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www.davideberto.it2024-10-11
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    C'è conforto nella certezza.
    Sapere dove ci sta portando il nostro viaggio, e avere un piano di viaggio, fornisce rassicurazione in un mondo in rapida evoluzione.
    Non trovi?

    Ma c'è un'altra forza, costantemente in gioco nella vita, che fa spesso la differenza più grande in merito al nostro futuro: l'imprevisto.
    E il modo in cui lo affrontiamo, l'imprevisto, definisce ciò che rende gli individui e le organizzazioni preparati, o meno, per il futuro.
    I leader, i visionari, hanno sviluppato una capacità spesso inconscia di trasformare gli imprevisti in risultati positivi.
    Potremmo definire questa capacità, in un certo senso, come una sorta di "fortuna intelligente".
    Ma la "fortuna intelligente" deve aiutarci a costruire correttamente il percorso della nostra storia, e a comprendere ciò che potrebbe accadere in futuro.
    Questo può portarci a percepire gli eventi come più prevedibili di quanto non fossero in realtà.
    Ci aiuterebbe, fin da subito, a far sembrare molto meno incerto il futuro.

    E' già successo.
    Tutto quello che stiamo vivendo (e che vivremo anche in futuro) è, in fin dei conti, un immenso déjà-vu.
    Le pandemie, le guerre, le carestie, i momenti di difficoltà, rappresentano purtroppo un percorso già scritto di questo mondo.
    E' già successo.
    Ed è già successo in passato, svariate volte, che i mercati finanziari sono stati costretti ad attraversare dei periodi (anche lunghi) di difficoltà.
    Dei periodi di distruzione di valore, prima di inanellare successivamente delle serie storiche di enorme crescita di valore.
    E' già successo.
    Ma noi tendiamo, a volte, a far finta che non sia mai accaduto prima.
    E facendo finta che non sia mai accaduto prima, non sappiamo come affrontarlo, non siamo preparati all'imprevisto.
    Finendo così per subirlo.
    Senza sfruttare la nostra "fortuna intelligente" , e senza saper fare quel passo in avanti che, in alcuni periodi, ci permette di andare molto più avanti di quanto ci si potesse aspettare.
    E così, rischiamo di restare indietro, aspettando ancora una volta che cambi qualcosa.
    Ma anche questo è già successo...

    Ti auguro una piacevole lettura!
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    1 - AD OGNUNO IL SUO

    Davide, ma è meglio investire in un fondo azionario, o in obbligazioni?
    Oppure, meglio lasciare tutto in conto corrente finché non si calmano un pò le acque?

    Quante volte mi sento fare queste domande da persone che mi scrivono per le loro scelte d'investimento...
    Io tendo a rispondere sempre: "dipende da ciò che davvero ti serve".
    Ma, mi rendo conto, questa mia risposta tende a disorientare coloro che la ricevono.
    Perché le persone sono abituate a sentir parlare di prodotti, di opportunità contingenti, di spese e commissioni da pagare, o sui cui poter risparmiare.
    Solo pochi, pochissimi, si sentono chiedere quale sia il vero motivo che li induce a risparmiare.
    Pochi comprendono veramente che, senza un progetto è impossibile costruire qualunque cosa.

    Perché si parla tanto di pianificazione finanziaria, ma chi la pratica davvero?
    Quanti possono dire di essere pianificati, in modo da aver definito gli obiettivi delle loro vite, e di aver fatto le giuste scelte per raggiungerli?
    Non c'è un unico modo per investire il denaro.
    Ognuno ha la propria strada: tutto dipende da che investitore sei.
    Le più grandi lezioni che i vari Warren Buffett, John Bogle, Ray Dalio, Nassim Taleb... mi hanno insegnato nel leggere i loro libri, sono legate all'importanza del tempo a disposizione di ognuno (orizzonte temporale), ai personali obiettivi e alla diversificazione.
    Ogni strategia e piano d'investimento deve soddisfare, prima di tutto, queste variabili.
    Sembra banale, ma non lo è: ogni cosa ha il suo tempo.
    La pensione mi servirà non prima dei 65 anni.
    Mio figlio andrà forse all'università quando avrà compiuto 19 anni.
    Le tasse le dovrò pagare tra alcuni mesi...

    Allora, meglio investire in azioni o in obbligazioni?
    Meglio invece lasciare i soldi in conto corrente?
    Smettiamola di inseguire i mercati.
    Impariamo piuttosto ad usarli per ciò che ci devono servire!
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    2 - UN EQUILIBRIO APPARENTE ED EFFIMERO

    È da poco uscito il 21° Rapporto Annuale INPS, un documento estremamente dettagliato che fornisce informazioni analitiche sullo stato dell’arte della previdenza pubblica in Italia.
    L’obiettivo di questo contributo è quello di scattare una fotografia del sistema pensionistico post pandemia, e rafforzare possibilmente la consapevolezza di chi mi legge.

    A fine 2021, nel nostro paese si potevano contare 22,8 milioni di lavoratori iscritti all’INPS.
    Di questi, 17.963.000 dipendenti, e 4.858.000 autonomi.
    Dall’altro lato della barricata, i pensionati sono poco più di 16 milioni (48% maschi e 52% femmine).
    Il rapporto tra lavoratori attivi e pensionati si attesta pertanto a 1,42, un livello che conferma il miglioramento tendenziale di lungo termine: vent’anni fa il coefficiente si aggirava infatti intorno a 1,30.
    L’INPS eroga in totale quasi 21 milioni di prestazioni.
    C’è dunque una parte di platea, beneficiaria al contempo di due o più prestazioni.
    In generale, esse riconducibili a due grandi tipologie: previdenza e assistenza.
    La previdenza ingloba le pensioni pagate a fronte di contributi versati dal lavoratore, mentre il concetto di assistenza è riconducibile al sostegno offerto dallo Stato a chi ne ha bisogno, a prescindere dunque dal fatto che il beneficiario sia o meno un lavoratore.
    A titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, la pensione di vecchiaia è una prestazione previdenziale, la pensione erogata a un invalido civile è una prestazione assistenziale.

    Aldilà degli attuali criteri utilizzati dall’INPS per distinguere le prestazioni di carattere previdenziale da quelle assistenziali, balza all’occhio l’importo mensile lordo su cui in media può contare il pensionato italiano: poco più di 1.000 €.
    A questo punto, di fronte a questi numeri, ci si potrebbe chiedere: quanto spende lo Stato per tutte queste prestazioni?
    C’è equilibrio tra quanto esce e quanto entra?
    Senza il rispetto di questo vincolo, infatti, il primo pilastro pensionistico non si reggerebbe in piedi da solo, in quanto verrebbe disatteso il principio della ripartizione, su cui esso si fonda.
    Da una prima analisi sommaria del rendiconto finanziario per l’anno 2021, emerge che il totale delle entrate ammonta a 486 miliardi di €, a fronte di uscite per 484 miliardi, per un saldo finanziario di competenza positivo e pari circa a 2 miliardi.
    Eppure, andando più in profondità, è facile osservare quanto questo equilibrio finanziario sia apparente ed effimero.
    Infatti, a fronte di entrate contributive nell’anno 2021 pari a 236,9 miliardi, le uscite dovute a prestazioni previdenziali si sono attestate a 274 miliardi, per un saldo pensionistico negativo di circa 37 miliardi di euro.
    Il gap finanziario, tuttavia, non si ferma qui, in quanto, come si è visto, esistono altri capitoli di uscita che si aggiungono agli assegni previdenziali e che contribuiscono a generare i 484 miliardi di esborsi complessivi: tra queste troviamo le prestazioni assistenziali, i costi di funzionamento e varie partite di giro, solo per citare le principali.
    Per questo, il disavanzo raggiunge livelli sensibilmente più elevati, e richiede un intervento diretto dello Stato che, mediante trasferimenti dalla fiscalità generale, ha versato nelle casse dell’INPS 145 miliardi di € per il solo 2021.
    Parliamo in totale di circa 620 miliardi di € travasati all’INPS negli ultimi 5 anni, con gli anni più recenti che hanno visto un importante incremento dei trasferimenti pubblici tra le voci che compongono i ricavi del conto economico INPS.
    La quota percentuale occupata dai contributi dei lavoratori è infatti progressivamente scesa, al punto che oggi essa rappresenta circa il 60% delle entrate complessive.
    Il messaggio che così palesemente traspare da questi dati è tanto semplice quanto dirompente: la macchina INPS non è in grado di farcela da sola, e necessita continuamente di denaro pubblico aggiuntivo come carburante.
    Senza questo, si fermerebbe.

    In un Paese allora segnato da metamorfosi demografiche ampiamente dibattute e sempre più deterioranti, possiamo pensare che questo carburante possa essere incrementato illimitatamente?
    Gli effetti delle riforme restrittive operate negli ultimi decenni, disperato tentativo di arginare gli effetti delle riforme sciaguratamente espansive che, in precedenza, consentivano l’uscita dal mercato del lavoro a età irripetibili, saranno sufficienti?
    E le misure (Quota 100, Opzione Donna, APE Sociale e così via) che negli anni più recenti hanno consentito a quasi 800.000 italiani di anticipare la pensione, sono costate quasi 50 miliardi e hanno ridotto l’età di pensionamento effettivo, come si collocano in questo contesto?
    Quanto è probabile che la politica, con l’obiettivo del consenso a qualsiasi costo, riproponga nel prossimo futuro ulteriori interventi di questo tipo?
    Chi paga, e chi pagherà, per tutto questo?

    I meandri della previdenza in Italia porterebbero a molte altre considerazioni e interrogativi, ma limitiamoci a ragionare su questi, certi che siano più che sufficienti per comprendere due cose:
    1° la profondità del problema;
    2° il valore delle soluzioni che (volendo e potendo) abbiamo a disposizione.
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    3 - PORTE GIREVOLI A PIAZZA AFFARI

    Due fulmini a ciel sereno si sono abbattuti in poche settimane sul mercato finanziario italiano: il trasloco di Exor, che passa dalla borsa milanese a quella di Amsterdam, e l'annuncio di OPA volontaria da parte della famiglia Della Valle, che va così a comprare tutti le azioni quotate nel mercato, e a delistare Tod's da Borsa Italiana.

    Le motivazioni di questa scelta sono diverse: di natura fiscale, industriale, di opportunità o di necessità.
    Per i Della Valle, l'uscita di scena di Tod's è propedeutica ad affrontare le sfide del futuro con una maggiore autonomia e con minori pressioni da parte degli investitori finanziari, che chiedono conto dei risultati trimestralmente, mentre l'orizzonte aziendale va ben oltre il bilancio annuale.
    La famiglia mette sul piatto ben 338 milioni di € per togliere l'azienda dalla Borsa, proponendo il riacquisto dei titoli quotati con un premio del 20% rispetto ai prezzi di mercato pre-annuncio.
    Per Exor, cassaforte della famiglia Agnelli-Elkann, invece, le motivazioni dell'abbandono di Piazza Affari sono prevalentemente di natura organizzativa.
    Exor è infatti un'azienda di diritto olandese, che non ha uffici né dipendenti in Italia, ed é controllata da una società olandese.
    Il suo destino, insomma, era scritto già da tempo.
    Il suo delisting da Borsa Italiana si concretizzerà il 27 Settembre.
    Con l'uscita di Exor, la Borsa di Milano perde il suo 12° titolo per capitalizzazione (16 miliardi di €), che, chissà, potrebbe esser presto rimpiazzato da Prada, al lavoro sul dual listing Hong Kong - Milano.
    Oltre che a ragioni burocratiche, il trasferimento in Olanda della quotazione, potrebbe rispondere anche al tentativo di migliorare i corsi azionari di Exor, che soffrirebbe da tempo di un rilevante sconto rispetto al suo reale valore.
    Sulla piazza olandese sono già quotati diversi colossi industriali europei (Shell, Philips, Unilever...), e la vetrina di Amsterdam potrebbe perciò offrire alla cassaforte Agnelli-Elkann una migliore esposizione internazionale, una maggiore liquidità, e magari anche l'inclusione nei principali indici azionari europei replicati dai grandi fondi passivi.

    Se volgiamo lo sguardo al recente passato, ci accorgiamo che la "fuga" da Piazza Affari è tutt'altro che una sorpresa.
    Sono quasi 20, da inizio anno, le società che hanno avviato le procedure per l'uscita dal listino di Borsa Italiana.
    Una perdita che vale oltre 45 miliardi di €, poco meno del 10% dell'intera capitalizzazione di Borsa.
    Nonostante queste ultime defezioni, il bilancio per Borsa Italiana è però ancora positivo.
    Negli ultimi 20 anni, le ammissioni in Borsa sono state 448, mentre i delisting 336.
    A fine 2021 è stata superata la soglia record di 400 aziende quotate (407 per la precisione) a Piazza Affari, con una mutazione del profilo del mercato azionario decisamente più orientato verso le società a medio-piccola capitalizzazione.

    L'allineamento di interessi tra il capitalismo familiare e il mercato finanziario italiano non è certo facile, soprattutto per le imprese che si sono avvicinate alla Borsa nel secondo millennio.
    Dal 2000 ad oggi, infatti, l'indice Ftse Mib ha realizzato una performance sostanzialmente piatta, anche considerato lo stacco dei dividendi.
    Nello stesso periodo, il Dax tedesco ha guadagnato il 145%, mentre l'S&P500 americano addirittura il 573%.
    Persino l'indice azionario spagnolo ha fatto meglio: +94%.
    In assenza dell'aumento del valore delle azioni della propria azienda, gli imprenditori vivono la Borsa come un costo, e il rapporto con gli investitori come un freno ai progetti di lungo periodo.

    Atlantia è la società di maggior peso specifico ad aver avviato recentemente il proprio delisting.
    L'OPA totalitaria è stata annunciata a metà Aprile, da parte della famiglia Benetton e del fondo di private equity BlackStone.
    Il prezzo di "uscita" è stato fissato a 23 € per azione, che sale ulteriormente (23,74 €) aggiungendo il dividendo già distribuito.
    Un premio pari al 24% rispetto al prezzo ufficiale delle azioni pre-annuncio.
    Se da un lato lo storico capitalismo familiare fa la scelta di lasciare la Borsa, il capitalismo emergente si fa spazio.
    Lo dimostra l'effervescenza di nuove quotazioni sull'Euronext Growth Milan, il listino che accoglie le PMI italiane ad alta crescita.
    Da inizio anno sono 16 le nuove quotazioni.

    La quotazione in Borsa comporta inevitabilmente degli investimenti i cui benefici si apprezzano nel tempo, e non sempre in modo immediatamente tangibile come, comprensibilmente, piacerebbe agli imprenditori.
    Anche in questo caso, serve allora molta pazienza.
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    4 - PERCHE' VENDERE E' MOLTO PIU' DIFFICILE CHE COMPRARE?

    Aveva ragione il grandissimo Benjamin Graham, padre del value investing, quando più di 70 anni fa disse: "Il peggior nemico dell'investitore è molto probabilmente proprio sé stesso".
    Da allora, un gran numero di ricerche ci ha insegnato che il processo decisionale dell'uomo è inficiato da pregiudizi comportamentali frequenti e persistenti, che portano molto spesso a decisioni finanziarie sbagliate.
    Semplicemente, il cervello umano non si è evoluto per prendere decisioni finanziarie.
    La moderna neurologia cerebrale ha dimostrato che l'emozione della paura viene elaborata in modo molto diverso dal sentimento opposto dell'esuberanza, in quanto ciò avviene in una zona diversa del cervello.
    Di conseguenza, il modo in cui gli esseri umani pensano alle perdite finanziarie differisce da come pensano ai guadagni, portando a un processo decisionale non ottimale.

    BIAS 1: L'AVVERSIONE ALLE PERDITE
    Questo ci porta al nostro primo pregiudizio, che vede gli investitori vittime della cosiddetta "avversione miope alle perdite".
    Si tratta della tendenza a lasciare che la storia delle più recenti performance, vada ad influenzare la valutazione del rischio di un investimento.
    Se un investimento ha subito un recente calo di valore ed è ora in perdita, questa perdita innesca una risposta di paura nel cervello dell'investitore, a sua volta portato a convincersi che l'investimento è molto più rischioso di un analogo investimento in guadagno.
    Questa naturale paura di realizzare una perdita, porta molti investitori e diversi gestori di fondi a mantenere una posizione in perdita molto più a lungo di quanto sia razionalmente giustificato.

    BIAS 2: IL PREGIUDIZIO DI DISPONIBILITA'
    Il cervello umano ha sviluppato nel tempo dei meccanismi utili a ridurre un mondo estremamente complesso in decisioni facili.
    Un esempio di questo è il "pregiudizio di disponibilità", secondo il quale nei processi decisionali complessi non consideriamo tutte le alternative allo stesso modo, ma saltiamo rapidamente a quelle che ci vengono in mente per prime.
    Come consiglio per migliorare la propria performance, gli investitori dovrebbero allora porsi sempre la stessa domanda, indipendentemente dalla motivazione della vendita: quale titolo, o quale soluzione d'investimento, all'interno del mio portafoglio, presenta il peggior rischio/rendimento nel periodo a venire?

    BIAS 3: IL PREGIUDIZIO DI CONFERMA
    Una buona dose di ottimismo umano è sicuramente preziosa in molti aspetti della vita.
    Ma non quando si tratta di prendere decisioni razionali.
    La nostra innata tendenza a credere di essere nel giusto, offusca il nostro pensiero in maniera significativa.
    Una volta presa una decisione di investimento, ci siamo convinti dei suoi meriti e ci siamo impegnati a portarla avanti.
    Sfortunatamente questo significa che abbiamo una forte tendenza a interpretare i dati e gli avvenimenti successivi come favorevoli alla nostra scelta iniziale.
    Questo "pregiudizio di conferma" rende allora molto probabile che ci sfuggano informazioni importanti che contrastano con le nostre convinzioni.
    Per cercare di superare il bias di conferma, può essere utile incaricare un osservatore neutrale di raccogliere (anche) i dati negativi.
    Oppure fare una pre-mortem, cioè un'analisi esplicitamente incentrata su come si presenterebbero i dati nel caso in cui le cose andassero male.

    I pregiudizi cognitivi influenzano tutti gli aspetti della vita, non solo l'ambito finanziario.
    Sebbene questo mio articolo si sia concentrato sul processo decisionale nel settore finanziario, le sue lezioni e conclusioni possono pertanto essere applicate anche a molti altri aspetti della vita quotidiana.
    Ad esempio, un cuoco insoddisfatto potrebbe non essere disposto a cambiare la sua carriera lavorativa, a causa delle sue competenze già acquisite in materia.
    Questo potrebbe essere un processo di pensiero molto simile a quello di un gestore di fondi che si rifiuta di vendere un investimento in perdita a causa dell'avversione alle perdite.
    In entrambi i casi infatti, l'individuo rifiuta di affrontare il fatto che ha commesso uno o più errori di valutazione in passato (noto come "fallacia dei costi sommersi").
    Nel tentativo di salvare la faccia, cerchiamo così di convincerci che, aspettando, le cose miglioreranno.
    Ma raramente gli errori si risolvono da soli, mentre noi guardiamo dall'altra parte.
    Non trovi?
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    5 - UN PASSO NELLA STORIA: CONFUSION DE CONFUSIONES

    Il 24 Maggio del 1688 venne pubblicato Confusiòn de Confusiones, un libretto che, con ironica leggerezza, intendeva spiegare i meccanismi del mercato azionario di Amsterdam.
    Si tratta, se vogliamo, dei primi arguti ammonimenti all'investimento azionario.
    L'autore, il mercante spagnolo José De La Vega, presenta alcuni suggerimenti ancora oggi di convincente modernità:

    1. Non consigliare a nessuno di comprare o vendere azioni.
    Perché, quando venisse a mancare l'acume, anche il consiglio dato con il massimo dell'altruismo potrebbe risultare maldestro.

    2. Accetta i guadagni senza mostrare rimpianto per le occasioni perse, perché un'anguilla può scappare di mano ben prima che tu te ne accorga.
    Il saggio approfitta del buono che arriva senza illudersi che il momento propizio prosegua, o che continui a lungo la buona sorte.

    3. I profitti del mercato azionario sono come il tesoro dei folletti: un momento sono cenere, il momento dopo carbone, poi diamanti, poi ancora ciottoli.
    Un momento sono la rugiada del mattino, il momento dopo lacrime.

    Oggi, come allora, l'attività di investimento presuppone un'adeguata soglia di attenzione, di testa e di carattere.
    Intelligenza e pazienza.
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    6 - RUBRICA: LA PSICOLOGIA DEI SOLDI (LO STRANO CASO DELL' INTERESSE COMPOSTO)

    Torna oggi la mia rubrica mensile alla scoperta dello splendido libro di Morgan Housel, "La psicologia dei soldi". 
    Siamo ormai giunti al 4° capitolo, interamente dedicato all'interesse composto.
    Un capitolo che ci guiderà alla scoperta di quanto sia importante (ma sottovalutata allo stesso tempo) la potenza di questo strumento, un concetto che la nostra mente fatica a comprendere.
    Fatichiamo infatti ad accettare che anche piccole e modeste variazioni possano poi generare importanti modifiche e grandi risultati
    Un pò come la neve: se uno strato, pur sottile, di fiocchi bianchi non si scioglie, può prendere avvio un'era glaciale.
    "Non è necessariamente la quantità di neve a generare le calotte glaciali, ma il fatto che la neve, per quanto poca, non si sciolga".
    Spesso, allora, non serve una forza enorme per produrre enormi risultati.
    Se qualcosa si accumula, se una piccola crescita serve da carburante per la crescita futura, una ristretta base di partenza può condurre a risultati così straordinari da sfidare la logica, tanto da indurci a sottovalutare cos'è possibile, da dove proviene la crescita e dove può condurre.
    Funziona così anche per i soldi.
    Serve tempo, serve pazienza, serve costanza. 

    Sono stati scritti più di 2.000 libri per spiegare come Warren Buffett abbia costruito il suo patrimonio.
    Spesso si tratta anche di ottimi libri.
    Pochi di essi prestano però sufficiente attenzione al dato più semplice: la fortuna di Buffett non è dovuta solo al fatto che sia un buon investitore, quanto invece al fatto che sia sempre stato un buon investitore fin da quand'era bambino.
    Il 99% del suo attuale patrimonio, si è accumulato soltanto dopo il suo 50esimo compleanno!
    Il 96,5% è arrivato dopo che Buffett ha iniziato a beneficiare della sicurezza sociale, ossia verso i 65 anni!
    Ne eri al corrente?
    Certamente Buffett è un investitore fenomenale.
    Ma il vero segreto del suo successo è il fatto di essere stato un investitore fenomenale per 3/4 di secolo.
    Se avesse iniziato ad investire a 30 anni, e fosse andato poi in pensione a 60, poche persone l'avrebbero mai sentito nominare...
    Buffett ha iniziato a investire seriamente quando aveva solo 10 anni.
    A 30 anni aveva già un patrimonio netto di un milione in dollari.
    Di fatto, tutti i suoi successi si possono ricondurre alla base finanziaria costruita fin da ragazzino, e alla longevità mantenuta negli anni della vecchiaia.

    La sua abilità è investire, ma il suo vero segreto è il tempo
    E' così che funziona l'interesse composto. 
    Però, purtroppo, raramente ci soffermiamo a riflettere sul potenziale degli effetti cumulativi, e non riusciamo ad abituarci alla rapidità con cui le cose possono crescere nel tempo, in maniera non lineare ma esponenziale. 
    Questo concetto matematico non è affatto intuitivo, e ciò porta la nostra mente a sottovalutarlo. 
    Riusciamo a calcolare facilmente quanto fa 8+8+8+8, ma ci scoppia la testa se pensiamo a quanto fa 8x8x8x8...

    Jim Simons, direttore dell'hedge fund Reinassance Technologies, genera dal 1988 dei rendimenti medi annui del 66%.
    Un record inavvicinabile.
    Buffett vanta un rendimento medio pari a 1/3 di quello di Simons: il 22% annuo. 
    Simons è però per il 75% meno ricco di Buffett.
    Come si spiega questa differenza se Simons è un investitore più bravo?
    Perché Simons ha trovato la sua strada soltanto a 50 anni.
    Ha così avuto meno della metà del tempo per accumulare interessi composti rispetto a Buffett.

    Se Buffett fosse stato una persona normale, uno che, come tanti, passa l'adolescenza e la giovinezza in cerca della sua strada, iniziando magari ad investire a 30 anni un patrimonio di, stimiamo, 25.000 $, e avesse poi smesso di investire a 60 anni per andarsene in pensione, a giocare a golf e a passare del tempo con i nipotini, a che punto sarebbe oggi?
    A parità di rendimenti ottenuti, avrebbe "soltanto" 11,9 milioni di $.
    E non gli oltre 80 miliardi che si ritrova attualmente in tasca.
    Nessuno dei 2.000 libri che analizzano il successo di Buffett si intitola "Questo tizio investe con costanza da 3/4 di secolo"...
    Il libro più importante e potente in tema di investimenti finanziari dovrebbe allora intitolarsi "Sta zitto e aspetta!".
    Una sola pagina che, con una tabella, mostri la crescita dell'economia a lungo termine.
    Molte persone dicono che aver scoperto l'esistenza dell'interesse composto ha cambiato la loro vita.
    Allo stesso modo, iniziare a risparmiare per integrare la futura pensione a 20 anni, invece che a 30, farà una grandissima differenza sul risultato finale.

    Il buon investimento non è allora necessariamente quello che ottiene i rendimenti più elevati, visto che i rendimenti più alti tendono ad essere eventi singoli e non ripetibili.
    Il vero segreto è quello di ottenere buoni rendimenti, che si possano mantenere nel tempo il più a lungo possibile.
    E' qui che l'interesse composto dà il meglio di sé.
    Inseguire, al contrario, dei rendimenti enormi, non sostenibili nel tempo, ha condotto ad alcune tragedie.
    Ma dovrai attendere Venerdì 23 Settembre, con il riassunto del capitolo numero 5, per scoprirle...
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    7 - DALLA LIBERTA' DI MOVIMENTO A QUELLA DI GUIDA

    Quando pensiamo alle auto elettriche, ci viene piuttosto naturale pensare a Tesla.
    Ma ci sono delle buone probabilità che, nel corso dei prossimi anni, quando le vetture elettriche prenderanno stabilmente il posto di quelle tradizionali, andremo ad acquistare un'automobile costruita da un sociologo cinese.
    Questo accadrà se William Li saprà coronare il sogno di sorpassare, con la sua NIO, la stessa Tesla di Elon Musk.

    Il cinese Li Bin (William se l'è aggiunto dopo la laurea in sociologia alla prestigiosa Peking University), nato nel 1974 da una famiglia di modesti agricoltori, è un rampante ex startupper della provincia cinese di Anhui, che ottenne il successo nel 2000 quando lanciò Bitauto, azienda fornitrice di contenuti web e marketing per l'industria automobilistica cinese pronta al boom.
    Venduta Bitauto nel 2013, con il capitale di un miliardo di $ che ne ha ricavato, ha fondato nel 2014 la sua casa per veicoli elettrici, quotandola poi a Wall Street nel 2018.
    NIO è il nome per l'estero, mentre in patria il marchio si chiama Weilai, che suona come "futuro luminoso" e dà l'idea di un cielo libero e pulito dai gas di scarico.

    Oggi l'azienda ha il suo quartier generale a Shanghai: una fabbrica con 2.300 tra tecnici e operai, 310 robot per una catena di montaggio ad altissima tecnologia.
    Capacità produttiva? 100.000 vetture a batteria all'anno.
    Nio ha già messo su strada 6 modelli nel segmento Suv premium.
    Elettriche ma velocissime.
    Così vuole le sue auto Li, che possiede anche una scuderia nel mondiale di FormulaE.
    I primi 6 esemplari della sua prima creatura, la sports car NIO EP9 presentata a Londra nel 2016, sono stati venduti a 3 milioni di $ l'uno a investitori della City.

    La sua ambizione è ora quella di superare i (seppur vasti) confini dell'ex Celeste Impero, e conquistare la leadership mondiale del settore, distinguendosi da quello che considera il suo concorrente naturale, Elon Musk.
    "Guidare l'auto è diventata ormai una seccatura, tra traffico e inquinamento... Perché la gente dovrebbe continuare a comprare auto?" ha recentemente affermato.
    Per poi "Noi abbiamo pensato di fornire a ogni nostra auto la capacità di riconoscere chi la guida, e di togliergli così di dosso lo stress degli spostamenti quotidiani".
    Riassunto: le NIO sono delle vetture elettriche intelligenti, che puntano al primato nella rivoluzione dell'auto-mobilità.
    "In passato le auto hanno dato alle persone la libertà di muoversi, in un futuro vicino le libereranno dal compito di guidarle" sostiene l'industriale-antropologo.

    Nel secondo trimestre di quest'anno, NIO ha consegnato circa 25 mila vetture, pagando a caro prezzo i due mesi di quarantena (Aprile e Maggio) in mezza Cina.
    Tesla ha venduto 32 mila modelli a Maggio, 22.300 dei quali sono stati esportati.
    A conti fatti, sul mercato cinese, NIO è leggermente avanti.
    Le potenzialità sono enormi guardando al futuro: si stima che il 2022 si chiuderà con 2 milioni di veicoli elettrici venduti in Cina.
    Le previsioni dicono che si arriverà addirittura a 6,2 milioni nel 2025.

    Per vincere la corsa, William Li ha un piano piuttosto chiaro.
    Immedesimandosi nel guidatore-tipo di auto elettriche, che soffre terribilmente (e giustamente...) l' "ansia da autonomia e rifornimento" (al momento, almeno nelle nostre città, i punti di ricarica elettrici sono oasi nel deserto e poi, per l'operazione completa di rifornimento, serve un'ora buona), NIO ha pensato di risolvere i dubbi dei potenziali acquirenti con il cambio veloce della batteria, e ha lanciato le NIO House, stazioni di sostituzione completa della batteria per i clienti che si iscrivono al programma di assistenza della casa.
    Sulla rete autostradale cinese sono già più di 500 i punti attrezzati per il pit-stop veloce.
    Tempi di lavorazione ridotti a soli 5 minuti, capacità di 20 mila interventi giornalieri, con un sistema di sensori che pensa a tutto.
    I cinesi hanno dalla loro un mercato sterminato, tanto che NIO ha già in programma l'apertura di 4 mila NIO House, delle quali 1.000 anche nella nostra Europa.
    Alcune di queste sono già state inaugurate in Norvegia.
    A seguire in Germania, in Olanda e in Danimarca, teste di ponte dello sbarco nel continente della casa di Shanghai (Italia dal 2023).
    L'autonomia dei Suv NIO è già intorno ai 500-600 chilometri.
    Ma per portarla oltre i 1.000, un battaglione di 400 ingegneri sta lavorando allo sviluppo di una batteria da 800 volt, potenza doppia rispetto a quella montata sulla maggior parte delle auto elettriche attualmente in circolazione nel mondo.

    Come finirà allora la gara tra Li e Musk?
    Anche in questo, stiamo sempre parlando di Cina vs Stati Uniti...
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    Il prossimo appuntamento con la mia 7in7 è fissato per Venerdì 9 Settembre, quando ferie e vacanze saranno, probabilmente per molti, un piacevole ma lontano ricordo...
    Ti auguro un buon fine settimana!
    Un caro saluto,

    Davide