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www.davideberto.it2024-10-11
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    Nelle sue fluttuazioni, il mercato finanziario ci propone di scegliere se agire come investitori o come speculatori.
    Nel primo caso, l'obiettivo sarà quello di comprare e mantenere nel tempo degli asset con un rilevante valore sottostante.
    Nel secondo caso, al contrario, l'obiettivo sarà quello di prevedere e sfruttare a vantaggio le variazioni di prezzo del mercato stesso.
    Se per lo speculatore i movimenti dei prezzi sono molto importanti per cercare di sfruttare a suo vantaggio anche i più brevi e contenuti sali-scendi del mercato, per l'investitore rincorrere i prezzi ha una valenza decisamente minore.
    Ugualmente, capire quando un prezzo è attraente è molto complicato, aspettare i crolli di borsa per entrare nel mercato rischia di farci attendere fuori per parecchio tempo, e capire il punto di minimo durante un mercato in discesa è molto complesso.

    Quando, allora, è giusto investire?
    Semplicemente, con metodo e strategia, quando disponiamo di una quota di liquidità che possiamo destinare ad un arco temporale di medio-lungo periodo.
    Se l'investimento diventa in funzione dei prezzi, tutto si complica nell'imprevedibilità del breve termine, che può portare i prezzi ad essere ancora più bassi (con il rischio di posticipare così al mai più l'investimento, in attesa dei minimi dei minimi), o immediatamente più alti (posticipando allora l'investimento al mai più, in attesa che riscendano) nel giro di poco tempo.

    Il mio consiglio resta allora sempre quello di diversificare il portafoglio investimenti, di accettare i ribassi del mercato, di dare valore al tempo, e, se possibile, acquistare con criterio sui ribassi, il tutto lasciando che il portafoglio arrivi a destinazione.
    Certo, la partita non è facile fra pandemia, guerra in Europa, rischi recessivi e spinte inflazionistiche.
    Ma chiunque pensi che investire sia facile e fattibile con due fondi dagli ottimi rendimenti storici, visionati su Morningstar, sta semplificando una realtà mooolto più articolata...
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    1 - LA FEDELTA' PAGA BENE

    Sui mercati finanziari bisogna essere lungimiranti, evitando di farsi prendere dal panico nelle fasi di forte stress e volatilità.
    Solo così l'investitore può massimizzare il suo rendimento.

    La testimonianza arriva da uno studio condotto da Moneyfarm, che ha analizzato il comportamento di ben 33.500 clienti in questi anni di pandemia e tensioni geopolitiche.
    Moneyfarm, in particolare, ha individuato tre tipologie di investitori:
    - il lungimirante, che è rimasto investito e fedele al proprio piano finanziario di lungo periodo;
    - lo speculatore, che ha provato a battere il mercato anticipando la presunta fase negativa, disinvestendo almeno 1/3 del proprio portafoglio tra Marzo e Giugno 2020, per rientrare poi successivamente sul mercato;
    - lo spaventato, che è uscito dal mercato disinvestendo totalmente preso dall'ansia dovuta al ribasso.

    Moneyfarm ha allora paragonato le performance mediane dei portafogli dei clienti, in una finestra temporale compresa tra Gennaio 2019 e Dicembre 2021.
    Ebbene, gli investitori lungimiranti hanno ottenuto nel periodo un rendimento mediano del 16,8%, gli speculatori del 12,8%, e gli spaventati solamente del 3,2%.
    Comportamenti e performance ottenute dai 3 investitori non sono influenzate dalla tipologia degli strumenti d'investimento scelti dagli stessi.

    Lo sappiamo tutti: non è certo facile restare fedeli al proprio piano d'investimento (se ce l'hai poi un piano d'investimento...) quando i mercati crollano.
    A maggior ragione in periodi di forte incertezza globale, come quello che abbiamo vissuto in questa prima metà del 2022.
    Ma, risultati alla mano, questo studio (ma non solo questo) dimostra che restare investiti paga.
    Se non stupisce che la scelta di uscire dal mercato, durante o subito dopo lo scoppio globale della pandemia, sia poi risultata quella peggiore, perché non ha consentito agli spaventati di beneficiare del forte recupero dei mesi successivi, è invece interessante il paragone tra lungimiranti e speculatori, con questi ultimi che, più o meno consapevolmente, hanno provato a battere il mercato disinvestendo per poi reinvestire (off-on) in un momento giudicato più favorevole.
    Questa operatività prende, se vogliamo, il nome di market timing.
    Ma individuare il momento giusto per capitalizzare i profitti, e approfittare poi della ripresa, è estremamente complesso anche per gli stessi analisti e gestori, figuriamoci per i normali investitori.
    Tant'è che gli speculatori hanno lasciato sul campo ben 4 punti percentuali di performance, rispetto invece ai lungimiranti che sono riusciti a tenere a bada le loro ansie e preoccupazioni.

    Diversi possono essere i fattori che influenzano il comportamento dei risparmiatori nelle fasi di stress.
    Ma sono prevalentemente l'eccessiva confidenza in se stessi (overconfidence) o la paura di subire perdite (avversione alle perdite) a giocare un ruolo chiave.
    A far credere agli speculatori di poter azzeccare il timing perfetto per uscire, per poi rientrare sul mercato non appena ha toccato il suo punto più basso, è molto spesso un'eccessiva sicurezza nelle proprie capacità predittive.
    Mentre l'avversione alle perdite e l'eccessivo peso attribuito al presente piuttosto che al futuro, hanno plausibilmente fatto uscire gli spaventati dal mercato per paura di subire perdite nel breve periodo.

    Per concludere, anche se non si può prendere come riferimento il passato per prevedere il futuro, tutto questo serve a comprendere che nelle fasi di volatilità, agire sulla scia delle emozioni può rivelarsi una scelta costosa.
    Occorre pertanto mixare 2 cose:
    - una strategia d'investimento lungimirante, possibilmente orientata ai reali obiettivi di vita, in grado di minimizzare la volatilità nel tempo;
    - unita al supporto di una Consulenza professionale, in grado di aiutare l'investitore nella gestione della pressione emotiva.
    Tutto ciò rappresenta l'antidoto migliore agli imprevisti.
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    2 - QUELLA CORRELAZIONE CHE NON E' POSSIBILE TRASCURARE

    L'investitore in azioni deve necessariamente essere dotato di un orizzonte temporale di lungo periodo, e in questa prospettiva c'è un parametro da non trascurare nelle valutazioni da mettere in campo: si tratta della correlazione fra la crescita del PIL e gli utili delle aziende quotate. 
    Vediamo allora assieme di cosa si tratta, e perché si tratta di una variabile molto importante, dalle dinamiche meno evidenti nel breve periodo ma decisamente impattanti sulla lunga distanza. 

    Da inizio anno la discesa dei mercati azionari internazionali è stata consistente, nell'ordine del 30% per il Nasdaq e per i principali indici europei.
    Dopo un euforico 2021, le valutazioni si sono così ridimensionate, e il rapporto prezzo-utili (price-earnings) si è ridotto, tornando ad essere più attrattivo per gli investitori. 
    Ma va fatta attenzione nell'interpretare il dato: questo indicatore si è attualmente ridimensionato a causa del calo della variabile "prezzo", mentre la variabile "utili" non ha ancora subito significative correzioni.
    Anche in passato è già successo che arrivasse prima il calo dei multipli, e solo in seguito l'aggiustamento anche dei profitti aziendali.
    Il mercato del lavoro è un ottimo indicatore in tal senso.
    Finche rimarrà tonico, difficilmente ci sarà un severo ritracciamento degli utili.
    Lo stato di salute delle aziende non può però prescindere dalle prospettive di crescita economica e dai dati macroeconomici del paese in cui sono operative: con un'economia anemica, i margini aziendali non possono continuare a crescere ininterrottamente, e prima o poi accuseranno il colpo anche se occorre fare dei distinguo tra le varie attività produttive. 
    Finora sono state poche le aziende ad aver lanciato profit warnings, ovvero comunicazioni ufficiali che annunciano cali degli utili precedentemente previsti, ma non va dimenticato che le previsioni della Banca Mondiale vedono una brusca frenata della crescita globale: dal 5,9% del 2021 al 2,9% di quest'anno, e anche le attese per il biennio 2023-2024 non sono rosee.
    Il conflitto in Ucraina, i blocchi in Cina, le interruzioni alle catene di approvvigionamento, stanno infatti minando la crescita, e per molti Paesi sarà difficile evitare la recessione.
     
    Va però detto che non tutti gli analisti vedono il futuro a tinte fosche.
    Alcuni di essi fanno notare che i principali listini azionari non sono oggi così farciti di titoli di aziende cicliche, ovvero quelle attive in settori che maggiormente risentono di scenari recessivi, quali l'energia, le materie prime e l'industria.
    Ad esempio, l'indice americano S&P500 è composto perlopiù da società con ampia marginalità, appartenenti ai settori della tecnologia, delle comunicazioni e del farmaceutico. 
    L'impatto della frenata del PIL mondiale sulla redditività delle aziende quotate, potrebbe essere quindi più contenuto del previsto? 
    Occorre fare senz'altro dei distinguo tra le società che operano nei diversi settori e nelle diverse parti del mondo, ma se gli utili aziendali inizieranno a deludere le aspettative, sarà meglio allacciarsi le cinture di sicurezza per chi rimane sull'ottovolante delle borse.
    Proprio in merito a questo argomento, il team dei gestori Azimut ha recentemente elaborato un'accurata analisi con relative previsioni.
    Se desideri approfondire ulteriormente tutto ciò, sarò ben felice di inviartelo.
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    3 - AL RIPARO DALLA VOLATILITA' CON ROLEX E CHANEL

    In un contesto di grande incertezza appesantito dalla pandemia e dalla guerra in Ucraina, l'inflazione torna a farsi sentire non poco ma alcuni oggetti da collezione possono essere una valida protezione dal suo incremento, posizionandosi ai vertici della classifica degli asset con ritorni meno volatili.
    E' il caso delle borse Chanel o degli orologi da polso Rolex.
    Lo mette in luce l'ultimo rapporto di Credit Suisse Research Institute, realizzato con Deloitte e i maggiori esperti del settore.
    L'analisi indica i principali trend di rendimento, confrontandoli con quelli storici e tradizionali, analizzando la loro sensibilità a inflazione e aumento dei tassi.

    Nel 2021 le auto classiche hanno reso in media il 6,2%, i vini il 5,4%, gli orologi Rolex segnano +8%, le borse di lusso Chanel +11,8%, quelle Hermes Birkin addirittura +38%, mentre per l'arte l'anno in media si è chiuso con un +2%.
    La passione per i beni da collezione è globale con alcune differenze: negli Stati Uniti il focus è su arte e automobili; nel Middle East su gioielli e orologi, auto e borse di lusso; la Cina ama meno le auto ed è più attenta ad arte, borse di lusso, gioielli ed orologi; in Europa e in Italia si guarda ad auto, arte, gioielli, orologi e naturalmente al vino, vista e considerata la nostra tradizione ormai secolare.

    I beni da collezione si differenziano l'uno dall'altro come le attività finanziarie.
    L'arte tende, ad esempio, ad essere pro-ciclica, ovvero forte con un'economia forte e debole quando l'economia è debole.
    Le auto d'epoca sono, al contrario, più anticicliche.
    I beni da collezione differiscono anche in termini di volatilità.
    Orologi e gioielli sono, ad esempio, classici depositi di valore con volatilità e drawdown limitati, ma anche rendimenti costanti tendenzialmente ad una sola cifra.
    L'arte è invece più di crescita che di capitale, ma ha anche rendimenti medi più elevati, anche se, come le azioni, piuttosto volatili.
    Vini pregiati e auto d'epoca sono, se vogliamo, più simili alle obbligazioni, ossia moderatamente volatili.
    Su tutti gli asset, il miglior rapporto rischio-rendimento se lo sono aggiudicato le borse di lusso Chanel.

    > AUTO D'EPOCA
    Uscito dalla pandemia, il mercato delle auto d'epoca, fortemente trainato dalla passione dei collezionisti, ha accelerato una trasformazione radicale con nuove piattaforme d'asta digitali cha hanno guadagnato importanti quote di mercato, nuove categorie di auto che sono diventate "classici istantanei" e nuovi collezionisti che si sono uniti al mercato.
    E' raro che i veri collezionisti vendano una delle loro auto: solitamente le loro collezioni crescono in qualità e in quantità.
    Di conseguenza, il mercato delle auto d'epoca, pur essendo soggetto a tendenze positive e negative, tende ad essere più anticiclico di altri.

    > VINI PREGIATI
    Con una stima di 5 miliardi di $ di vendite all'anno, il mercato dei vini pregiati è una categoria significativa di oggetti da collezione.
    Covid e inflazione hanno alimentato l'aumento dei prezzi di alcuni vini.
    I vini da investimento, come altri oggetti da collezione, richiedono conoscenze specialistiche per ottenerne un successo economico.
    Il peso del Bordeaux, un tempo leader indiscusso, è diminuito nel corso degli anni, mentre Borgogna, Italia e Champagne sono emersi come vincitori.

    > OROLOGI E GIOIELLI
    Per la maggior parte dei super ricchi, gioielli e orologi di pregio sono una parte importante del loro patrimonio.
    All'interno del collezionismo costituiscono una riserva di valore in tempi di grande incertezza.

    Ovviamente tutti questi sono beni e oggetti non per tutte le tasche.
    Beni e oggetti da possedere in porzione corretta rispetto al patrimonio nel suo complesso, ovvero in maniera possibilmente marginale.
    Perché un portafoglio diversificato di fondi e una collezione di orologi non devono mai essere inseriti all'interno della stessa categoria d'investimento.
    Non devono essere paragonati e non devono mai rappresentare la stessa quota del tuo patrimonio complessivo.
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    4 - PREVIDENZA COMPLEMENTARE: TANTE OMBRE, POCHE LUCI

    Sono trascorsi più di 25 anni dal lancio sul mercato dei Fondi Pensione.
    E' quindi tempo di bilanci, di valutarne successi e criticità.
    Com'è allora oggi la situazione della previdenza integrativa in Italia?
    A questa domanda risponde la relazione annuale della Covip, la Commissione di Vigilanza sui Fondi Pensione. 

    Scopriamo così che gli iscritti sono arrivati ad essere 8,5 milioni, ma rappresentano solamente 1/3 della platea dei lavoratori.
    Di questi, oltre un milione non ha versato nulla negli ultimi 5 anni, e in due milioni (quasi il 25%) non hanno versato nulla negli ultimi due anni.
    La fotografia scattata dalla Covip per il 2021 mostra infatti più ombre che luci: proprio i soggetti più fragili dal punto di vista della copertura pensionistica pubblica (giovani, donne e abitanti del Mezzogiorno) sono i grandi assenti.
    Un dato decisamente preoccupante.

    Lo scenario attuale vede gli over 65 investire ancora in previdenza, mentre gli under 35 latitano. 
    Tra chi versa nei Fondi Pensione c'è infatti una predominanza delle classi di età più prossime al traguardo pensionistico: un classico in tanti ambiti, perché quando le scadenze incombono si cerca di correre ai ripari. 
    Solo il 18% degli iscritti ha meno di 35 anni, e negli ultimi 5 anni questa percentuale è cresciuta di un nonnulla (+0,4%).
    Pure la composizione per genere è sbilanciata, con gli uomini a rappresentare il 62% del totale. 
    Anche qui, negli ultimi 5 anni la componente femminile è aumentata solamente dello 0,5%, così come la contribuzione è in media inferiore tra il gentil sesso (2.430 € l'anno di media, contro i 2.910 € medi degli uomini). 
    Osservando infine la geografia, il 57% degli iscritti appartiene a regioni del Nord Italia, dove le contribuzioni arrivano a punte di 3.400 € annui (importi praticamente doppi rispetto a gran parte delle regioni del Sud). 

    Sicuramente ciò che accomuna le tre categorie "latitanti", è il livello salariale basso e le carriere lavorative discontinue.  
    L'intento dei Fondi Pensione era (ed è ancora) nobile e lungimirante: coprire il divario, sempre più ampio, tra l'ultima retribuzione da lavoro e la prima pensione pubblica.
    Nei fatti siamo però molto lontani dal realizzare ciò, soprattutto per chi più ne avrà la necessità un domani.
    Senza contare poi il fatto che oggi, chi va in pensione, preferisce di gran lunga riscattare e richiedere il capitale del Fondo, piuttosto che trasformare il tutto in una rendita mensile.
    Nel 2021, infatti, solo 500 milioni su 11 miliardi riscattati sono stati trasformati in rendita.
    Il resto è stato chiesto sottoforma di denaro sonante, one shot.
    Meglio anche meno ma subito, piuttosto che di più ma dilazionati nel tempo.
    Anche qui ci confermiamo essere un popolo più di cicale che di formiche.

    Ultimo, ma non meno importante, c'è il tema della gestione delle risorse in mano ai Fondi Pensione: dei quasi 200 miliardi in gestione, meno del 2% va ad alimentare l'economia reale del nostro paese, contro il 30-60% degli altri paesi OCSE.
    Pesa in tal senso la struttura familiare delle imprese italiane, diffidenti verso l'afflusso di capitali dal mercato e reticenti a quotarsi, così come pesa anche la scarsità di opportunità di investimento.

    Dopo quasi 30 anni la strada da percorrere è allora ancora molta.
    Serve una maggiore presa di consapevolezza dei lavoratori, che troppo spesso non riescono (e non vogliono) allungare lo sguardo fino all'età della quiescenza.
    Serve certamente anche comunicare in maniera più efficace, scuotere le coscienze, trasformare i freddi numeri in esempi realistici per far comprendere meglio l'urgenza del concetto.
    Perché agire in ottica Fondo Pensione quando mancano pochi anni alla fine dell'età lavorativa ... non potrà bastare.
    Se i giovani non sono attratti dalla previdenza complementare è necessario poi capirne le ragioni, e trovare soluzioni, perché più si va avanti e meno il sistema pensionistico pubblico avrà la capacità di reggere le dinamiche economiche e demografiche in atto, con una popolazione sempre più vecchia, con sempre meno nascite, e con un debito pubblico che sfiora il 160% del PIL.

    E' allora sempre più necessario un deciso cambio di rotta da parte di tutti gli attori coinvolti: maggiore presa di coscienza da parte dei lavoratori, maggiore collegamento con la realtà economica da parte dei gestori dei fondi, maggiore comunicazione e agevolazioni anche da parte dello Stato.
    Ce la faremo o rimarremo sempre delle eterne cicale?
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    5 - UN PASSO NELLA STORIA: HETTY GREEN, LA STREGA DI WALL STREET

    Dopo averti raccontato la bella storia della vita di Amadeo Peter Giannini, il banchiere galantuomo, due settimane fa, oggi rimango sempre negli Stati Uniti nel raccontarti, questa volta, la triste e misera vita di quella che arrivò ad essere, ai suoi tempi, la donna più ricca del mondo: Hetty Green (1834-1916).

    Nata da una famiglia benestante, a 30 anni Hetty ereditò 1 milione di dollari ma non se ne accontentò.
    Volle accrescere sempre più il suo patrimonio e, nell'arco dei successivi 50, seppe destreggiarsi abilmente fra azioni e titoli, portandolo alla pazzesca cifra di 100 milioni.
    Il tutto, anche se ad un prezzo molto alto: quello della propria salute mentale.

    Hetty, capitalista in erba, aveva imparato da bambina a leggere i giornali finanziari di papà.
    Le complicate operazioni di borsa non erano per lei quell'indecifrabile segreto che sono per la maggior parte dei comuni mortali.
    Quando ancora portava le trecce e giocava con le bambole, ne sapeva già quanto basta ad un normale Consulente Finanziario.
    Ma non si poteva affatto definire la signora Green come una persona in equilibrio. 
    Pur essendo sfacciatamente ricca, indossava sempre un solo ed unico vestito nero, che non lavava mai per non acquistare il sapone; scaldava la minestra sul termosifone o mangiava panini per non accendere i fornelli; viveva in squallide pensioni per non dover pagare le tasse su un'eventuale casa di proprietà; trattava i suoi affari milionari in un angolino della propria banca per non dover affittare uno studio tutto suo.
    Pensa, arrivò addirittura a portare il figlio Ned, ferito ad un ginocchio, in un reparto ospedaliero riservato ai nullatenenti per farlo curare gratuitamente.
    Una volta riconosciuta dal medico, pur di non pagare la parcella, decise di riportare il figlio a casa e curarlo così da sola.
    Dopo due anni Ned dovette subire l'amputazione della gamba...
    Come si può definire una madre che si comporta in questo modo?

    Ma Hetty non fu tenera nemmeno col marito.
    A 33 anni sposò Edward Green, rampollo milionario di ottima famiglia, costringendolo a firmare un accordo prematrimoniale di divisione dei beni.
    Quando egli perse tutta la sua fortuna in speculazioni di borsa, i due si separarono, ed Hetty, pur possedendo una ricchezza incalcolabile, allevò i due figli in condizioni di assoluta povertà, spostandosi da una locanda all'altra per non dover versare le previste imposte patrimoniali.
    Hetty non spendeva nemmeno per sé stessa: a 81 anni, litigando per il prezzo del latte, fu colpita da un ictus cerebrale.
    Ned la circondò all'ospedale di infermiere che la assistettero fino al suo ultimo giorno, ma fu costretto a chieder loro di presentarsi in abiti civili per timore che le sue condizioni si aggravassero nel rendersi conto che le cure costavano tanto...

    Per tutta la vita fu afflitta da un profondo mal di vivere, che la portò ad accumulare in maniera ossessiva, perdendo di vista il reale scopo del denaro e provocando così l'estrema infelicità di sé stessa e delle persone a lei vicine.
    Non possiamo definirla semplicemente avara, ma tormentata dalla cupidigia.
    Ossessionata dall'aumentare di continuo i sui averi. 

    Il segreto della colossale, inconcepibile ricchezza accumulata dalla Signora Green, consisteva sostanzialmente nel comprare titoli a condizioni vantaggiose, e nel rivenderli poi a caro prezzo.
    Un segreto piuttosto semplice se vogliamo, condotto però con incredibile astuzia e implacabile tenacia.
    Le sue manovre di borsa lasciarono di stucco i grandi magnati dell'epoca, e le valsero il soprannome di "strega di Wall Street".
    Passava ore ed ore a contemplare il suo tesoro, formato da titoli e azioni cartacee, sul pavimento della camera di sicurezza della banca. 
    Benché fosse un genio nel far soldi, sviluppò un odio viscerale per ogni tipo di spesa, scegliendo di fare una vita di miseria.
    Non lo fece certo per senso di solidarietà verso i veri poveri, ma, al contrario, solo per non intaccare la sua smisurata ricchezza.
    Il mondo era spento per lei: si riduceva in pratica ad un forziere inesauribile dal quale aveva giurato di strappare, un pò alla volta, fin l'ultimo centesimo.
    E le pareva che il segreto consistesse nel non spendere nulla, perché spendendo avrebbe restituito, sia pure in misura infinitesimale, quel denaro che le sue manovre di borsa le consentivano di guadagnare.
    L'ironia della sorte volle che, alla sua morte, il figlio Ned, erede di gran parte della sua fortuna, la sperperasse con una vita dissoluta, fatta di feste, vasi da notte tempestati di diamanti, gioielli e lussuose imbarcazioni, in una sorta di rivalsa per la vita di stenti che la madre lo aveva costretto a subire.
    Va però anche detto che egli usò i soldi dell'eredità della madre anche per nobili scopi, come la costruzione di un ospedale.

    Tutto questo può farci capire che un'anima persa è doppiamente pericolosa: fa perdere sé stessa, ma distrugge anche chi le sta attorno.
    Riletta in chiave moderna, la storia di Hetty Green mette in guardia da una tendenza presente in gran parte della moderna umanità: un'avidità smisurata, demoniaca se vogliamo anche, che si innesta su anime sempre più vuote e prive di valori.
    Non sappiamo se la gente si facesse il segno della croce, vedendo passare per strada la Strega di Wall Street col suo lurido vestito nero e col suo sguardo impenetrabile; ma è certo che ciascuno di noi, nelle proprie preghiere, dovrebbe chiedere di non diventare mai simile a Hetty Green.
    Di non spogliarsi fino a tal punto della propria umanità.
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    6 - IL GIORNO DELLE STREGHE

    I mercati azionari, si sa, tendono ad essere volatili e ballerini per natura.
    In questa prima metà del 2022 ce lo stanno ricordando in modo particolare. 
    Ma c'è un giorno, che ricorre ogni tre mesi, particolarmente temuto.
    Un giorno durante il quale la volatilità raggiunge valori davvero abnormi.
    Sto parlando del triple witching day, ossia il giorno delle tre streghe.
    Si tratta del terzo Venerdì del terzo mese di ogni trimestre solare: giorno in cui scadono gran parte dei contratti futures e le opzioni su indici e titoli azionari.

    Futures e opzioni scadono in realtà continuamente, ogni giorno, ogni settimana, ogni mese... 
    Ma in quel giorno particolare si vanno a sommare scadenze mensili e trimestrali, determinando un sovraccarico di operazioni e, conseguentemente, di volatilità.
    In quel giorno, infatti, chi detiene posizioni lunghe deve chiuderle e riaprirle eventualmente sulla nuova scadenza.
    Questa chiusura e riapertura prende il nome di roll-over, e fa passare dalla scadenza di fine Giugno a quella di fine Settembre, poi a fine Dicembre, e da lì a fine Marzo del nuovo anno e così via.
    Il tutto si attua vendendo il vecchio e ricomprando, subito dopo, un nuovo contratto.
    Per chi detiene opzioni in perdita, quella perdita deve necessariamente essere incamerata, proprio perché il contratto giunge, senza appello, a scadenza.
    Tutte queste scadenze tecniche causano così un inusuale aumento degli scambi.

    In questo giorno a cui tutti gli operatori finanziari guardano con preoccupazione, c'è un momento particolarmente difficile corrispondente all'ultima ora della sessione di scambi a Wall Street, dalle 21 alle 22 italiane.
    La triple witching hour.
    In quell'ora di scambi vertiginosi si intrufolano anche gli speculatori più navigati, che cercano di cogliere opportunità estemporanee grazie ai forti e repentini sbalzi nei prezzi.
    Proprio anche a causa della speculazione, i volumi scambiati possono raggiungere quantità eccezionali, con saliscendi dei singoli titoli non legati a modifiche nelle valutazioni dei fondamentali delle aziende sottostanti, ma a meri tecnicismi destinati poi a rientrare alla riapertura di borsa del giorno seguente.
    Per i comuni investitori come noi, tutto tende invece passare in sordina.

    Fenomeni simili non accadono solamente nel più importante mercato finanziario al mondo: quello americano.
    Accadono anche nelle altre borse mondiali, ma passano maggiormente inosservati perché la scadenza dei contratti è fissata in diversi intervalli di tempo e non tutti in una sola ora. 
    Tutto questo è naturalmente materia per esperti, ma per i piccoli trader che si dilettano ad acquistare e vendere azioni direttamente sul mercato, è meglio saperlo, onde evitare compravendite in questi giorni caldi.
    Perché il rischio di effettuare acquisti o vendite a prezzi sconvenienti è assolutamente reale.
    Massima attenzione, allora, al prossimo Venerdì 16 Settembre!
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    7 - IL BIOTECH PROVA A RIALZARE LA TESTA

    Anche il settore azionario delle biotecnologie è stato pesantemente travolto dall'ondata di vendite in borsa in questa prima parte del 2022.
    Le aziende quotate hanno esaurito la spinta creata dalla ricerca sul Coronavirus, e hanno visto azzerarsi il recupero messo in atto dalla primavera 2020.
    L'indice di riferimento internazionale del settore è il Nasdaq biotech, scivolato dai 5.500 punti di Agosto 2021 ai 3.400 punti di metà Giugno scorso, con un calo di quasi il 40%. 
    Una discesa ancora più marcata dell'indice Nasdaq composite.
    Ci sono però indicazioni per un futuro molto interessante, grazie alle potenzialità di sviluppo di questo settore. 
    Il Covid-19 ha puntato i fari sulle aziende biotecnologiche, che hanno saputo fornire risposte rapide e concrete alla pandemia, attraverso il sequenziamento del genoma virale ed i vaccini, oltre che con lo sviluppo dei farmaci monoclonali ed antivirali.
    Ora, anche nell'ambito dell'emergenza energetica e alimentare che stiamo vivendo, il biotech può giocare un ruolo primario a livello globale.
    Il mercato globale vale attualmente 485 miliardi di dollari, e le attese lo vedono triplicare entro il 2028. 
    Potremmo quindi trovarci alla vigilia di una vera e propria esplosione di questo comparto, che comprende naturalmente la salute, ma anche la protezione dell'ambiente, il bisogno di nuove fonti energetiche, senza contare l'industria, l'agricoltura e quel vasto campo del business chiamato bioeconomia.
    Il grosso di questa torta appartiene al Nord America (Usa e Canada), seguita dall'Europa davanti all'Asia. 

    E l'Italia, quanto vale?
    Stando ai dati di fine 2020, l'Italia in tutto questo pesa per oltre 10 miliardi di €, con 800 aziende attive che danno lavoro a 13.000 addetti.
    La crescita nel bel paese è a doppia cifra su molte voci, a partire dagli investimenti in ricerca e sviluppo (+15%), fino al numero di aziende impegnate nell'industria (+29%) e in agricoltura (+34%).
    Fervono le startup innovative, che nascono come spin off da attività di ricerca scientifica svolta nelle università o nei centri di ricerca specializzati.
    Naturalmente il giro d'affari legato alla salute è predominante: vale infatti il 75% del totale e assorbe l'88% degli investimenti.

    La vera sfida per noi è riuscire ad attirare i capitali e i finanziamenti necessari per rimanere al passo.
    Il biotech è infatti un settore caratterizzato da forte innovazione, che porta in breve tempo alla obsolescenza delle conoscenze. 
    L'Italia purtroppo non è attrattiva per chi deve investire, a causa delle ben note zavorre del nostro paese, come la legislazione esasperante e la lentezza burocratica. 
    Si confida allora sui fondi del PNRR, strumento fondamentale, ma che non basterà.
    Sarà necessario adottare un quadro normativo chiaro e stabile, favorire la collaborazione tra pubblico e privato e gli investimenti dei privati stessi, per creare nuovi posti di lavoro.

    Sono necessari aggiornamenti continui e tecnici altamente specializzati per far funzionare i gioielli tecnologici messi a disposizione, e il capitale umano mancante è uno dei limiti allo sviluppo del settore.
    Mancano infatti ricercatori bioinformatici, ingegneri di intelligenza artificiale, esperti commerciali di prodotti biotech.
    Più in generale, il nostro Paese non sembra tenere il passo con la velocità di questo comparto.
    Rapidità e reattività sono però le chiavi di volta per far parte dello sviluppo esponenziale che attende il biotech nel mondo.
    Le biotecnologie possono offrire un grande contributo alla crescita del nostro paese, ma sono per loro natura innovative, non vanno pertanto d'accordo con lo status quo e con l'essere conservativi. 
    Anche in quest'ambito serve allora coraggio e lungimiranza, per non perdere questo importante treno che ci sta sfrecciando accanto.
    Ci riusciranno, almeno in questo campo, i nostri governanti?
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    Voglio concludere oggi questa mia 7in7 con una delle più frequenti osservazioni avanzate dagli investitori di questi tempi.
    Sono già investito, non ho altro denaro disponibile, quindi anche se ci fossero delle opportunità nei mercati non le posso sfruttare...
    Sul punto si potrebbero dire molte cose, ma mi limito a ricordarne una che mi pare essere molto spesso dimenticata: si chiama ribilanciamento.

    Se il tuo portafoglio d'investimento è stato costruito con criterio, ribilanciare equivale a sfruttare la ciclicità delle diverse asset class.
    Da inizio anno, ad esempio, il dollaro americano vola.
    Le materie prime, pur con una spiccata variabilità all'interno del loro paniere, sono in territorio positivo.
    Le obbligazioni a breve termine soffrono, ma soffrono molto meno rispetto ad altri segmenti obbligazionari e alle azioni in generale.
    Riposizionarsi, allora, alla luce delle variazioni fin qui osservate, è di per sé un modo per mettere carburante su ciò che, nell'ultimo periodo, è andato peggio.
    E che, come la storia insegna, tornerà ad andare meglio.
    Anche a questo serve la diversificazione!

    Ti auguro un sereno fine settimana.
    Un caro saluto,

    Davide