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www.davideberto.it2024-10-11
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    Quando affidiamo i nostri risparmi ad una persona, la prima qualità da ricercavi è una: l'onestà.
    Onestà tradotta nei costi applicati, onestà in termini di integrità morale e umana, onestà in modo tale che di quella persona ci si possa veramente fidare.
    La fiducia è fondamentale, perché arriverà sempre il momento in cui il mercato metterà alla prova la nostra pazienza, e ci metterà a disagio spingendoci, se possibile, a un maggior controllo sulla nostra situazione finanziaria.
    E' qui che sapere di potersi fidare del Consulente diventa una buona base da cui (ri)partire.

    Ecco allora che una "due diligence" iniziale è molto importante.
    Consiglio da Consulente a cliente: prima di metterti nelle mani di un Professionista del settore, verifica che non sia stato esposto a multe, a provvedimenti disciplinari, chiedi possibilmente delle referenze, presta attenzione al suo modo di comunicare controllandone il gergo ed il vocabolario (espressioni, ad esempio, come "rendita garantita", "capitale garantito", "possiamo battere il mercato", "tutti sbagliano ma io so cosa fare", dovrebbero rappresentare dei campanelli d'allarme e portano spesso a dei guai più che a delle opportunità).
    Ricordati sempre che "le uniche persone che sovraperformano sempre il mercato sono 2: Dio e i bugiardi" (cit.).

    Ti auguro una piacevole lettura!
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    1 - L' ARTE DEL RIBILANCIAMENTO DI PORTAFOGLIO

    Quando comprare?
    Quando vendere?
    Quanti soldi metterci?
    Gli investitori tendono a farsi continuamente queste domande: quando i mercati salgono e temono di perdere il trend rialzista, quando al contrario scendono e la paura fa 90, oppure, ancora, quando i mercati rimangono laterali senza un chiaro trend in un verso oppure nell'altro.

    Le condizioni dei mercati finanziari possono variare in continuazione, e noi investitori, che possiamo solamente assistere a questi cambiamenti senza potervi influire, siamo spinti dall'impulso di reagire ad ogni cambiamento.
    Se il mercato scende a rotta di collo, più di qualcuno può pensare "fammi vendere tutto prima che le perdite aumentino ancor di più...", qualcun'altro può invece pensare "con i prezzi così a sconto, e' ora di fare magazzino...".
    Se il mercato, al contrario, sta salendo a tutto spiano, qualcuno sicuramente è portato a pensare "meglio vendere prima che scoppi la bolla...", oppure ancora "devo assolutamente comprare prima di rimanere con il cerino in mano mentre tutti gli altri guadagnano...".

    Chi ha ragione?
    Chi ha torto?

    Al riguardo ci sono un sacco di modi di dire o frasi famose, come ad esempio "Si comprano le discese e si vendono le salite!", "Lascia correre le posizioni in guadagno, ma metti un freno a quelle in perdita", oppure ancora "Il mio preferito periodo d'investimento? Per sempre!".
    Il fatto è che il più azzeccato corso d'azione diventa chiaro solamente con il senno di poi.
    Però, la cosa davvero corretta da fare per un investitore è comprare o vendere quando la propria personale strategia d'investimento lo prevede, o solamente quando cambiano le proprie personali condizioni finanziarie.
    Ad esempio, quando tuo figlio raggiunge la maggiore età, ed è arrivato il momento di disinvestire quella parte di portafoglio dedicata all'obiettivo di pagare i suoi studi universitari, o una sua esperienza di studio/lavoro all'estero.
    Oppure, quando la tua carriera lavorativa subisce un cambiamento, non ricevi più il compenso di prima (può essere un compenso inferiore ma anche superiore), e devi quindi rimodulare il tuo tasso di risparmio, di investimento, magari anche l'esposizione e l'orizzonte temporale dei tuoi investimenti finanziari in essere.

    Ancora, è assolutamente corretto vendere o comprare quando è arrivato il momento di ribilanciare i tuoi investimenti.
    Quando si tratta di ribilanciare il tuo portafoglio d'investimenti, in sostanza vendi gli asset che hanno guadagnato e sono saliti, per comprare magari gli asset che hanno perso e sono scesi.
    Il tutto al fine di riportare il portafoglio ai pesi di partenza.
    Nel caso del ribilanciamento di portafoglio, è vero che si va ad agire in risposta ai movimenti di prezzo dei mercati finanziari, ma non lo si fa di certo rincorrendo ogni loro cambiamento.
    Nel ribilanciamento, quando comprare/vendere e in che misura (cioè con quanti soldi), lo si fa secondo le precise regole del (bravo) Consulente Finanziario.
    Regole stabilite precedentemente all'interno della strategia di investimento.
    Così facendo, l'ansia di vendere sui minimi o la preoccupazione di comprare sui massimi viene eliminata.

    Il ribilanciamento ha senso quando si ha chiarezza nella costruzione di portafoglio.
    Una chiarezza decisa dopo un'accurata analisi della propria situazione finanziaria e del personale profilo di rischio.
    Il tutto collocato a sua volta all'interno di una pianificazione della propria finanza personale, che prende in considerazione svariati aspetti della tua vita.
    Una matrioska di step in sostanza: non è possibile arrivare alla più piccola e interna, se prima non ci si occupa di quelle più grandi.

    Spero allora ti sia chiaro che partire da una solida pianificazione delle tue finanze è la chiave per compiere, a cascata, le più corrette decisioni per la tua personale situazione.
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    2 - I RISCHI DEGLI INVESTIMENTI OBBLIGAZIONARI (2di2)

    Dopo svariati anni di tassi d'interesse a zero, o addirittura negativi, anche gli investimenti obbligazionari tornano ora ad essere interessanti nell'ottica della costruzione di un portafoglio d'investimento.
    Per ogni opportunità, nell'ambito finanziario, vi sono però sempre dei rischi che occorre considerare.
    Due settimane fa ho allora iniziato a spiegarti i rischi degli investimenti obbligazionari, parlandoti del rischio di credito, del rischio valutario, e del rischio di liquidità.
    Voglio oggi chiudere il cerchio affrontando per te altre 3 tipologie di rischi.
    Perché chi sa e conosce, può prendere delle decisioni consapevoli.
    Seguimi!

    . RISCHIO INFLAZIONE
    Quando si acquista e si investe il proprio capitale in un titolo obbligazionario, soprattutto a tasso fisso, si va a bloccare un rendimento determinato che, a meno di default dell'emittente, si otterrà detenendo l'obbligazione fino alla sua scadenza.
    Un aumento inaspettato dell'inflazione nel corso della vita del titolo, potrebbe però ridurre il valore reale delle cedole e del nominale che sarà restituito a scadenza.
    Più che il rendimento nominale del titolo, quello che viene cioè fissato quando acquistiamo un'obbligazione, e che otterremo detenendola fino a scadenza, ci interessa il rendimento reale, che rappresenta il rendimento nominale al netto dell'inflazione.
    Se compro un titolo che rende il 3% e l'inflazione è al 2%, il rendimento reale sarà dell'1%.
    Un aumento dell'inflazione fa quindi diminuire il rendimento che realmente deriva dal detenere il titolo.
    Per proteggersi dal rischio inflazione, esistono dei titoli obbligazionari detti inflation linked il cui rendimento è legato all'andamento dell'inflazione stessa.

    . RISCHIO DI REINVESTIMENTO
    Quando gli investitori ricevono il pagamento delle cedole sulle loro partecipazioni obbligazionarie, o quando viene loro rimborsato il capitale investito inizialmente, possono decidere di reinvestire le somme percepite in altri nuovi titoli obbligazionari.
    Se i tassi d'interesse sono però scesi rispetto all'ultima volta in cui sono state acquistate le obbligazioni, potranno disporre, a parità di rischio, solamente di titoli con tassi di rendimento inferiori.
    Questo è appunto il rischio di reinvestimento.

    . RISCHIO DI TASSO D'INTERESSE
    Se investo in un'obbligazione a tasso fisso con rendimento del 3%, sono sicuro che a scadenza, a meno di fallimento dell'emittente, otterrò il 3%.
    Questo vale ovviamente se tengo il titolo fino alla sua scadenza naturale.
    Ma che cosa succede nel corso della vita dell'obbligazione?
    Il prezzo del titolo non è fisso, varia sulla base di determinati fattori.
    Supponiamo che i tassi d'interesse salgano, e che obbligazioni simili a quella in mio possesso siano emesse a un nuovo rendimento del 4%.
    Chi sarà interessato a comprare la mia obbligazione quando nel mercato se ne trovano di simili, ma ad un rendimento più elevato?
    Perché la mia obbligazione diventi nuovamente appetibile, il suo prezzo dovrà scendere fino a quando il prezzo di acquisto più basso, insieme alle cedole periodiche, non garantiranno ai potenziali nuovi acquirenti un rendimento in linea con le nuove emissioni.
    Questo è un rischio perché, se volessi vendere il titolo prima della sua scadenza naturale, lo dovrei fare ad un prezzo più basso di quello d'acquisto, realizzando così una perdita in conto capitale.
    Nasce così la relazione inversa tra rendimento e prezzo di un'obbligazione: quando i rendimenti salgono, i prezzi delle obbligazioni scendono, e viceversa.
    Ma non tutte le obbligazioni reagiscono nello stesso modo rispetto a una determinata variazione dei tassi d'interesse.
    Vi sono obbligazioni più sensibili, e altre meno.
    Il concetto di duration (o durata finanziaria) fornisce una misura del rischio legato a variazioni dei rendimenti per un particolare bond: maggiore è la duration del titolo, maggiore è anche il suo rischio, e viceversa.
    Non voglio dilungarmi ulteriormente, ma:
    1. più lontana nel tempo è la scadenza dell'obbligazione, maggiore è la sua duration;
    2. più basse e contenute sono le cedole corrisposte dal titolo obbligazionario, maggiore è la sua duration;
    3. più bassi e contenuti sono i rendimenti di mercato, maggiore è la duration del titolo.
    Per le obbligazioni a tasso variabile, l'impatto sui prezzi delle variazioni dei rendimenti di mercato è estremamente limitato, in quanto queste adeguano costantemente le loro cedole all'andamento dei tassi d'interesse.
    Il rischio è così limitato all'intervallo di tempo che intercorre fino alla cedola successiva.

    Investendo allora in un paniere (Fondo Comune d'investimento o ETF) di titoli obbligazionari, si potranno mitigare tutti i rischi, da me trattati in queste settimane, relativi a quest'asset class.
    Attenzione maggiore va invece posta quando si intende investire in un singolo titolo.
    Perché, come avrai capito, anche le obbligazioni possono nascondere insidie che, molto spesso, si tendono a sottovalutare.
    Com'è solito dire il buon Warren Buffett, "Investire è semplice, ma non è facile!"...
    Questo vale allora anche per l'universo dei bond!
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    3 - IN MANCANZA DI MIGLIORI IDEE...

    Il termine inglese "buy-back" significa letteralmente "riacquisto".
    In ambito finanziario, è riferito a quelle operazioni attraverso le quali le aziende quotate in Borsa riacquistano azioni proprie.
    Le motivazioni per scegliere questa opzione possono essere molteplici: 
    - il varo di piani di remunerazione a favore dei manager aziendali, prevedendo l'assegnazione del premio sottoforma di titoli azionari;
    - l'avvio di strategie di espansione, ovvero la volontà di acquisire un'altra azienda pagandola in parte con azioni proprie.
    La maggior parte dei riacquisti ha però una differente motivazione: quella di sostenere la quotazione dell'azienda sui mercati finanziari, specialmente se si pensa che il titolo sia sottovalutato, e tranquillizzare in questo modo i grandi investitori.
    Più il numero di azioni in circolazione è contenuto, più l'utile per azione sale, e di conseguenza anche la quotazione dovrebbe crescere.

    Assieme alla distribuzione di dividendi crescenti, il buy-back fa da sostegno alla quotazione in tempi di mercati incerti, e può essere realizzato in due modi: attraverso un'offerta pubblica di acquisto, oppure acquistando le azioni direttamente sul mercato.
    Secondo gli ultimi dati, nel secondo trimestre del 2022 la distribuzione di utili ha conosciuto un rialzo dell'11% su base complessiva, stabilendo un nuovo record assoluto, dopo che già nel 2021 c'era stata una corsa ai dividendi a livello internazionale. 
    Anche il mercato italiano ha dato il suo contributo a questa crescita, avendo conosciuto un incremento nelle distribuzioni ben del 72%.
    Ma attenzione, non tutto è rose e viole: questa creazione di valore può avere conseguenze negative sul lungo termine.
    Se le aziende quotate ricorrono al buy-back, vuol dire probabilmente che non hanno trovato migliori idee per impiegare i propri capitali, né vie più tradizionali per far crescere il valore aziendale. 
    La strada più ovvia sarebbe, ad esempio, quella di perseguire un aumento dei profitti. 
    I buy-back sono allora la maniera meno produttiva di mettere a frutto i profitti, perché sottraggono risorse alla ricerca e alla crescita, e possono quindi rappresentare un rischio per il sistema.

    Non è un caso che si stia assistendo ad una pioggia di buy-back in questo complicatissimo 2022, nonostante i dati aziendali siano ancora positivi.
    Vediamo alcuni numeri che emergono dalle aziende quotate a Piazza Affari.
    Ferrari ha speso circa 2 miliardi, Eni 1,1 miliardi ed Stm 1 miliardo. 
    Al di sotto si collocano operazioni di società come Cnh Industrial (400 milioni), Buzzi Unicem (350 milioni) e Campari (110 milioni).
    I due casi più significativi e attesi riguardano però Intesa e Unicredit, con quest'ultima che ha avuto l'autorizzazione dalla Bce per completare il piano di riacquisti avviato nel 2021, giunto alla seconda tranche: l'obiettivo è di arrivare a 2,6 miliardi complessivi.
    L'autorizzazione è certamente considerata una notizia positiva dagli analisti, perché confermerebbe la solidità della banca pur con l'incognita Russia, nella quale Unicredit ha comunque già ampiamente ridotto la propria esposizione.
    Intesa, dal canto suo, ha già le autorizzazioni da parte dell'autorità di vigilanza, e sta premendo sull'acceleratore per completare il piano di riacquisto di azioni, finalizzato all'annullamento, per un valore complessivo di circa 3,4 miliardi. 
    Nella prima fase, l'azienda guidata da Carlo Messina punta a completare l'esborso per il 50% di quanto autorizzato; nel recente mese di Agosto, ad esempio, sono state cancellate oltre 322 milioni di azioni, pari a circa l'1,62% del capitale. 
    Stessa strada a Trieste con Generali, che ha comunicato di aver comprato oltre 1,5 milioni di azioni proprie, per un totale di 500 milioni di €.
    La stessa cifra verrà investita in più passaggi anche da Exor, quasi in concomitanza con l'annuncio del trasferimento del titolo alla borsa di Amsterdam.

    Insomma, una vera corsa quella ai buy-back, che, pur in carenza di idee, sostiene certamente la quotazione dei titoli e consente alle aziende di consolidare il rapporto con i grandi investitori.
    In attesa, comunque, di tempi migliori in cui fare profitti veri...
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    4 - IL PESANTE GAP DEI SALARI ITALIANI IN EUROPA

    Un sistema contrattuale antiquato, con scarso interesse per la produttività e sempre alla ricerca di bonus e sgravi fiscali, ma solo per i lavoratori di fascia bassa e medio bassa.
    Pochi salari di fascia alta, con il 60% dei lavoratori che non paga nulla di IRPEF, mentre i 5 milioni di contribuenti che dichiarano da 35mila € di reddito in su pagano il 60% di tutte le imposte senza agevolazioni e bonus.
    Prevale l'egualitarismo sul merito, i diritti sui doveri.
    Queste le caratteristiche salienti del mondo del lavoro dipendente in Italia.
    E dal confronto con il resto d'Europa, ne usciamo con le ossa ben rotte...

    Per l'OCSE, l'Italia è l'unico paese che, negli ultimi 30 anni, ha visto i salari perdere potere d'acquisto (-2,9% in termini reali).
    Ma inquadriamo il contesto, guardando ai dati del 2021.
    La paga oraria media lorda nel bel paese è stata di 15,55 €.
    In Germania sfiora i 20 €, e la media dell'area Euro è di 16,9 €.
    La nostra retribuzione mensile media lorda è stata di 2.520 €, contro i 3.349 € dei tedeschi, i 2.895 dei francesi, e una media europea di 2.825 €. 
    La nostra retribuzione annua lorda si è attestata nel 2021 a 34.000 €, inferiore alla media europea (36.350 €) e lontanissima dai cugini tedeschi (oltre i 52.000 € lordi). 

    I salari, insomma, sono mediamente bassi, e il motivo è piuttosto semplice: in Italia la differenza tra salari "alti" e salari "bassi" è tra le più contenute d'Europa, con le retribuzioni "basse" che sono più alte della media europea, ma quelle "alte" ben più basse.
    Il grosso dei salari si distribuisce in una fascia medio-bassa, anche perchè non viene premiato il maggior livello di istruzione: i meno scolarizzati percepiscono in media 28mila € l'anno (una media più alta di quella europea attualmente attorno ai 25.500 €), mentre chi ha almeno il diploma superiore arriva appena a 44mila € (una media decisamente più bassa di quella europea che si attesta attualmente a 51.200 €).
    Impegno e studio vengono premiati all'estero.
    E questa, purtroppo, non è una novità.
    Sempre tenendo la Germania come esempio, troviamo una forbice ancora più ampia: dai 27mila € di chi ha fatto le scuole dell'obbligo, fino ai 68mila € di chi ha un diploma in mano.
    Ecco il paradosso: le retribuzioni italiane più basse sono comunque più alte della media europea, mentre i salari alti sono molto più distanti dalle medie, e penalizzati in termini di reale potere d'acquisto.

    Anche la differenza di salario tra i diversi settori produttivi dà importanti indicazioni sulle lacune strutturali del mercato del lavoro in Italia.
    La differenza di paghe tra il settore industriale (normalmente le più alte escluso l'ambito finanziario) e quello dei servizi, fatta eccezione la pubblica amministrazione, è molto accentuata in Germania arrivando al 23%, per scendere al 14,5% nell'area Euro, e crollare addirittura al 7% da noi.
    Questo appiattimento dei salari fra i diversi settori è dovuto principalmente a un livello relativamente alto della retribuzione nell'ambito dei servizi, e piuttosto basso per il settore industriale, pagato in Italia fino al 17% in meno rispetto alla media europea, e ben il 43,8% in meno rispetto alla Germania.
    Dati veramente impressionanti. 

    Tutto ciò è figlio dell'abnorme numero dei contratti collettivi nazionali, oltre 900, che coprono il 97% dei lavoratori e sono stati siglati per lo più da CGIL, CISL e UIL.
    Lo scopo delle rappresentanze sindacali è stato quello di tutelare indiscriminatamente il diritto al salario anche per le basse professionalità, senza riconoscere il merito, e appiattendo al massimo i livelli retributivi senza alcuna tutela per quelli più alti.
    Un sistema contrattuale decisamente superato, imperniato sulle fasce più deboli.

    Staremo allora a vedere se il neonato Ministero dell'Istruzione e del Merito riuscirà a restituire un pò di dignità e valore a chi più si impegna e si forma professionalmente. 
    Oppure, continueremo ad essere il paese fanalino di coda per quanto riguarda il mercato del lavoro, e a primeggiare per evasione fiscale, malavita, gioco d'azzardo e così via?
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    5 - UN PASSO NELLA STORIA: UNA PRIMITIVA FORMA DI VENTURE CAPITAL PER SCOPRIRE L' AMERICA

    Il 12 Ottobre è il Columbus Day negli Stati Uniti: la festa che celebra la scoperta dell'America risalente al 1492.
    In tutte le scuole si celebra questo giorno, raccontando di come i reali di Spagna (la regina Isabella di Castiglia e il marito Ferdinando di Aragona) sposarono la causa del grande navigatore genovese, mettendo con slancio a disposizione i fondi necessari alla storica impresa. 
    Le cose, in realtà, non andarono proprio così.
    Oggi voglio parlarti di questo evento storico proprio sotto il suo aspetto di pianificazione finanziaria.

    Colombo aveva provato a chiedere il supporto dei monarchi spagnoli già in precedenza, nel 1486, ma senza successo.
    All'epoca la casa reale era infatti concentrata nel combattere i Mori nel sud della Spagna.
    Il navigatore non si perse però d'animo, e tornò alla carica 6 anni dopo. 
    Solo l'intercessione di Luis de Santàngel, allora ministro delle finanze iberico, convinse la corona spagnola a finanziare l'ambizioso progetto di arrivare alle Indie navigando verso ovest.
    Insomma, la benevolenza e magnanimità dei reali di Spagna non sono mai esistite: si fecero convincere dalle prospettive, decisamente materialistiche, dei grandi profitti che sarebbero derivati da una nuova rotta commerciale verso le Indie.

    La casa reale spagnola era solo uno degli investitori che all'epoca si mossero per sostenere il progetto: l'impresa di Colombo fu infatti resa possibile da un consorzio di investitori, coordinati sempre dal potente e lungimirante Luis de Santàngel, il quale vi investì buona parte del proprio patrimonio personale.
    Oggi definiremmo tutto ciò come una forma di venture capital ante litteram, nella Siviglia del 15° Secolo.
    La missione fu così resa possibile dall'esistenza di un sistema finanziario certamente primitivo ma organizzato, dove i rischi venivano ponderati sulla base dei profitti attesi, che sarebbero stati divisi tra i soci finanziatori proporzionalmente al capitale investito.
    L'impresa di Colombo non sarebbe stata possibile senza quell'organizzazione di capitali, e senza il coinvolgimento di diversi soggetti. 

    Questo storico aneddoto deve allora insegnare che, allora come oggi, nessun sano sviluppo economico è possibile senza un sistema finanziario efficiente e regolato che lo possa sostenere e accompagnare.
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    6 - LA CASSA PEOTA DI TOMBOLO: VERA TRUFFA O CATTIVA GESTIONE?

    Ennio Doris, fondatore e presidente di Banca Mediolanum, da lassù starà guardando alla sua Tombolo in maniera preoccupata...
    Lui, paladino dei risparmi e dei risparmiatori, avrebbe fatto probabilmente di tutto pur di evitarlo.
    Eppure, proprio a pochi passi da casa sua, si è consumato un altro episodio di risparmio mal gestito o, peggio ancora, l'ennesima truffa.
    Oltre 800 mila € di risparmi di 200 famiglie andati persi, all'interno di una "gestione finanziaria" che ha origini nella lontana storia della Repubblica Serenissima.
    Sì, perché ti sto parlando di un antico modo di fare finanza e assistenza: la Cassa Peota, un'invenzione tutta veneziana.
    Una sorta di antenato degli attuali fondi comuni d'investimento.

    Ma di che cosa si trattava, nello specifico?
    Quando le navi mercantili partivano per i loro viaggi, alcuni signorotti affidavano al comandante (il Peota appunto) una cassa di denaro che lo stesso avrebbe dovuto utilizzare per l'acquisto di spezie e preziosi, la cui vendita avrebbe poi permesso di ricavare margini di guadagno ai sottoscrittori del progetto.
    Le Casse Peota, nel tempo, si sono poi trasformate in associazioni organizzative senza fine di lucro, radicate nel territorio (Veneto soprattutto) dove raccolgono piccoli risparmi dai propri associati, con i quali concedono prestiti per fini sociali e solidaristici.

    Arriviamo ora alla Cassa Peota di Onara, piccola frazione di Tombolo, Agosto 2020.
    Da 30 anni la Cassa raccoglieva i risparmi, rilasciava libretti e, a fine anno, i (presunti) interessi maturati.
    Una vicenda, appunto, trentennale, all'interno di un paese dove tutti si conoscono e si fidano l'uno dell'altro, e dove gli affari si fanno spesso al tavolo di piccole osterie.
    Tutto si basava sulla fiducia, molto spesso massima da parte dei singoli investitori.
    La faccenda è esplosa circa 2 anni fa, quando, il primo Agosto del 2020, muore lo storico tesoriere della Cassa.
    Gli investitori, dopo tanti anni, iniziano a chieder lumi in merito ai loro "investimenti", ma né la segreteria, né i collaboratori della Cassa sanno dare spiegazioni: le somme versate non si trovano più.
    Sparite nel nulla.
    I risparmiatori decidono allora di sporgere denuncia, ma le informazioni scarseggiano.
    A dare qualche indicazione è la segretaria della Cassa che, in una riunione con i risparmiatori nell'Agosto del 2020, aveva spiegato che uno degli istituti ove venivano girati gli investimenti sarebbe stata la Banca Popolare di Vicenza.
    Ma è proprio in queste ultime settimane che, tra denunce e inchieste, si sta cercando di far luce sul perché quei soldi siano spariti.

    Vera truffa o cattiva gestione?
    Le due cose a volte si sovrappongono...
    Alle Casse Peota vengono richieste pratiche che meriterebbero professionalità diverse, competenze finanziarie e responsabilità maggiori, mentre spesso si ritrovano affidate a chi, tali competenze e responsabilità, non sempre è in grado di sostenerle.
    Sono, insomma, un retaggio del passato.
    Hanno permesso probabilmente a tanti di usufruire di denaro, e di accantonarlo anche; tuttavia oggi rappresentano un inaccettabile anacronismo.
    Bisognerebbe allora iniziare ad accettare i cambiamenti, e a comprendere che non sempre qualcosa che andava bene ieri può essere ideale e appropriato anche oggi.
    Non trovi?
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    7 - LA LUNGA MARCIA DEL BAMBINO CHE DISEGNAVA AUTO SULLA SABBIA...

    Il recentissimo salone dell'auto di Parigi, passerà alla storia non certo per la rilevanza delle (poche) novità presentate, quanto piuttosto per la massiccia presenza di costruttori cinesi che, sempre più, stanno mostrando i loro muscoli.
    Ultimamente sembrano quasi dire: "Ci credevate dei costruttori di serie B, capaci solo di scopiazzare e costruire auto brutte e con una tecnologia arretrata. E invece no! Siamo qui, pronti a sfidare e a battere i tradizionali colossi automobilistici, con idee fresche, innovative, display sempre più evoluti e superbatterie".
    Ma com'è stato possibile tutto questo?
    Semplice, la rivoluzione dell'auto elettrica spinta dall'UE ha ridotto il gap competitivo, spostandone il baricentro verso software ed elettronica.
    I cinesi hanno dunque finito di copiare in malo modo?
    Sì, ma solo in parte, perché le ispirazioni le hanno prese eccome...

    In questo nuovo contesto di mercato, spicca in particolare la figura dell'ingegnere cinese Li Shufu.
    La sua Geely Holding è la più grande casa automobilistica privata della Cina, terzo produttore di auto nel paese che vanta oggi il più grande mercato automobilistico al mondo, e la più globalizzata con partecipazioni a tutti i livelli in tutto il mondo.
    Le sue ambizioni non si fermano infatti al vasto mercato asiatico: un passo alla volta sta prendendo posizione in Europa.
    Volvo, i taxi neri di Londra, Lotus, Mercedes, Aston Martin, Renault... 

    Il suo percorso nel vecchio continente è iniziato nel 2010, quando staccò un assegno da 1,8 miliardi di $ per rilevare Volvo dal gruppo Ford.
    Allora, le auto svedesi, famose per la loro sicurezza e l'essenziale design, sembravano sul viale del tramonto, ma con la cura Shufu le vendite hanno ripreso a correre. 
    Un successo tutt'altro che annunciato.

    Il costruttore cinese ha poi reso pubblica la sua passione per i brand inglesi nel 2013, rilevando l'azienda produttrice dei famosi taxi neri di Londra e salvandola dalla bancarotta.
    Investendo nella riconversione verde e su una fabbrica a Coventry, capace di produrre 20 mila black cab elettrici all'anno, è riuscito a vendere le vetture su diversi mercati internazionali, ritrovando l'attivo di bilancio.
     
    Nemmeno la competenza nel settore delle supercar manca al gruppo cinese guidato da Li: Lotus, interamente acquisita nel 2017, ha appena annunciato il lancio di Eletre, il suo primo suv 100% elettrico.
    Un gioiellino da 120.000 €.

    Nel 2018 Geely è poi entrata nel capitale della tedesca Daimler AG (oggi Mercedes-Benz), con un'operazione da 7,5 miliardi di € utile a rastrellare sul mercato il 10% delle azioni.
    Li Shufu è stato molto cauto nell'approccio con i tedeschi, evitando di reclamare un posto nel CDA di Stoccarda, ma riuscendo a stringere numerosi accordi commerciali: ha preso infatti il controllo del brand Smart, concedendo in cambio al marchio tedesco l'esclusività nella fornitura di auto premium per il servizio di guida con autista costituito in Cina da Geely.

    Li, infine, ha messo nuovamente piede in terra britannica con la recente acquisizione del 7,6% di Aston Martin, l'auto preferita di James Bond. 
    L'occasione utile è stata quella di un aumento di capitale da circa 750 milioni di €, promosso dal proprietario canadese del brand Lawrence Stroll.
    L'ingegnere cinese si era già battuto per il controllo del prestigioso marchio nel 2019, anno in cui aveva proposto l'immediata transizione verso l'elettrico.
    Stroll aveva invece respinto la proposta, guardando alla Formula 1 come traino per sfidare la Ferrari su strada nel segmento delle supercar di lusso. 
    Il CDA di Aston Martin decise di seguire la più romantica visione del tycoon canadese, ma la scelta non si è rivelata vincente, nè in pista nè nelle vendite, e nel primo trimestre del 2022 ha registrato altri 112 milioni di £ di perdite.
    Questo non ha però scoraggiato i sogni di Li Shufu, convinto di avere la visione vincente per rilanciare il brand.

    L'ultimo affare in ordine di tempo si è concretizzato a Maggio, con un'operazione da 200 milioni di € che ha permesso di acquisire il 34% dell'unità Renault attiva in Sud Corea, una fabbrica da 300 mila vetture l'anno.
    L'idea è poi quella di usarla come base per l'export verso gli Stati Uniti. 

    In sostanza, il 59enne ingegnere cinese sembra un moderno Re Mida delle automobili: tutto ciò che tocca sembra diventare oro, o, per lo meno, torna ad esserlo. 
    Ma le sue ambizioni non sono finite qui.
    Geely in mandarino suona come "fortunato", e la sua fortuna Li Shufu continua a costruirsela con investimenti high-tech anche oltre il globo terrestre: sono già in orbita 9 satelliti Geely-01 che in un futuro non lontano saranno connessi con la rete di controllo dei veicoli a guida autonoma del gruppo.
    Geely ha inoltre acquisito il controllo del produttore di smartphone Meizu, ceduto da Alibaba, e a Giugno ha stretto un accordo con il gigante dell'internet cinese Baidu, per lo sviluppo di un'auto dotata di intelligenza artificiale.
    Quello di Li Shufu sembra allora un nome da tenere a mente in ottica futura, in grado forse di riscrivere la storia del panorama automobilistico mondiale e non solo.
    Niente male per un uomo che da bambino, fine anni '60, disegnava auto sulla sabbia perché il padre contadino non aveva soldi per comprargli giocattoli.
    La sua ricchezza personale già oggi si attesta a 14 miliardi di $.
    No, decisamente niente male...
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    Concludo questa mia 7in7 augurandoti un sereno fine settimana.
    Il prossimo appuntamento con la mia newsletter economico-finanziaria è per Venerdì 18 Novembre.
    Un caro saluto.

    Davide