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www.davideberto.it2024-11-21
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    AVIDITA' e PAURA.
    Soltanto un anno fa c'era la corsa ad investire in titoli tecnologici, e nessuno voleva star fuori da quel settore che incarnava l'arrivo del "nuovo mondo", quello in cui la tecnologia avrebbe permesso, a detta di alcuni, di lavorare meno e di diventare ricchi in poco tempo.
    Tutti volevano allora essere azionisti di Zoom, di Netflix, di Spotify...
    Sono passati soltanto pochi mesi da allora, ed è indubbiamente successo di tutto.
    Il "mondo ideale" caratterizzato da una bassa crescita, da una bassa inflazione, da politiche accomodanti delle banche centrali e, soprattutto, da bassi tassi d'interesse, è stato spazzato via e, con la scomparsa di quel mondo, è sparita anche l'AVIDITA'.
    Oggi il sentimento dominante è la PAURA: la paura di perdere i propri soldi e non solo.
    Pensa che solamente nell'Ottobre del 1990 e nel Marzo del 2009 il sentiment degli investitori è stato negativo come lo è oggi.

    AVIDITA' (intesa come voglia di guadagnare) e PAURA, sono i due tipici sentimenti che dettano i movimenti a breve termine dei mercati.
    Storicamente, quando ci sono stati i momenti di peggior pessimismo sui mercati, nei periodi successivi si sono palesati rendimenti superiori alla media.
    La PAURA, almeno in una parte degli investitori, crea l'opportunità di aggiungere capitale ai propri investimenti a valutazioni più basse, migliorando così il rapporto rischio-rendimento.
    Ecco perché, quando si tratta di investire, meglio aver PAURA piuttosto che esser vittime dell'AVIDITA'.

    Ti auguro una buona lettura!
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    1 - 5 REGOLE DA CONDIVIDERE CON IL CLIENTE IN CONSULENZA FINANZIARIA

    Nella relazione tra Consulente Finanziario e cliente, emergono spesso richieste e/o pretese a dir poco bizzarre.
    Per evitare allora fraintendimenti o illusioni, è opportuno condividere alcune regole da applicare nella gestione degli investimenti.
    Seguimi in queste 5 importanti regole!

    1. NEGLI INVESTIMENTI E' OPPORTUNO DEFINIRE SEMPRE PRIMA GLI OBIETTIVI E LE RISORSE DA DEDICARE
    Investire significa avere infatti uno o più concreti obiettivi, ed essere motivati e determinati nell'adottare metodo e disciplina per raggiungerli.

    2. DARSI TEMPO, CONCEDERSI TEMPO: IL TEMPO E' UN ALLEATO FONDAMENTALE
    Nel tempo tutti i mercati oscillano, grazie all'ingrediente naturale della volatilità.
    Ma normalmente oscillano all'interno di intervalli crescenti, oscillano cioè creando valore.

    3. SAPER ACCETTARE I SEGNI NEGATIVI
    L'unica soluzione che non contempla mai il segno negativo, è quella soluzione che ci fa stare immobili, inconcludenti.
    Una valida arma mentale è quella che ci fa rimanere indifferenti rispetto alle fluttuazioni di mercato, e assumere dei comportamenti automatici in grado di frenare le nostre emozioni.

    4. MAI METTERE A REPENTAGLIO I PROPRI RISPARMI
    Non si fanno scommesse in Consulenza Finanziaria, ma si punta sulla diversificazione.
    Con metodo e disciplina (vedi come tornano sempre questi due ingredienti...), la diversificazione mette al sicuro il patrimonio.
    Anche se un singolo emittente, una singola azienda può andare in disgrazia, il mondo tendenzialmente cresce.
    In tutti questi anni non ho mai visto un mercato finanziario cadere e restare a terra.
    Ho visto però molte aziende cadere e non rialzarsi più.

    5. DEFINIRE SEMPRE IL RUOLO DEL CONSULENTE FINANZIARIO
    Che cosa può garantire il Consulente (protezione, diversificazione internazionale, ottimizzazione fiscale, pianificazione previdenziale e successoria, efficienza di portafoglio...), e cosa invece lo stesso Consulente non può garantire (rendimento dei mercati), dev'essere chiaro fin da subito.
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    2 - I RISCHI DEGLI INVESTIMENTI OBBLIGAZIONARI (1di2)

    L'investimento in titoli obbligazionari, tradizionalmente amato dalle famiglie italiane, è storicamente più difensivo rispetto a quello in azioni.
    Questo tuttavia non significa che sia totalmente privo di rischi, anzi.
    Negli ultimi anni gli investitori hanno purtroppo imparato sulla loro stessa pelle, che le obbligazioni sono lontane dall'essere l'investimento sicuro per eccellenza (vedi casi Parmalat, Argentina, Lehman, banche italiane).
    E da inizio anno, anche le obbligazioni hanno fatto registrare importanti perdite di valore nel portafogli degli investitori.
    In quanto segue mi propongo allora di illustrare, spero in modo semplice e comprensibile, quali sono i rischi principali di un investimento obbligazionario.

    . RISCHIO DI CREDITO O RISCHIO EMITTENTE
    Chi acquista un titolo obbligazionario, prestando pertanto i suoi soldi a uno Stato o un'azienda emittente, conosce in partenza il tasso di rendimento (l'importo esatto della cedola nel caso di un titolo a tasso fisso, o il parametro con il quale sarà determinato il coupon in caso di tasso variabile) e la data di scadenza alla quale riavrà indietro il capitale investito.
    Il rischio di credito (o rischio emittente) è allora quello legato alla capacità, appunto, dell'emittente di corrispondere gli interessi e ripagare il proprio debito.
    Quando il soggetto che ha emesso l'obbligazione (Stato, banca, impresa) non è in grado di liquidare gli interessi e/o restituire il capitale, il debitore si definisce insolvente.
    Le vicende legate all'Argentina nel 2001, ai titoli Cirio e Parmalat, alle emissioni della banca d'affari americana Lehman Brothers, o ai titoli governativi della Grecia, dimostrano che non si tratta di sola teoria.
    Meglio allora valutare il ricorso a fondi comuni d'investimento, come antidoto per ridurre, nell'immediato, l'impatto di questi eventi estremi, e per dimenticarlo del tutto nel medio termine.

    * In merito al rischio di credito, esistono degli strumenti, denominati credit default swap, che sono in grado di fornire una misura immediata del rischio di un determinato emittente.
    Nella loro forma standard, sono contratti con i quali, a fronte del pagamento di un premio, l'acquirente si assicura contro il fallimento di un emittente.
    Naturalmente, il prezzo che si paga per assicurarsi cresce all'aumentare della rischiosità dell'emittente stesso.
    Ad esempio, per assicurarsi dal rischio di fallimento dello stato italiano, un investitore dovrà pagare un premio più elevato rispetto a quello necessario ad assicurarsi contro il fallimento dello stato tedesco.
    L'emittente Germania è infatti percepito come molto meno rischioso dell'emittente Italia.


    . RISCHIO VALUTARIO
    Sono disponibili sul mercato molte obbligazioni emesse in valute di altri paesi.
    Possono essere sia divise di nazioni sviluppate (dollaro americano, sterlina inglese...), che anche emergenti (real brasiliano, peso messicano...).
    In tutti questi casi, oltre ai vari rischi legati ai titoli, se ne aggiunge un altro potenzialmente determinante per il risultato finale: il rischio legato al cambio valutario, che può generare un apprezzamento ma anche un deprezzamento dell'investimento.
    Se la valuta in cui è denominato il titolo si è rivalutata rispetto alla moneta unica europea, aggiungerà performance all'investimento; viceversa accadrà se avrà perso valore.
    Sebbene nel medio-lungo termine i tassi valutari tendano a rispecchiare la reale forza dell'economia del paese a cui si riferiscono, nel breve periodo le dinamiche dei mercati finanziari e valutari sono tali da rendere difficilmente prevedibile l'evoluzione del cambio.
    L'investimento fai da te in titoli in valuta estera, è quindi un qualcosa di molto complicato.

    . RISCHIO LIQUIDITA'
    Questo rischio attiene alla possibilità che un investitore, nel momento in cui intende vendere un determinato titolo, possa trovare un mercato non abbastanza liquido e attivo, tale da garantirgli un'immediata esecuzione dell'ordine di vendita ad adeguati prezzi di mercato.
    Il rischio liquidità aumenta quando l'emissione obbligazionaria è di importo contenuto, poco scambiata, o riferita a emittenti poco conosciuti.
    E', al contrario, generalmente assente (in normali condizioni di mercato) per i titoli di stato, che hanno solitamente una vivace operatività di acquisti e vendite.
    E' questo un rischio molto importante ma spesso sottovalutato dagli investitori, che si trovano a sbatterci contro nel momento del bisogno di liquidità, rischiando di rimanere con il cerino in mano nell'impossibilità di vendere il titolo. 

    Per oggi mi fermo qui.
    Ma nella mia 7in7 di Venerdì 4 Novembre andrò a chiudere il cerchio, parlandoti degli altri 3 rischi correlati all'investimento obbligazionario.
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    3 - UN MONDO CHE NON ESISTE PIU'...

    Nella 7in7 del 7 Ottobre ho analizzato le reali cause dello choc energetico in corso.
    Oggi, come promesso, ti parlerò di quello che, per decenni, è stato il fulcro del potere energetico mondiale. 
    Si è trattato di un vero e proprio monopolio, diretto dalle cosiddette "Sette sorelle", ovvero le 7 multinazionali che hanno monopolizzato il settore delle energie fossili nel corso del secolo scorso. 
    Erroneamente c'è chi ancora attribuisce a loro le colpe dell'attuale esplosione dei prezzi del gas, ma abbiamo già visto che così non è, anzi.
    Pensa che la più grande delle sette, Exxon, è stata perfino espulsa dall'indice finanziario americano Dow Jones perché la sua capitalizzazione di mercato è troppo bassa...

    Ma partiamo dall'inizio. 
    Quello delle "Sette sorelle", così denominate da Enrico Mattei quando era alla guida dell'Eni, era una sorta di cartello tra le multinazionali petrolifere occidentali che, dagli anni Quaranta fino all'inizio degli anni Settanta, dominavano i giochi del petrolio, grazie a un'egemonia politica ed economica nei paesi del Terzo mondo, e grazie anche al pieno sostegno del governo degli Stati Uniti.
    5 di loro erano infatti americane: Exxon appunto, Mobil, Chevron, Texaco e Gulf Oil. 
    2 erano invece inglesi: Shell e Bp (British petroleum).

    L'origine della lobby risale al 1928, con accordi stipulati in modo tale che tra le compagnie non si creasse concorrenza sui prezzi, e vi fosse una suddivisione delle zone di estrazione.
    L'Eni di Mattei, e le due francesi Elf e Total, tentavano di fare le guastafeste con incursioni in Nordafrica e Medio Oriente, ma con risultati piuttosto contenuti.
    Ad esempio, nel 1951 l'Iran nazionalizzò l'industria petrolifera, fino ad allora controllata dagli inglesi. 
    La reazione britannica fu durissima, e portò al blocco totale delle esportazioni iraniane di oro nero. 
    Per far tornare il petrolio iraniano sui mercati, gli Stati Uniti costituirono il "Consorzio per l'Iran", a cui parteciparono però solo le "Sette Sorelle", che acquistavano il petrolio in regime di monopolio e lo rivendevano, maggiorato, al resto del mondo. 
    Mattei era un manager d'assalto e iniziò un lungo braccio di ferro con le 7 potenze, chiedendo che anche l'Agip potesse far parte del Consorzio per l'Iran.
    La sua richiesta fu respinta con veemenza. 
    Egli morì in seguito, in un misterioso incidente nell'Ottobre del 1962, quando il suo aereo cadde nella tratta Catania-Milano, mentre era in avvicinamento all'aeroporto di Linate.

    Quel sistema dominato dal capitalismo privato anglo-americano cominciò a traballare nel 1973, con il primo choc petrolifero, quando il cartello Opec dei paesi produttori impose un embargo contro diversi paesi occidentali con lo scopo di castigarli per l'appoggio dato a Israele durante la guerra Yom Kippur, contro Egitto e Siria.
    Le risorse petrolifere entrarono così in una fase di nazionalizzazione, che ha conosciuto nuove accelerazioni di recente.
    Oggi, allora, chi continua a descrivere le compagnie energetiche occidentali come delle potenze, parla di un mondo che non esiste più, visto che la geopolitica odierna dell'energia è dominata da aziende di Stato, controllate da paesi emergenti.
    Saudi Aramco ne è l'esempio più calzante.

    L'11 Marzo del 2007, il Financial Times elencò come nuove "Sette Sorelle" le seguenti compagnie: la stessa Saudi Aramco, Gazprom, China National Petroleum Corporation, National Iranian Oil Company, Petròleos de Venezuela, Petrobras e Petronas.
    Nell'ordine Arabia Saudita, Russia, Cina, Iran, Venezuela, Brasile e Malesia.
    Come sono allora lontani i tempi in cui le aziende private americane e inglesi dominavano l'energia mondiale...
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    4 - IL TESORO ... DEL TESORO

    106 miliardi di €.
    A tanto ammonta attualmente il "tesoro del Tesoro", ossia il valore delle società partecipate dallo Stato italiano, caratterizzate da un rendimento superiore al 5% (utili per 5,6 miliardi) appetibile per ogni investitore, e dividendi incassati per 3,25 miliardi.
    Una sorta di fondo sovrano tricolore composto da nomi di peso, come Ferrovie (controllata al 100%), Cassa depositi e prestiti (di proprietà per l'83%), e ancora Enel, Rai, Sace, Stm, Poste, Enav, Leonardo, Eni...
    Il portafoglio del Ministero del Tesoro detiene il 12,5% dell'intera capitalizzazione di Borsa Italiana, e appartengono (almeno in parte) allo Stato 3 delle sole 6 aziende italiane che compaiono nella lista Fortune 500 delle più grandi della terra (Enel, Eni e Poste).
    Considera che nel 2011 erano 10 le aziende italiane tra la top 500 globale.
    Abbiamo, insomma, sempre meno aziende capaci di fare la differenza su scala mondiale, e i campioni di oggi rischiano di scivolare fuori dalla classifica. 

    Cassa depositi e prestiti può essere oggi a tutti gli effetti considerata la cassaforte di Stato: cuba, alle attuali capitalizzazioni di Borsa e in base agli ultimi bilanci, ben 31,3 miliardi di €, pari a metà della spesa per interessi sul debito pubblico italiano, o il fatturato record di tutta l'industria del turismo nell'estate 2022 da poco conclusa.
    11 società sono quotate in Borsa, per un valore complessivo di 23,3 miliardi, mentre 7 aziende sono non quotate e valgono in totale 8 miliardi.
    Cdp raduna infatti quasi tutte le aziende di rilievo italiane: da Autostrade a Open Fiber (non quotate), Da Eni e Snam alle Poste, da Fincantieri a Telecom Italia, fino a Terna.
    E' un saldo impegno nell'industria nazionale, ora con quote in prevalenza di minoranza, a fianco dei privati e del mercato.
    Cdp resta una "banca di stato" ma fuori dallo Stato stesso: un istituto nazionale di promozione, esterno al perimetro della pubblica amministrazione. 
    Le partecipazioni di Cdp sono una mappa vasta, e i prossimi mesi saranno di riassetto, anche considerando che Cassa depositi rappresenta un boccone goloso per la politica. 

    Due sono i possibili ruoli della Cassa: essere uno strumento di propulsione del mercato, dove questo è debole o assente, oppure essere uno strumento di ingombrante presenza nel sistema economico. 
    Con il governo Draghi si è scelta la prima strada e, per il bene del paese, sarebbe opportuno che questo proseguisse nonostante il cambio di legislatura.
    Nei tempi moderni lo Stato-azionista ha infatti un senso se persegue le direttrici della crescita, della sostenibilità e della forza moltiplicativa
    Un azionista deve allora ragionare per obiettivi misurabili, e lo Stato può agire dove il mercato è più sottile, intervenendo dove le iniziative non hanno abbastanza visibilità, o dove ci sono temporanee situazioni di crisi.
    Vicende come Ita-Alitalia e Mps possono arrivare a una soluzione se lo Stato dimostra la capacità di uscire quando la crisi è risolta, senza sperperare il denaro degli investitori e dei cittadini.
    Per cogliere queste sfide va messo allora alle spalle lo "Stato imprenditore", a favore di uno Stato responsabile delle risorse che investe.
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    5 - UN PASSO NELLA STORIA: LA CONCLUSIONE DELLO SCHEMA PONZI

    La mattina del 13 Agosto 1920, la polizia di Boston si presenta alla porta di Charles Ponzi e lo arresta.
    E' la fine di una lunga storia di truffe finanziarie, cominciata con il suo arrivo a Boston nel 1903 con in tasca solamente 2,50 $.
    "Sono sbarcato in questo paese con 2,50 $ in cash, e 1 milione di $ in speranze.
    Quelle speranze non mi hanno mai abbandonato..." dichiarò in seguito al New York Times.

    I 1.800 $ raccolti nel Gennaio del 1920, quando era da poco finita la Grande Guerra, e soprattutto la grande epidemia di spagnola, erano arrivati, in pochi mesi, a circa 7 milioni (più o meno 30 milioni di $ ai valori di oggi), raccolti tra investitori alla spasmodica ricerca di rendimenti generosi e garantiti.
    Perché simili investitori c'erano nel 1920, ci sono oggi e sempre ci saranno...
    Ponzi garantiva rendimenti fuori mercato grazie al denaro apportato dai nuovi investitori, in uno schema poi imitato moltissime volte, noto appunto come "schema Ponzi".
    La successiva truffa di Bernard Madoff era un enorme, sofisticato, schema Ponzi, con circa 20 miliardi raccolti tra 37.000 vittime.

    Forse all'inizio Ponzi non voleva truffare nessuno.
    Si era accorto per caso che si poteva fare arbitraggio, per lucrare in modo legale, sulle differenze dei costi di emissione dei francobolli internazionali.
    Questi, a parità di servizio, avevano diversi costi nei vari paesi.
    Il suo business parte bene, ma Ponzi si accorge subito del suo limite: non ha abbastanza prodotti per soddisfare una richiesta sempre più crescente.
    Ma non vuole rinunciare alla crescita.
    Così, invece di fermare il sempre crescente flusso di denaro degli investitori attratti dai tassi elevati, continua a raccogliere e, come aveva visto fare in una banca in Canada nella quale aveva lavorato, usa una parte del raccolto per pagare gli interessi.
    Comincia così la sua illecita operatività.

    Ma un italiano con un passato turbolento, che in pochi mesi diventa milionario, inizia inevitabilmente ad attirare l'attenzione su di se.
    I giornali e non solo, cominciano così ad indagare.
    Escono articoli molto duri, e qualche risparmiatore allarmato chiede la restituzione del suo capitale.
    Capitale che Ponzi sa restituire senza batter ciglio.
    Si calcola che in pochi giorni restituisca addirittura 2 milioni di $, una cifra mostruosa per l'epoca, tanto che le richieste di riscatto cessarono subito.
    Con ancora tanti soldi in mano, e con le acque un pò più calme, Ponzi avrebbe potuto fuggire all'estero con il malloppo.
    Ma non lo fa.
    Perché ha ben compreso quanto grande può essere il suo business, e quanto importante è il concetto di reputazione e fiducia che ne consegue.
    Forse sperava addirittura di ripulirsi, e trovare il modo di rendere legale quello che stava facendo.
    Resta allora a disposizione delle autorità, forse proprio anche per tenersi stretta quella fiducia che gli dava evidentemente più brividi del denaro stesso.
    La sua storia finisce male: entra ed esce dal carcere, muore in povertà, e gli investitori che gli avevano dato fiducia affidandogli il loro risparmio, quel risparmio lo vedono volatilizzarsi nel nulla.

    Dagli schemi Ponzi e da chi promette rendimenti sibaritici, o semplicemente slegati dal contesto dei mercati, ci può salvare una semplice domanda dettata dal buon senso: ma come fai a promettere rendimenti (spesso molto) più alti, senza maggiori rischi?
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    6 - RUBRICA: LA PSICOLOGIA DEI SOLDI (EVENTI DI CODA)

    Ritorna con questa mia 7in7 l'appuntamento mensile con il libro "La psicologia dei soldi" di Morgan Housel. 
    Siamo giunti al capitolo numero 6 dal titolo "Eventi di coda".
    Un capitolo che deve far riflettere già dal sottotitolo: ci si può sbagliare una volta su due e diventare ricchissimi lo stesso.
    Un contenuto numero di eventi può determinare infatti la maggior parte degli esiti.
    Molte cose negli affari e negli investimenti vanno proprio così, anche se è difficile farsene una ragione.

    I grandi mercanti d'arte del passato lo sapevano già, e operavano come gli attuali fondi d'investimento indicizzati: compravano cioè tutto il possibile, a gruppi interi.
    Non singole opere, e non solo quello che piaceva loro.
    Poi si fermavano e aspettavano di veder emergere i vincitori.
    Probabilmente il 99% delle opere acquistate si rivelava di scarso valore, ma non era un grosso problema se il restante 1% era un Picasso...
    Anche la storia di Walt Disney è simile. 
    Prima di arrivare all'Oscar con gli 83 minuti di Biancaneve e i sette nani, aveva prodotto più di 400 cartoon.
    Quasi tutti brevi, quasi tutti apprezzati dal pubblico, ma quasi tutti avevano comunque perso una fortuna.
    Biancaneve bastò a cambiare le sorti di Disney Studios, portando in soli 6 mesi gli incassi di tutti gli anni precedenti, appianando i debiti, permettendo di concedere bonus ai dipendenti migliori, e di costruire una una nuova e moderna sede a Burbank, dove ancora oggi si trova l'azienda.
    83 soli minuti di Biancaneve, a fronte delle centinaia d'ore di film prodotti in precedenza. 

    Tutto ciò che è enorme, redditizio, famoso o influente è così il risultato di un evento di coda.
    Un'anomalia, un'eccezione che può essere una su mille o una su un milione. 
    Alcuni settori che funzionano in questo modo sono facilmente distinguibili, come il mondo del venture capital, ovvero delle startup.
    Una su mille ce la fa, potremmo riassumere con una celebre canzone di Gianni Morandi.
    La maggior parte delle startup è destinata a fallire, e il mondo consente pochi grandi successi.
    Se si cercano rendimenti più sicuri e stabili, è allora opportuno investire nelle grandi aziende quotate, ma attenzione: la distribuzione del successo tra i grandi titoli quotati nel corso del tempo non differisce molto da quella che si riscontra nel venture capital.
    La maggior parte delle aziende quotate sono infatti una fregatura, alcune rendono bene e pochissime raggiungono l'eccellenza.
    Proprio queste ultime sono responsabili della maggior parte dei rendimenti del mercato azionario. 
    Prendendo, ad esempio, l'indice Russell 3.000, che raggruppa le 3.000 società a maggior capitalizzazione di mercato negli USA, vediamo che è cresciuto di oltre 73 volte dal 1980 ad oggi.
    E' un rendimento spettacolare, ed è, se vogliamo, la definizione stessa di successo. 
    Ma il 40% dei titoli quotati nell'indice ha perso almeno il 70% del suo valore nel tempo e non si è più ripreso.
    Solo il 7% delle aziende quotate è riuscito ad emergere, rendendo così tanto da bastare e avanzare anche per le altre che non ce l'hanno fatta.
    Ciò che negli anni è successo in un "noioso" indice diversificato, è il genere di risultato che ci si aspetterebbe dal venture capital.

    Non solo poche aziende sono responsabili di gran parte dei rendimenti del mercato, ma all'interno di quelle aziende si verificano diversi eventi di coda.
    La straordinaria crescita di Amazon, ad esempio, è quasi interamente dovuta a Prime e ad Amazon Web Services, che sono di per sé eventi di coda in un'azienda che ha immesso sul mercato centinaia di prodotti sperimentali.
    Amazon può permettersi di perdere molti soldi sul Fire Phone, perché sa che saranno più che compensati dalle decine di miliardi guadagnati da AWS.
    Gli eventi di coda accorrono in suo aiuto.

    L'idea che pochi elementi siano responsabili della maggior parte dei risultati, non è vera soltanto per le aziende che fanno parte del tuo portafoglio di investimenti.
    E' una parte importante anche del tuo comportamento come investitore.
    Napoleone definiva il genio militare come "l'uomo capace di fare qualcosa di semplicissimo mentre tutti intorno a lui perdono la testa".
    E' lo stesso negli investimenti.
    Come per i piloti d'aereo, il cui lavoro è "ore e ore di noia inframmezzate da istanti di terrore puro". 
    E' così anche per chi investe.
    Il successo di un investitore è determinato da come reagisce ai singoli momenti di panico, non dagli anni trascorsi a velocità di crociera.
    Gli eventi di coda governano ogni cosa.

    Saper mantenere la calma nei periodi di tempo durante i quali l'economia è dentro o prossima ad una recessione, proprio come ora, permette di moltiplicare in maniera esponenziale i propri guadagni.
    Come?
    Continuando ad investire secondo il proprio piano, che piova o che ci sia il sole. 

    Ci sono allora ambiti e settori nei quali serve essere sempre impeccabili.
    Pilotare un aereo o fare il chirurgo, ad esempio. 
    Altri in cui bisogna essere almeno bravi quasi sempre.
    Lo chef di un ristorante, mettiamo.
    Gli investimenti, il business e la finanza non funzionano come quei settori: qui nessuno prende sempre le decisioni giuste.
    Warren Buffett ha dichiarato nel 2013 di aver posseduto tra i 400 e i 500 titoli nel corso della sua vita, ma di aver guadagnato gran parte del suo patrimonio soltanto con 10 di essi.
    Quando prendiamo a modello una persona per i successi che ha ottenuto, non bisogna allora perdere di vista il fatto che questi successi derivano da una piccola percentuale delle sue azioni.
    "L'importante non è avere ragione o torto"ha detto una volta George Soros, "ma l'importante è quanti soldi guadagni quando hai ragione, e quanti ne perdi quando hai torto".
    Si può avere torto metà delle volte e diventare ricchi lo stesso!
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    7 - INFRASTRUTTURE PER LA RICARICA IN FORTE CRESCITA

    Le auto elettriche in Europa sono oggi poco meno di 5 milioni, e rappresentano solamente l'1,5% dei 326 milioni del totale parco auto circolante.
    Sono però il futuro verso cui stiamo andando: nei prossimi anni si assisterà infatti a una crescita esponenziale di veicoli a zero emissioni, arrivando, secondo le stime degli esperti di settore, a 130 milioni di veicoli entro il 2035.

    Per accompagnare questo exploit, le stazioni di ricarica dovranno crescere in modo parallelo e adeguato, anche se la ricarica domestica rimarrà prevalente, coprendo, si ritiene, fino all'85% del fabbisogno. 
    Attualmente ci sono 374mila punti di ricarica accessibili al pubblico in tutt'Europa, cresciuti del 40% nel 2021.
    Il 60% di questi è distribuito tra Francia, Germania, Italia, Paesi Bassi e Regno Unito.
    Per contro, ci sono ben 10 paesi europei che non hanno una sola stazione di ricarica ogni 100 km di strada. 
    Tesla e i suoi supercharger, con oltre 10mila apparecchi distribuiti in oltre 30 Paesi e circa 900 stazioni, rappresentando il network più grande d'Europa, con un progetto pilota che si sta aprendo anche a veicoli di altre case automobilistiche.

    Quello delle stazioni di ricarica è un tasto dolente e rappresenta il vero "collo di bottiglia" dell'elettromobilità, nonostante la crescita sopra evidenziata.
    Come spesso accade, però, da una criticità si possono sviluppare delle opportunità, e l'infrastruttura di ricarica può passare dall'essere un costo e fonte di problematiche, a un'opportunità di business in grado di affrontare le sfide del futuro, attraverso la progettazione di infrastrutture efficienti che attirino gli investitori privati.

    Ma come si potrà realizzare ciò?
    - Semplificando i processi di approvazione delle installazioni da parte delle autorità locali;
    - Promuovendo e facilitando connessioni alla rete più rapide ed economiche, pensate appositamente per i caricabatterie per veicoli;
    - Ottimizzando il bilanciamento dei carichi e dei picchi, per massimizzare l'energia disponibile;
    - Favorendo la collaborazione e l'interoperabilità tra le reti di ricarica.

    Allo stato attuale, sono i punti di ricarica presso i luoghi di lavoro o di aggregazione (centri commerciali, parcheggi, ristoranti...) a riscuotere il maggior interesse da parte di chi vuole investire in questo campo.
    Lungo le autostrade si riscontrano invece le maggiori difficoltà, a causa della lunga durata di ricarica e per gli elevati costi di gestione e installazione.
    Al contempo, questi sono punti di grande interesse per le compagnie petrolifere, che inevitabilmente già devono ripensare al proprio ruolo dopo la trasformazione energetica del trasporto
    Per quanto riguarda le ricariche in ambito domestico, infine, le società fornitrici del servizio elettrico sono già al lavoro per costruire e sviluppare business legati al "pieno" delle auto a zero emissioni, facendo leva su una consolidata base di clienti ai quali già erogano i tradizionali servizi "luce".

    Il settore della mobilità elettrica sta prendendo sempre più piede nella nostra quotidianità e nei nostri pensieri rivolti al futuro, e sta già indicando la via maestra a investitori privati, società di servizi e grandi multinazionali.
    In questo settore, tra gli altri, investe anche il fondo Azimut Eltif - Infrastructure & Real Assets, nei mesi scorsi lanciato sul mercato.
    Più in particolare, Azimut ha recentemente investito 50 milioni nella start up FastWay, dagli obiettivi piuttosto ambiziosi: l'installazione di 15.000 punti di ricarica, Fast e Ultrafast, su suolo pubblico e privato, per diventare il principale operatore indipendente nel segmento della ricarica rapida attingendo a fonti rinnovabili.
    Il fondo persegue il duplice obiettivo di costruire un futuro più sostenibile e di generare, al tempo stesso, rendimenti finanziari in linea con le aspettative degli investitori.
    E' importante sapere, soprattutto in un contesto come quello attuale, che i flussi di reddito in arrivo dagli investimenti infrastrutturali sono indicizzati all'inflazione.
    Vedremo allora quali soggetti saranno in grado di cogliere, più di altri, le opportunità offerte da questo segmento di mercato!
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    A Venerdì 4 Novembre con la mia prossima 7in7.
    Ti auguro un sereno fine settimana!

    Davide