabbriche e case più efficienti.
    Il livello di energia disponibile è un fattore sostanzialmente fuori dal nostro controllo, perché dipende da una complessa miscela di condizioni di vario tipo.
    Diventare invece più efficienti nell'utilizzo dell'energia che già abbiamo, è certamente un fattore su cui è possibile intervenire.
    La decisione di comprare un'auto più piccola, o di andare in bicicletta, spetta a noi, e ha il 100% di probabilità di aumentare l'efficienza.
    Lo stesso vale allora per i nostri soldi.

    La ricchezza non è altro che ciò che resta dopo aver speso una parte del nostro reddito.
    Possiamo costruire ricchezza anche senza un alto reddito, ma non possiamo farlo senza un alto tasso di risparmio.
    Si risparmia spendendo meno.
    Si può spendere meno, se si desidera di meno.
    E si desidera di meno, se ci importa di meno dell'opinione altrui.
    Il nostro rapporto con il denaro è così più governato dalla psicologia che dalla finanza.
    Uno dei modi più efficaci per aumentare il risparmio, allora, non è quello di aumentare il reddito, quanto piuttosto quello di aumentare l'umiltà.
    Quando definiamo i risparmi come lo scarto tra il nostro ego e il nostro reddito, capiamo perché molte persone, con un reddito anche importante, risparmiano poi così poco.
    E' una quotidiana lotta contro l'istinto del pavone di fare la ruota, e tenersi al passo con le ruote altrui.

    Ti dirò di più: non serve avere per forza un obiettivo specifico per risparmiare, anzi.
    Il risparmio può anche essere fine a sé stesso, ed è (forse in parte) la forma migliore, perché il denaro ha dei vantaggi intangibili che possono essere molto più preziosi rispetto alle cose tangibili, che sono poi i più ovvi obiettivi del nostro risparmio.
    Risparmiare senza un obiettivo di spesa offre più opzioni e maggiore flessibilità.
    Come la possibilità di aspettare e l'opportunità di cogliere le occasioni, nella carriera come negli investimenti.
    Come, ancora, avere il controllo del proprio tempo.
    Questo è il rendimento, invisibile e non tangibile, della ricchezza.
    Perché ogni piccola cifra risparmiata è un pò come prendere un momento nel futuro, che sarebbe appartenuto a qualcun altro, e restituirlo a noi stessi.

    Dopo tutte queste riflessioni, è necessario fare un ulteriore passo avanti nella consapevolezza.
    Nel prossimo capitolo, l'undicesimo del libro, scopriremo allora perché è meglio essere ragionevoli, piuttosto che freddamente razionali.
    Ci rileggiamo con Morgan Housel tra un mese esatto: Venerdì 10 Marzo!
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    7 - LA SVOLTA GREEN E DIGITAL DI INTERFLORA

    Nella mia 7in7 di Venerdì 27 Gennaio, ti ho raccontato della rivoluzione smart e digital che sempre più sta interessando le nostre abitazioni.
    Anche appena fuori dall'uscio di casa, però, possiamo apprezzare come servizi e settori tradizionali si stiano reinventando per stare al passo con i tempi. 

    E' questo il caso di Interflora, storica realtà con oltre un secolo di storia. 
    Il primo fiorista che pensò di allargare il proprio business alle consegne a domicilio, fu il berlinese Max Hubner, che nel 1908, in sella al suo cavallo, iniziò a consegnare fiori nel suo villaggio e in quelli limitrofi.
    Hubner fu da esempio per la nascita dell'Unione Fioristi Italia, fondata poi nel 1928. 
    In seguito, le varie associazioni presenti nei principali paesi fondarono Interflora per come la conosciamo oggi, con il famoso slogan "fiori in tutto il mondo". 
    Oggi è questa una realtà presente in 150 paesi, con un network di 58mila punti vendita. 
    In Italia ci sono 1.400 fioristi affiliati (su 6.000 totali), che consegnano mediamente 300mila bouquet all'anno per un totale di circa 3,5 milioni di fiori.

    Oggi Interflora non consegna però soltanto fiori.
    Il suo intento è quello di regalare una vera e propria esperienza.
    Assieme a fiori e piante spedisce infatti spesso anche orsetti, cuori, cioccolatini e bottiglie di buon vino.
    L'azienda ha conosciuto un deciso rilancio in epoca di pandemia: è stata infatti una delle realtà fortunate che ha visto aumentare i propri ricavi, a causa del distanziamento sociale e dell'impossibilità, molto spesso, di festeggiare eventi e ricorrenze con i propri cari.
    Tra il 2017 e il 2020 i bilanci avevano fatto registrare delle perdite, mentre tra il 2020 e il 2021 i ricavi sono aumentati del 28%, con un fatturato di 25 milioni soltanto nel nostro paese.

    Dal 2022 Interflora ha deciso di rinnovare la sua immagine, con un nuovo logo e, soprattutto, con un nuovo modello di business in grado di stare al passo con i tempi. 
    Già pioniera delle consegne veloci, con circa la metà dei fiori che viene inviata il giorno stesso, Interflora ha deciso di potenziare il proprio e-commerce sviluppando una piattaforma digitale più sofisticata, già attiva sul territorio francese. 
    Ora tocca all'Italia, con un sito più snello, intuitivo e con immagini più accattivanti e immersive.
    Interflora punta ad una crescita a due cifre, e per farlo ha l'obiettivo di aumentare la propria capillarità territoriale, raggiungendo quel 75% di fioristi italiani che ancora non fa parte del network.
    Un particolare focus è rivolto al tema della sostenibilità, con scelta di packaging realizzati in carta FSC e grande attenzione allo smaltimento dei rifiuti.
    Infine, si punta molto alle "quote rosa" in azienda, dichiarate proprio come uno degli obiettivi aziendali.
    Il processo è già in atto: negli ultimi 15 mesi, il 72% delle assunzioni è stato femminile, in particolare nella digital factory dove sono entrate nuove professionalità legate al mondo digitale, necessarie per rinnovare un servizio decisamente classico in veste moderna, e far "sbocciare" così i ricavi aziendali verso gli obiettivi dichiarati dalla proprietà.

    Ecco, la proprietà.
    E' proprio questo il motivo per cui ho voluto parlarti oggi di Interflora.
    Interflora è un'azienda appartenente ad un fondo di private equity.
    Pai Partners, uno dei principali player europei del settore, l'ha infatti acquisita a fine 2020.
    Investire allora in un fondo di private equity, permette di entrare nel capitale e nel business di grandi aziende non quotate in Borsa, ma non per questo in grado di crescere in maniera importante negli anni a venire, generando così valore a favore della proprietà e degli azionisti, ma valore anche per il territorio nel quale l'azienda è radicata.
    Nelle mie prossime 7in7 avrò modo di parlarti di molte altre aziende partecipate, come Interflora, da fondi di private equity.
    Tutte realtà accomunate dall'obiettivo di darsi un'importante struttura, crescere e svilupparsi in aree geografiche caratterizzate da grandi opportunità, e generare così valore nel tempo.
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    E' tutto anche per questa mia 7in7, già la terza del 2023.
    Ci rileggiamo (o riascoltiamo) il 24 Febbraio.
    Ti auguro un sereno fine settimana.
    Un caro saluto.

    Davide