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www.davideberto.it2024-10-11
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    Un investitore che ha davanti a sé 10, 20, 30 anni o più di investimenti (ovvero qualunque 60-50-40-30enne), sperimenterà sulla propria pelle decine di ribassi di mercato.
    Perché i ribassi di mercato sono una caratteristica del mercato stesso, non certo un suo difetto o un qualcosa di straordinario.
    Se durante uno di questi ribassi, pressione ed ansia tendono a farsi insopportabili, sfociando in atteggiamenti ossessivo-compulsivi tipo:
    - controllare tutti i giorni il proprio home banking per constatare il controvalore del proprio portafoglio investimenti;
    - seguire più volte al giorno il flusso delle notizie di Borsa;
    - chiedere anche disperatamente spiegazioni in qualche pseudo forum online di anonimi trader;
    significa una sola cosa: che il tuo portafoglio d'investimento finanziario non coincide con la tua propensione al rischio.

    Perché, chi ha pianificato correttamente (e molto probabilmente per farlo si è rivolto ad un bravo professionista del settore...) e ha destinato la giusta parte di patrimonio agli investimenti di lungo termine, credimi, non ha nulla di cui preoccuparsi.
    Per chi invece non l'ha fatto e si riconosce in uno degli atteggiamenti sopra elencati, sarà giunto finalmente il momento per capire che investire non è affatto un gioco da ragazzi.

    Se non sei ancora un mio cliente, spero ovviamente che tu ti sia rivolto ad un bravo professionista del settore, ben presente e in grado di supportarti e accompagnarti a dovere in questi mesi piuttosto complicati.

    Ti auguro una buona lettura!
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    1 - GIU' LE BORSE, NON I PRIVATE MARKETS

    Sui mercati finanziari è in corso da mesi una sorta di terremoto.
    Inflazione alle stelle, banche centrali restrittive dopo 10 anni di generose politiche monetarie e il conflitto in Ucraina, hanno causato un generale riprezzamento delle borse e dei mercati obbligazionari.
    Esiste solo un'isola felice in questo mondo turbolento: il settore dei fondi di private capital, private equity e private debt.
    La tempesta qui non è arrivata.
    Per ora, almeno.

    La domanda che in tanti si porgono è allora ovvia: è solo una calma apparente dovuta al fatto che si tratta di fondi chiusi che non devono dare dei prezzi quotidiani e che dunque riescono a non far emergere le perdite, oppure questo mondo ha effettivamente dei punti di forza che lo proteggono maggiormente dalla turbolenza?
    O entrambe le cose?
    Da settimane l'interrogativo gira sui mercati, e la verità sta probabilmente nel mezzo.

    I fondi illiquidi, caratterizzati da una chiara durata e da una scadenza prefissata, sono strutturalmente meno volatili dei tradizionali mercati quotati, anche perché hanno un orizzonte temporale piuttosto lungo, intorno ai 7-8 anni.
    E' un settore, questo dei fondi alternativi che investono nel capitale o nel debito di aziende non quotate in Borsa, che negli ultimi anni ha attirato grandi capitali in tutto il mondo, alla ricerca di strumenti in grado di offrire rendimenti reali positivi indipendentemente (o quasi) dall'andamento dei normali mercati finanziari.
    Si tratta inoltre di un settore cruciale per il finanziamento all'economia reale, dato che permette di far arrivare capitali alle aziende non quotate nei mercati regolamentati.
    La salute di questo settore è dunque fondamentale per l'intero benessere economico.
    In Borsa stanno inoltre scendendo indistintamente tutti i comparti, mentre nella realtà economica non tutti i settori stanno andando male.
    Ci sono, anzi, imprese che stanno registrando ottime performance, e devono essere bravi i gestori ad individuarle, e possibilmente ad investirvi.

    Certo, i tassi stanno salendo per tutti e l'economia tende a rallentare un pò per tutti.
    I fondi di private debt, che erogano credito alle aziende o comprano i minibond emessi dalle pmi, difficilmente saranno immuni dal rialzo dei tassi.
    E i fondi di private equity non saranno immuni al ridimensionamento dei multipli, scesi molto in Borsa.
    Il reale impatto dello shock attuale sul mondo del private capital è allora tutto da vedere.
    Le premesse sono per una possibile maggiore resistenza.
    E di questi tempi non è poco.
    In questi investimenti occorre però essere guidati da un'attenta Consulenza.
    In Azimut, già da anni, ci stiamo lavorando con importanti ritorni per tutti, clienti investitori e aziende coinvolte all'interno delle soluzioni d'investimento.
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    2 - LA ROULETTE RUSSA DEI BOND IN RUBLI

    Torno oggi a parlarti dei titoli di debito emessi in valuta russa, un argomento molto attuale di cui avevo trattato anche nella mia 7in7 dello scorso 8 Aprile, sempre al punto 2. 
    In questi 3 mesi la situazione di forte incertezza non è cambiata nella sua sostanza, visto che il conflitto armato sta perdurando, così come le tensioni economiche e finanziarie. 
    Il rublo, dopo un violento crollo nelle prime fasi del conflitto, sta ora conoscendo un rafforzamento inaspettato, ed è ai massimi degli ultimi 5 anni su € e $. 
    Si tratta con ogni probabilità di un fuoco fatuo, dovuto alla restrizione nella circolazione della valuta e alla conversione obbligatoria degli introiti russi derivanti dalle esportazioni.
    Questi numeri non hanno infatti riscontri effettivi nello scenario economico della Russia, ma sono risultati artificiali derivanti dalla particolare situazione in cui si trova il paese. 

    Sono così appesi alla sorte i destini di molti investitori che, prima di Febbraio, avevano puntato sui bond emessi in rubli, sicuramente alla ricerca di un extra-rendimento in termini di cedola, sottovalutando il rischio legato al cambio valutario e agli scenari geopolitici che si sono rapidamente sviluppati.
    Il futuro è incerto sia per chi ha in mano titoli di stato russi o bielorussi, sia per chi detiene emissioni in rubli strutturate da organismi sovranazionali, come la BEI (Banca Europea degli Investimenti).
    Il rimborso di questi ultimi non è in discussione, ma si tratta pur sempre di titoli espressi in una valuta non più liberamente scambiabile, e soggetta a repentini cambiamenti di valore.
    I bond in questione non sono attualmente vendibili né acquistabili, e il pagamento delle cedole nelle banche italiane procede a macchia di leopardo.
    Ci sono infatti banche che le stanno pagando in € (Intesa e Unicredit), altre che le pagano in $, alcune addirittura in rubli facendo aprire un conto ad hoc (Fineco), e ci sono infine istituti (BNL e Banco BPM) che rimangono in stand-by e al momento non stanno pagando nulla.
    In questa fase le difficoltà maggiori sorgono ovviamente per chi non ha incassato cedole, e anche per chi sta ottenendo cedole o rimborsi nella valuta originaria, con il conseguente blocco delle cifre su conti indisponibili.
    Il tutto a causa delle sanzioni internazionali che colpiscono (anche) la valuta russa. 

    I numeri in circolazione non sono proprio minimali: sui mercati finanziari raggiungibili dagli investitori italiani circolavano, prima dell'esplosione del conflitto ucraino-russo, una trentina di emissioni sovranazionali in rubli.
    Di queste, 4 sono scadute in questi mesi per un controvalore di 12 miliardi di rubli (circa 200 milioni di € agli attuali valori del cambio), mentre i rimanenti titoli hanno scadenze comprese tra la data odierna e i prossimi 10 anni, con il titolo più lungo scadente a Gennaio 2032.
    Il capitale complessivo ancora circolante ammonta a circa 1,35 miliardi di €.
    Previsioni in merito non se ne possono fare.
    Si naviga a vista.
    Chi detiene questi titoli in portafoglio deve necessariamente armarsi di pazienza e spirito "zen", attendendo l'effettiva scadenza dei bond in possesso e le indicazioni che, man mano, perverranno dalle banche depositarie, che a loro volta dialogheranno con gli enti emittenti.
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    3 - QUANDO IL TESTIMONE RISCHIA DI CADERE

    Il tessuto economico italiano è caratterizzato da una fortissima e diffusissima presenza di PMI, Piccole e Medie Imprese, molto spesso a conduzione familiare. 
    Un recente ricerca, svolta tra studenti universitari di tutta Italia, mette però in discussione le fondamenta di questo sistema.
    Il dato che emerge è quantomeno significativo: meno di un laureando su 10 desidera entrare nell'impresa di famiglia una volta deposta la corona d'alloro.

    La ricerca da cui sono poi usciti i dati, si è svolta nel 2021 e ha interessato 19 atenei italiani, intervistando studenti, perlopiù nati dopo il 1996, frequentanti le facoltà di ingegneria o economia.
    I dati emersi sono in linea con un'analoga ricerca del 2016, e mostrano pertanto un trend consolidato.
    La crisi di vocazione imprenditoriale non sembra comunque essere una peculiarità solamente del nostro paese, ma coinvolge trasversalmente anche le aziende estere.
    Anzi, quei giovani italiani che desiderano entrare nell'azienda di famiglia subito e stabilmente (il 4%), o entro 5 anni dalla laurea (il 5%), è addirittura più di quanto si trova nel resto del mondo. 
    La quasi totalità di coloro che rimandano di un lustro l'ingresso nell'impresa dei genitori, desidererebbe lavorare nel frattempo alle dipendenze di qualche stimolante realtà, evidenziando consapevolezza e maturità nel voler aggiungere esperienze e competenze alle proprie skills personali.
    Ma sembrano essere, appunto, in pochi a ragionare in maniera così lungimirante.

    Le ragioni di questa disaffezione sono molteplici. 
    Innanzitutto, è più facile far carriera fuori che nell'azienda di famiglia, anche perché spesso i fondatori lavorano nella propria PMI molto a lungo, lasciando per troppo tempo i propri eredi in secondo piano a scalpitare per un "posto al sole".
    In generale poi, i nuclei familiari tendono ad essere sempre meno coesi, e la generazione Z (nati dal 1997) ha orizzonti geografici e culturali più ampi rispetto ai propri genitori, tradizionalmente legati alle origini.
    Non da ultimo, la spinta motivazionale spesso manca, visto che, in alcuni casi, l'obiettivo di raggiungere il benessere attraverso l'impresa di famiglia è stato già largamente soddisfatto dalle precedenti generazioni. 

    Attorno ai passaggi generazionali occorre allora svolgere un grande lavoro culturale.
    E' importante non demotivare i giovani, e non voler a tutti i costi tener saldo il timone del comando aziendale ben oltre la ragionevole età della quiescenza.
    Tra l'altro, nei business stiamo assistendo a una rottura con le tradizioni, in particolare con l'irruzione del lavoro da remoto, l'attenzione rivolta al mondo ESG, il passaggio in atto da aziende di prodotti ad aziende di servizi. 
    Sono tutti campi di innovazione nei quali i figli, nativi digitali, possono apportare estro e ventate di novità
    Sono aspetti da valorizzare e non da smorzare, facendo crescere le giovani leve in azienda anche prima e durante gli studi universitari.
    La ricerca recente evidenzia infatti che sono questi gli eredi che maggiormente poi scelgono di prendere il testimone tra le loro mani: giovani che già detengono quote aziendali, che sono stati coinvolti maggiormente, che frequentano corsi di laurea ad indirizzo economico-aziendale e che sono rampolli di aziende grandi e performanti.
    Il piccolo fatica invece tremendamente ad attrarre i giovani. 

    In uno scenario di questo tipo, che vede il passaggio intra-familiare così complicato, il rischio può diventare sistemico.
    C'è infatti un patrimonio enorme di piccole aziende che rischia di non trovare ricambio e di essere svenduto.
    In quest'ambito si stanno sviluppando delle nuove figure professionali che supportano l'avvicendamento aziendale e aiutano i fondatori a trasmettere i valori dell'impresa e a programmare il subentro in tempo utile.
    Se anche tu sei il titolare di una piccola-media impresa, il mio consiglio è quello di affrontare per tempo questo aspetto, non certo di tralasciarlo.
    Sarebbe un grave errore buttare alle ortiche competenze e decenni di lavoro e sacrifici, non trovi?
    Azimut, in tutto questo, può essere d'aiuto, con professionisti che si occupano da decenni di passaggi generazionali e ne hanno viste di ogni.
    Rimango eventualmente a disposizione per una chiacchierata informativa.
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    4 - FOCUS MERCATI ASIATICI

    Nella mia precedente 7in7, quella di Venerdì 17 Giugno, ho trattato il tema del debito cinese, possibile tallone d'Achille del colosso asiatico nel prossimo futuro.
    Nonostante gli aspetti potenzialmente critici da tenere sotto controllo, la Cina rimane saldamente il perno dei mercati asiatici emergenti, con Taiwan, Singapore, Hong Kong e Corea che si stanno prendendo il loro "posto al sole".
    Su queste piazze finanziarie sono infatti quotate moltissime aziende produttrici di semiconduttori, anello base dell'elettronica.
    La Cina, da oltre 20 anni, sta cercando di implementare la sua industria in quest'ambito, ma le conoscenze e le dimensioni necessarie richiedono tempi lunghi e ingenti investimenti. 

    Nonostante le criticità di breve, i temi di investimento di lungo periodo non sono modificati.
    Anzi, ultimamente ci si è forse focalizzati troppo proprio sui temi di breve periodo, tralasciando una visione di più ampio orizzonte.
    Tra i settori più attraenti dell'Asia emergente, rimane assolutamente centrale quello della tecnologia, intesa in senso ampio, che comprende hardware, intelligenza artificiale e consumi digitali, oltre all'elettronica di cui ho accennato prima.
    E' qui che si annida il vero valore delle borse asiatiche in tema di investimento.
    Se nell'ultimo anno e mezzo la Cina è stata colpita da vari shock economici, prima lo scoppio della bolla immobiliare e poi le conseguenze della politica zero-Covid, ora l'economia sta dando segnali di ripresa, ben evidenziati dal miglioramento di alcuni parametri come quelli della mobilità, dei trasporti, o quelli dell'attività manifatturiera.
    Le autorità cinesi sono inoltre tornate a sostenere l'economia con misure di stimolo fiscali e monetarie, dai sussidi ai tagli dei tassi di interesse.

    Moltissime nazioni emergenti dell'Asia sono poi importatrici di materie prime, ancora fragili dal punto di vista economico e dei conti pubblici, quindi vulnerabili in questi momenti di elevata incertezza e inflazione, infiammata proprio dai rincari delle risorse di base.
    Tra questi paesi c'è l'India, il gigante all'ombra del Dragone, che marcia però con un ritmo diverso e ancora a lunga distanza.
    Con una popolazione di un miliardo e mezzo di abitanti, ha una potenzialità enorme per la domanda di beni e servizi.
    L'India è inoltre da molti vista come una dei maggiori beneficiari della globalizzazione frammentata alla quale sembra si stia andando incontro.
    Un luogo alternativo, per molte imprese, alla Cina.
    Con in più un'elevata capacità di innovazione tecnologica, un costo del lavoro non esorbitante e alcune positive riforme realizzate di recente dal governo (la sua crescita annua attesa è tra il 7 e il 9%).
    Cina, India, Taiwan e Corea costituiscono oggi insieme il 72% dell'indice finanziario Msci emerging markets.

    Una menzione spetta infine anche al Giappone, che non fa certo parte dei paesi emergenti, ma che sta vivendo una congiuntura favorevole per i suoi listini, con la Borsa di Tokyo ai massimi degli ultimi 30 anni e lo yen ai minimi.
    La debolezza della valuta traina l'export, in particolare nel settore industriale, tecnologico e delle auto.
    La ripresa economica del paese è aiutata anche da una maggiore efficienza della sua economia reale, e le aziende nipponiche segnano un generale aumento dei profitti.
    Nonostante un Pil alquanto anemico, negli ultimi 10 anni i profitti del mercato azionario sono cresciuti circa del 10% annualizzato, e ci sono buone chance per un incremento anche più sostenuto grazie alla rivoluzione in atto nelle aziende giapponesi.
    Tutto questo non è però ancora prezzato dai mercati finanziari, con valutazioni che rimangono ancora decisamente modeste.

    Volgendo allora lo sguardo ad Est, ci sono molteplici sacche di valore da cogliere, sia nelle economie emergenti che anche in quelle più consolidate.
    Bisogna assolutamente tenerne conto nella costruzione del proprio personale percorso di pianificazione finanziaria!
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    5 - UN PASSO NELLA STORIA - IL BANCHIERE GENTILUOMO DI ORIGINI ITALIANE CHE FONDO' LA FUTURA BANK OF AMERICA

    Era la mattina del 18 Aprile 1906 quando un violentissimo terremoto (magnitudo 8.3) colpì San Francisco.
    Morirono circa 3.000 persone e l'80% della città venne distrutto o danneggiato.
    Tutto è a pezzi, la città californiana sotto cumuli di macerie è irriconoscibile, sembra la fine del mondo.
    Si calcola che fra le 225.000 e le 300.000 persone persero la loro casa su un totale di 400.000 abitanti.

    Amadeo Peter Giannini, banchiere galantuomo di origine italiana (i suoi abbandonarono la Liguria nel 1869), capì che non c'era tempo da perdere.
    Le altre banche non avrebbero riaperto prima di un mese, e allora lui, nel giro di pochissimi giorni e con un'insegna della sua Bank of Italy fondata nel 1904, affiancata dal cartello "business as usual", cominciò a prestare denaro senza chiedere in cambio garanzie.
    Lo prestò in primis agli immigrati italiani.
    L'attività doveva riprendere al più presto.
    Non c'era tempo per assolvere le procedure ordinarie, bastava la firma su di una ricevuta.
    Dopo pochi giorni, Amadeo lasciò ai suoi impiegati la gestione della sede provvisoria sul molo del porto, e cominciò a girare con un carretto le zone devastate della città, continuando a prestare denaro sempre senza garanzie collaterali.
    La Bank of Italy sarà fondamentale, in quegli anni, nella ricostruzione di San Francisco.

    Giannini si conquistò in questo modo la stima di migliaia di persone che, grazie a quei prestiti, poterono ripartire e guardare avanti.
    Alla riapertura delle altre banche, in molti ritirarono i loro depositi per consegnarli a quel banchiere galantuomo.
    Altri, che non avevano mai messo prima un piede in banca e nascondevano a casa i loro risparmi, si fidarono del banchiere stesso e aprirono il loro conto alla Bank of Italy.
    Giannini divenne molto popolare, l'emblema della ricostruzione di San Francisco, e la sua Bank of Italy divenne poi Bank of America, uno dei maggiori istituti di credito al mondo.

    Mecenate e filantropo, finanziò successivamente ricerche mediche e scientifiche, ma anche artisti e registi: Il monello di Charlie Chaplin, Biancaneve e i sette nani prodotto da Walt Disney, beneficiano tra gli altri del suo sostegno.
    Proprio della biografia di Amadeo Peter Giannini tratta un gran bel libro, a tratti commovente, Il banchiere galantuomo, scritto da Giorgio Alarico Chiarva.
    Questo libro è anche il resoconto dei frutti che possono dare l'impegno indefesso, la caparbietà, l'attenzione agli altri, la visione illuminata del futuro, l'apertura alle arti e alla scienza.
    E dimostra il ruolo che una banca popolare ed etica può svolgere a favore dei cittadini che, muovendo da una condizione di svantaggio, vogliono farcela.
    Una riflessione allora s'impone: e se in tempi di Covid-19 (e non solo) ce ne fossero tanti come lui?...
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    6 - RUBRICA: LA PSICOLOGIA DEI SOLDI (FORTUNA & RISCHIO)

    Torna oggi l'appuntamento mensile alla scoperta del libro La psicologia dei soldi (lezioni senza tempo sulla ricchezza, l'avidità e la felicità).
    Nel secondo capitolo, l'autore Morgan Housel porta a riflettere su due facce della stessa medaglia, che influenzano gli investimenti e i nostri pensieri su di essi: fortuna e rischio
    Entrambi esistono, ed entrambi fanno sì che ogni risultato nella vita non dipenda solo dall'impegno individuale.
    Ci sono fattori che sfuggono al nostro controllo, e che possono sovrastare l'impatto delle azioni che consapevolmente andiamo a svolgere. 

    Una storia che ben rappresenta questi concetti, è quella di Bill Gates e del meno conosciuto Kent Evans. 
    I due erano dei grandi amici, ed entrambi hanno avuto la fortuna di frequentare una delle poche scuole superiori al mondo dotata di un computer negli anni '60-70.
    Parliamo di una possibilità su un milione, in quegli anni. 
    La fortunata combinazione di lungimiranza del corpo docente, e di disponibilità finanziaria per acquistare quel pc, hanno incontrato la bravura, la passione e l'ambizione di Evans e Gates, nonché del loro terzo amico, Paul Allen, che divenne poi il cofondatore di Microsoft.
    Anche Kent sarebbe stato uno dei tre fondatori di questo impero, se solo non fosse morto in un incidente in montagna prima di finire il liceo.
    Anche qui, a quell'età, c'è una possibilità su un milione che questo possa accadere. 
    Per ogni Bill Gates c'è un Kent Evans, finito sul lato opposto della roulette della vita.
    Fortuna da una parte, rischio dall'altra. 

    Il mondo è troppo complesso per pensare allora che il 100% delle nostre azioni determini il 100% dei risultati.
    La mente umana tende però a semplificare i concetti, e non ama molto le sfumature. 
    Così accade che tendiamo ad attribuire il fallimento altrui a decisioni sbagliate, e i nostri insuccessi, invece, al rischio o alla sfortuna.
    Un'azienda fallisce perché il suo amministratore delegato non si è impegnato abbastanza?
    Gli investimenti sbagliati sono quelli fatti senza pensarci bene?
    Le carriere vanno in fumo a causa della pigrizia?
    A volte anche sì, senza alcun dubbio.
    Ma fino a che punto?
    Stabilirlo è difficilissimo.
    Gli investitori falliti che hanno preso anche delle buone decisioni, ma sono rimasti vittime del rischio, non finiscono in copertina su Forbes.
    Ci finiscono quelli che sono diventati ricchi, magari anche in seguito a decisioni mediocri o avventate, ma che hanno avuto fortuna.
    Persone che hanno lanciato la stessa monetina, caduta però su facce diverse. 

    Non è facile distinguere un colpo di fortuna da una decisione avveduta, credimi. 
    La linea di demarcazione fra "audace pioniere" e "pazzo incosciente" è una questione spesso millimetrica, e diventa chiara solo col senno di poi. 
    Più è estremo il risultato, meno è probabile poterlo replicare nella propria vita: ci sono più probabilità di trarre insegnamenti utili cercando di individuare, piuttosto, le tendenze generali. 
    E' difficile, se non impossibile, emulare allora il successo di Warren Buffet negli investimenti, perché i suoi risultati sono così estremi che sicuramente anche la fortuna ha giocato un ruolo cruciale.
    E la fortuna non si può emulare...
     
    Citando Bill Gates: "Il successo è un cattivo maestro, seduce le persone intelligenti e le convince che la sconfitta sia impossibile".
    Quando le cose vanno estremamente bene bisogna ricordarsi che non siamo perfetti e invincibili.
    Riconoscere che la fortuna ha giocato un ruolo chiave nei momenti di successo significa anche ammettere l'esistenza dell'altro lato della medaglia, cioè quella del rischio, che può cambiare la nostra vita e le nostre cose con altrettanta rapidità.
    Anche l'insuccesso può essere un cattivo maestro, perché induce le persone intelligenti a pensare di aver preso delle pessime decisioni, quando si è magari trattato solo di sfortuna.
    Il segreto è allora quello di organizzare le proprie risorse finanziarie in modo tale che un investimento sbagliato non possa condurci sul lastrico, così possiamo continuare nella nostra attività finché la sorte non volgerà di nuovo al sereno.
    Niente è quindi buono o cattivo, come può sembrare a primo acchito...
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    7 - CYBER-ANARCHIA: I NUOVI PROTAGONISTI

    A inizio Marzo, solo una settimana dopo l'inizio del conflitto in Ucraina, Microsoft ha rilevato nel paese l'irruzione di un malware, ovvero un software creato per arrecare danni ai sistemi informatici.
    Questo è stato solamente uno dei tanti attacchi informatici, offuscati nella loro portata dalla tragedia della guerra sul campo, ma non per questo meno devastanti.

    Governare il flusso delle informazioni in una guerra è decisivo, soprattutto se a muoversi è una potenza come la Russia, che tra i suoi cavalli di battaglia ha proprio gli attacchi informatici.
    E' questa infatti una delle sue armi più potenti, ancorché non dichiarata come tale.
    Il conflitto in Ucraina ha colpito tutti noi, perchè vicino e perchè pochi si sarebbero aspettati una battaglia "vecchio stile" nel 2022 in Europa.
    Per anni avevamo infatti pensato che la prossima guerra sarebbe stata una guerra informatica, a suon di software, di malware e intrusioni nei sistemi informatici altrui.
    E così è!
    Anche se non emerge, perchè messo in ombra dalle potenti e drammatiche immagini di morte e devastazione che arrivano dai territori colpiti. 
    Sta però accadendo da tempo, fin dall'invasione russa in Crimea che già allora aveva messo in atto attacchi cyber e interferenze ai cannoni e ai soldati sul campo.
    Le interferenze e i black out sono poi continuati in Ucraina tra il 2015 ed il 2017, nonostante il paese sia conosciuto come uno degli stati con la più sviluppata difesa informatica.
    Capita molto spesso in realtà che queste violazioni risalgano a diverso tempo (anche anni) prima, per essere poi attivate e rese operative solo quando viene ritenuto più utile dall'aggressore.
    Il terreno oscuro delle guerre informatiche tende a rimanere nell'ombra.
    Si sa poco di questi attacchi, perché chi li subisce ha ben poco interesse a far sapere l'entità del danno, e lo stesso vale per gli attaccanti.
    Altre volte si tende a pensare (o far pensare) che siano banali attacchi criminali, specie se viene chiesto un riscatto per rimuovere i black-out dei sistemi o restituire i dati trafugati.
    Ma si tratta di un errore di sottovalutazione, dettato dalla poca conoscenza generale dell'argomento. 

    E' in realtà questo un tema estremamente centrale oggigiorno, visto che le battaglie combattute nel mondo virtuale stanno mettendo a dura prova la capacità delle nazioni di tenere a bada la cyber-anarchia
    Questo accade anche perché sulla scena non ci sono più solo i governi, che negli ultimi 400 anni sono stati i primari attori globali.
    L'avvento delle nuove tecnologie ha infatti portato grandi aziende come Microsoft, Apple, Google, Facebook, ad acquisire un ruolo e un potere che va ben oltre a quello economico, poiché sono realmente loro a trattare e custodire la vera ricchezza dei tempi moderni: i dati di milioni (se non miliardi) di utenti. 
    E' Microsoft ad avvertire il Pentagono dei cyber attacchi in Ucraina.
    E' Elon Musk con la sua StarLink a garantire la connessione internet nei territori martoriati dal conflitto.
    E' Amazon a supportarne il cloud.

    I fatti degli ultimi mesi hanno allora messo in evidenza come la cyber security non sia soltanto una faccenda tecnologica o una mera scelta di convenienza economica.
    E' in realtà un intreccio di rapporti fra pubblico e privato, che necessita di un approccio diverso e di norme dedicate, per poter veramente domare la cyber-anarchia, remando tutti nella stessa direzione.
    Nella cyber security, per concludere, si può e si deve investire.
    Oggi, molto probabilmente, anche a prezzi di ingresso piuttosto interessanti. 
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    Voglio concludere questa 7in7 con i consigli del premio Nobel per l'Economia (era il 2017) Richard Thaler.
    Recentemente intervistato dal Corriere della Sera, a Thaler sono state poste in particolare queste due domande:

    Che consiglio si sente di dare agli investitori in un simile momento?
    "Lo stesso che diedi qualche anno fa, mentre parlavo in un talk show finanziario su una tv americana: cambiate canale, passate dalle news di Borsa allo sport!".

    Lei studia il comportamento degli investitori da 30 anni: sono diventati più razionali?
    "No, per niente.
    In questi 30 anni abbiamo infatti avuto la bolla delle dot.com, la crisi finanziaria del 2008, il boom delle cripto valute, le meme stock come GameStop che durante la pandemia sono diventate un culto.
    Il mio consiglio ai risparmiatori che vogliono comportarsi bene con i loro investimenti è sempre il solito: comprate un portafoglio di titoli ben diversificato e concentratevi sul calcio".

    Ti auguro un sereno fine settimana.
    Un caro saluto,

    Davide