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www.davideberto.it2024-11-21
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    Da un pò di tempo è letteralmente scoppiata l'inflazione, e sembra si tenda quasi a parlarne come se fosse una novità, quando invece non lo è assolutamente.
    Ma che cos'è poi, in parole povere, l'inflazione?
    E' possibile definirla come il contrario degli interessi che fanno rivalutare i nostri investimenti.

    Spesso mi capita di parlare con persone che rimpiangono le cedole dei titoli di Stato dei lontani anni 80/90 del secolo scorso.
    Ah, quelli erano bei tempi!... mi sento dire.
    Allora sì che si avevano soddisfazioni dagli investimenti!...
    Ma la realtà è un tantino diversa...
    L'inflazione era a livelli spaventosi, e i rendimenti dei titoli di Stato, dei buoni postali, dei libretti al portatore, erano solamente proporzionali alla svalutazione inflativa.
    Tanto si guadagnava, quanto veniva diminuito dall'inflazione.

    Ma arriviamo ora ai nostri tempi.
    Investire con un orizzonte temporale medio/lungo è l'unico vero rimedio all'erosione dovuta al crescere dell'inflazione.
    Purtroppo, di parere ottusamente opposto sembrano molti italiani.
    Le grandi quantità di risparmi lasciate a dormire nei conti correnti, un tempo remunerativi ed oggi solo voce di costo, con commissioni di tenuta conto e spese di movimentazione, crescono di continuo.

    Per acquistare nel 2022 lo stesso identico prodotto acquistato nel 2000, si spende mediamente il 40% in più.
    E gli stipendi non sono certo cresciuti, almeno nel nostro paese, proporzionalmente.
    Di certo poi, tenendo i soldi liquidi in conto, negli ultimi anni di interessi se ne son visti ben pochi.
    Allora, come fare?
    Che fare per non farci erodere il risparmio?
    Serve avere un piano, una strategia, un adeguato orizzonte temporale e un'adeguata dose di pazienza e di nervi saldi.
    Ciò che ti serve, insomma, è qualcuno che ti consigli, che monitori l'andamento delle cose e che ti affianchi.
    Ti serve quindi un (bravo) Consulente!

    Ti auguro una buona lettura.
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    1 - IL PARADOSSO DI NETFLIX

    In una situazione complicata come quella che stiamo vivendo, in cui ogni crisi sembra terminare con l'inizio di un'altra, diventa ancor più complicato gestire psicologicamente in maniera corretta tutte le priorità della nostra vita.
    Dagli affetti al lavoro, dagli investimenti al futuro.
    Tutto sembra essere messo in discussione e ci si può sentire come se non ci fosse un domani.
    Così viviamo quello che in molti definiscono "il paradosso di Netflix": ci troviamo davanti alla tv con il telecomando in mano, e gli input e le informazioni che riceviamo, invece di aiutarci a scegliere cosa guardare e seguire, ci impediscono di farlo, e così facciamo zapping tra un titolo e l'altro senza poi vedere mai veramente qualcosa.
    Scelgo allora alla fine di non vedere.
    Ma per vedere il film della nostra vita siamo chiamati a sceglierne la trama e le scene principali.
    Ciò che non facciamo oggi, ci presenterà il conto domani.
    Le scene che non giriamo oggi, inevitabilmente mancheranno nel nostro film di domani.
    Certo, possiamo avere anche paura.
    Ma a mio avviso abbiamo davanti a noi ancora tanto spazio per crescere, per migliorare e per migliorarsi, e per farlo costantemente.

    Il tempo ci impone di rincorrere scelte giuste e tempestive.
    Se non lo facciamo, un domani ci chiederemo perché non abbiamo fatto questa o quella scelta, perché non abbiamo deciso di decidere.
    Ma l'immobilismo è già una scelta.
    L'immobilismo ancora e frena, alla stessa stregua della paura.
    Ho paura delle mancate scelte, della mancanza di possibilità.
    Ecco perché è questa l'ora di fare scelte, anche finanziarie, e vivere così le nostre vite nel pieno della loro potenzialità.
    Capaci di saper guardare avanti.
    Capaci di essere anche dei piccoli eroi delle nostre stesse vite, e di coloro che amiamo.
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    2 - FOCUS AZIENDE ITALIANE IN RUSSIA

    Nella mia precedente 7in7 ho voluto raccontarti come si stanno muovendo le grandi aziende internazionali in Russia, in risposta all'invasione Ucraina.
    Come accennato, oggi voglio invece spostare il focus sulle conseguenze economiche del conflitto per le grandi aziende italiane, molte anche quotate in borsa, con importanti interessi economici sul territorio russo. 

    L'equilibrio è precario, e l'incertezza, il peggior nemico per chi si deve relazionare con il mercato, la fa da padrona. 
    Le recenti trimestrali dei principali gruppi italiani attivi a Mosca, hanno evidenziato il tentativo di ritardare il più possibile l'appuntamento con una realtà dalle prospettive deteriorate e difficilmente evitabili.
    Intesa SanPaolo e Unicredit sono state tra le prime a comunicare agli investitori i possibili scenari di evoluzione.
    Unicredit risulta la più coinvolta, con 7,8 miliardi di finanziamenti concessi direttamente da Unicredit Russia, e 4,5 miliardi di esposizione tramite casa madre, al netto di garanzie per circa 1 miliardo.
    Il Ceo, Andrea Orcel, ha già annunciato una revisione urgente della posizione, con la prospettiva di un'uscita dal mercato russo, scenario che appare però di difficile realizzazione, perlomeno nel breve periodo.
    Più rassicurante invece Carlo Messina, AD di Intesa, che ha parlato di impatto "assolutamente gestibile" sui conti dell'istituto bancario da lui condotto.
    L'esposizione di Intesa interra russa è pari circa a 5,1 miliardi, di cui 1,1 erogati tramite banche locali e 4 tramite la casa madre.

    Guardando ai gruppi energetici, Enel ed Eni sono in prima linea.
    Enel controlla oggi in Russia tre impianti a ciclo combinato e due impianti eolici.
    Il suo amministratore Francesco Starace ha dichiarato che il gruppo non potrà avere un'ulteriore crescita nel paese.
    Eni, come altri players del settore, ha provato a rimarcare la propria distanza da ogni interesse societario in Russia, dichiarando anche di essere pronta a cedere la sua quota in BlueStream, attualmente detenuta con Gazprom.
    Le joint venture con Rosneft sono invece già congelate da anni, anche per le sanzioni del 2014.

    Maire Tecnimont, attiva nel settore ingegneristico, tecnologico ed energetico, ha comunicato di avere in portafoglio 1,5 miliardi di contratti "russi", pari al 17% del totale.
    Danieli, multinazionale leader nella costruzione di impianti siderurgici, ha invece rivisto al ribasso del 10% le proprie prospettive, escludendo circa 520 milioni di ordini già acquisiti ma non ancora entrati in produzione.
    Pirelli, che ha siti produttivi sul territorio russo, ha già prospettato una possibile riduzione dei flussi di cassa per 30 milioni di €.
    Le sue attività in loco saranno limitate allo stretto necessario per garantire stipendi e servizi sociali.
    Anche la produzione dei furgoni Stellantis a Kaluga, sta andando verso lo stop. 
    Barilla, infine, che ha da poco aggiunto un nuovo sito produttivo alla fabbrica già da tempo gestita, ha dichiarato che continuerà a produrre localmente senza però trarre profitto da questa attività, sospendendo nuovi investimenti in loco. 
    Vi è poi un'infinità di piccole e medie imprese italiane che hanno relazioni commerciali con Mosca, specialmente nell'alimentare di nicchia, nel vino di qualità e nell'abbigliamento di lusso.
    Tutte aziende che ora si trovano congelate nei loro commerci, senza ben sapere quando (e se) tutto questo finirà.

    Il mantra per tutte le realtà coinvolte rimane quello di monitorare la situazione e, nel frattempo, ripensare le strategie, per adattarsi a scenari in rapida evoluzione e con conseguenze anche difficili da inquadrare. 
    Certo è che gli effetti sui conti e sui ricavi, ed anche sulle quotazioni borsistiche, non tarderanno a palesarsi.
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    3 - COME TUTELARSI DAL CONTAGIO INFLAZIONISTICO (1di2)

    Il contagio è ormai avvenuto.
    Non tanto quello da Covid-19, che in questo inizio di primavera sembra attenuare la sua morsa, quanto quello da inflazione.
    Dapprima si sono mossi al rialzo i costi delle materie prime, come il gas e il petrolio, e i prezzi alla produzione.
    Poi l'aumento si è trasferito nelle bollette dell'energia e nei beni che acquistiamo al supermercato.
    Le rilevazioni più recenti sui prezzi al consumo destano preoccupazione: +8,5% negli Usa e +7,5% a Marzo in Europa, rispetto al 2021.
    La fiammella è diventata fuoco e in questo scenario si devono muovere i risparmiatori.

    L'inflazione agisce come una tassa sulla liquidità, in quanto riduce la nostra capacità di comprare beni e servizi con il trascorrere del tempo.
    Infatti, più il tempo passa, più il prezzo di ciò che dobbiamo comprare o desideriamo aumenta, riducendo la nostra possibilità di spesa.
    Il risparmio è invece definito dagli economisti come un consumo ritardato, un rimandare al domani un consumo che potremmo fare oggi.
    Ma, in presenza di inflazione, questo consumo ritardato ci costerà di più.
    Ecco perché l'inflazione non è solo una tassa sulla liquidità, ma anche una tassa sul risparmio.

    Detto questo, come ci si può difendere dall'inflazione?
    Vediamolo assieme nei primi 2 di 4 consigli.

    1. PRESTARE ATTENZIONE AGLI ASSET NOMINALI E PASSARE (POSSIBILMENTE) ALL'AZIONE
    L'inflazione è, di fatto, una tassa che lascia il segno sia sul reddito che sul patrimonio.
    Sul primo aspetto, quello relativo al reddito, poco si può fare.
    A parte alcuni settori e professioni caratterizzati da compensi variabili, dove l'aumento dei prezzi può trasformarsi anche in un aumento dei ricavi, la maggioranza delle persone percepisce un reddito fisso, rigido o che comunque si adegua con molta lentezza alle tendenze inflazionistiche, generando pertanto un'inevitabile perdita in termini reali.
    Sul secondo aspetto, quello relativo invece al patrimonio, si può fare di più.
    Si può, ad esempio, ridurre l'esposizione a tutti gli attivi caratterizzati da una remunerazione fissa dal punto di vista nominale, pigra nell'adattarsi alle mutate condizioni di mercato.
    Tra queste, la liquidità è l'esempio più eclatante: l'enorme somma di contante detenuta a scopo precauzionale, non può avere alcuna giustificazione se chi la possiede non ha incombenti impegni finanziari da soddisfare.
    Benché gli attuali ritmi di crescita dei prezzi appaiano difficilmente ipotizzabili nel lungo termine, è opportuno ricordare un dato: 100.000 € di liquidità oggi, costano in termini reali oltre 600 € al mese.
    Ben più di 6.000 € in meno in un anno in quanto a valore reale.
    Praticamente, come dover pagare la rata di un mutuo ogni mese, senza però alcun addebito ufficiale.
    Questo naturalmente non significa privarsene in chiave strategica.
    E' tuttavia indispensabile essere consapevoli delle conseguenze che possono derivare da un'eccessiva esposizione a questo asset, fino a che i prezzi cresceranno a ritmi sostenuti, e fino a che la forbice tra tassi nominali e tassi reali non tornerà a livelli storicamente più accettabili.
    Restare fermi oggi non è più un'opzione.
    Detenere liquidità ha un costo importante.

    2. PIANIFICARE ED ENTRARE SUL MERCATO IN MODO FRAZIONATO
    Si potrebbe dire che la miglior difesa è l'attacco, purché quell'attacco sia condotto nella maniera corretta.
    Muovere quindi i propri risparmi sul mercato.
    Mandarli a lavorare.
    Oggi però è più difficile di ieri farlo, in quanto stiamo vivendo un periodo di estrema incertezza.
    Di fronte a questa incertezza, quali possono essere le risposte?
    La prima è sicuramente quella per cui occorre, per forza di cose, ritornare a una pianificazione nella costruzione del portafoglio d'investimento.
    Ora è ancor più necessario ragionare per obiettivi e per orizzonti temporali, costruendo una trama di investimenti strutturati per resistere, o quanto meno mitigare, l'impatto di questa elevata inflazione, più prolungata di quanto ci si poteva attendere.
    La seconda risposta è quella per cui ogni stagione è buona per entrare sul mercato azionario, attraverso un processo di accumulazione, piuttosto che "one shot" in unica soluzione.
    Tuttavia, questa strategia esalta ancor di più le sue caratteristiche nelle fasi in cui domina l'incertezza, e nelle quali è facile trovare buoni motivi per entrare, così come per uscire dai mercati.
    E' proprio in questi frangenti che i dubbi rischiano di immobilizzare l'investitore, seminando il sentimento del rimpianto che germoglierà poi quando, ex post passate le difficoltà, ci si rammarica per non aver sfruttato le occasioni di acquisto che si sono presentate.
    Diventa allora indispensabile farsi aiutare dalla strategia, che non è solo un eccellente metodo per creare ricchezza, ma è allo stesso tempo raffinata modalità di posizionare l'investitore sul mercato nel modo migliore, con gradualità, trasmettendo l'importanza di percepire l'investimento come un processo che si dipana nel tempo, e non come un evento che si esaurisce nell'attimo in cui viene effettuato.
    Pensiamoci: una volta suggerita e attivata la strategia di accumulazione, si è sempre intrapresa la strada giusta.
    A prescindere da quello che farà il mercato nel breve: se sale bene, se scende meglio!
    A prescindere dall'entità patrimoniale del cliente: l'investimento frazionato non serve soltanto perché "chi ha poco" costruisca qualcosa, ma deve rappresentare al tempo stesso la miglior soluzione per ottimizzare l'investimento sui mercati più volatili anche per chi è in possesso di ingenti patrimoni.
    In ogni caso, c'è un valore che non potrà che essere apprezzato da chi lo vorrà aspettare.

    Tra due settimane ti parlerò invece degli altri 2 consigli: la diversificazione e la gestione attiva.
    Ci raggiorniamo allora a breve!
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    4 - IL LATO SINISTRO DELLA TORRE EIFFEL

    Quando un investitore chiede, in maniera da parte sua legittima, per quale motivo non si esce dal mercato quando "inizia a scendere", per poi rientrarvi quando "la situazione si calma", è opportuno ricordare almeno due cose:

    1- Bisogna intendersi su cosa significa che il mercato inizia a scendere.
    Sui mercati azionari, nella maggioranza dei casi, le correzioni sono solamente di pochi punti percentuali e si verificano spesso.
    Chi esce quindi ai primi segnali di debolezza, rimane poi al palo di fronte al pronto recupero che spesso avviene nell'arco di breve tempo.
    In altri casi più rari, il detonatore del calo è un evento esogeno che non lascia il tempo di anticipare la discesa.
    In queste circostanze, la caduta è spesso molto violenta nella sua gestazione.
    Ti gela, e quando te ne accorgi, il più delle volte, ti assale un dubbio: ora che ho già perso un bel pò che faccio? Conviene stringere i denti e restare investiti, o siamo solo all'inizio della discesa?
    Solo con il tempo ci si accorge di quanto sia difficile trovare una risposta.

    2- Metti caso che ti dice bene.
    Riesci ad uscire dal mercato in tempo, con un timing perfetto.
    Ti metti liquido per un pò con i tuoi risparmi in conto corrente, pronto a rientrare, come si diceva, quando la situazione sarà più calma.
    Il punto è che, quando questo succederà, avrai sicuramente già perso una parte significativa del rialzo.
    Spesso la più forte.
    In questa fase il mercato, infatti, assomiglia al lato sinistro della torre Eiffel: sale in modo molto più ripido.
    Inatteso, sorprendente, spiazzante.
    Spesso anche prima che la situazione si sia veramente calmata.
    A Marzo 2009 non s'era ancora calmato niente in giro per il mondo, eppure le borse hanno ripreso a macinare senza alcun avvertimento.
    Così come nel 2012, o nel 2019.
    O, ancora, nel 2020, appena un mese e mezzo dopo lo scoppio di una pandemia globale.
    E così tante altre volte ancora.

    Tutti vorremmo vedere nel nostro portafoglio d'investimento il lato sinistro della torre Eiffel.
    E tutti vorremmo che ciò avvenisse senza troppi patimenti, sussulti, fastidi.
    Ma nel mondo reale, purtroppo, non si può fare.
    Nel mondo reale si deve decidere se è meglio salire sulla torre, sopportando l'indispensabile fatica per arrivare in alto, o rimanere invece a terra.
    Certo, con molta meno fatica, e ancor meno soddisfazione...
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    5 - CONOSCERLO AIUTA A PROTEGGERLO (1di2)

    Ciò che si vede dipende da come si guarda”, diceva il filosofo danese Kierkegaard. 
    E spesso, tutti noi, tendiamo a guardare le cose da una prospettiva parziale, dimenticando “pezzi” importanti di cui nemmeno ci accorgiamo.

    Questo accade anche in campo economico.
    Quando, ad esempio, si tratta di individuare le fonti di ricchezza di ciascuno di noi.
    Gli occhi sono in genere rivolti al patrimonio finanziario di una persona, al suo risparmio accantonato ed investito.
    Si tratta infatti di un asset tangibile, che si vede e si quantifica giorno dopo giorno al variare del prezzo del suo contenuto.
    È lì.
    Tutta questa attenzione nei confronti di quella parte di ricchezza che è già stata creata, distrae però da un’altra fonte patrimoniale, che di ricchezza ne deve ancora creare: è il cosiddetto capitale umano (human capital).
    In senso ampio, è definibile come l’insieme delle capacità, delle competenze, delle abilità possedute da un individuo, e affinate nel corso del tempo.
    In senso più ristretto, è la somma (opportunamente attualizzata) dei redditi che ancora dovranno essere generati in futuro.
    In altre parole, il capitale umano è il tempo che si trasforma in denaro.
    Ma è anche, come si diceva, una fonte di ricchezza dimenticata, i cui possessori sovente trascurano o ignorano completamente.
    La conseguenza è estremamente logica e, al tempo stesso, pericolosa: ciò che non si vede, e ciò che non si conosce, non può essere protetto.
    Così gli sforzi delle persone sono quasi sempre concentrati sul desiderio di garantire il proprio capitale finanziario (“voglio un investimento sicuro...”), mentre sono veramente pochi coloro che si preoccupano di garantire il proprio capitale umano.
    Che in molte circostanze ha un valore enorme, dal quale non possono prescindere i progetti di vita.

    Proviamo ora a scendere più nei dettagli e nei casi concreti.
    Come fare, prima di tutto, a quantificare questa fonte di ricchezza?
    Essendo il capitale umano il valore attuale dei redditi futuri di una persona, bisogna considerare le 4 variabili che influenzano la creazione del reddito.
    - Età: è il driver più intuitivo e mediamente più determinante nella valorizzazione del capitale umano.
    Più una persona è giovane e più sono gli anni che la separano dalla pensione, maggiore sarà il reddito che ci si attende di generare;
    - Professione: lavori diversi consentono di ottenere redditi attesi diversi.
    Pertanto, a parità di età anagrafica, il tipo di occupazione di un individuo ha un sensibile impatto sul suo capitale umano;
    - Istruzione: un titolo di studio più prestigioso non sempre garantisce una migliore allocazione professionale, né maggiori flussi reddituali.
    Tuttavia, l’evidenza ci suggerisce che in media esiste una correlazione tra queste variabili, in quanto chi studia di più e meglio, tende a conquistare anche una migliore posizione economica;
    - Sesso: purtroppo, in Italia e non solo, esiste ancora un problema di gender gap che, a parità di tutte le altre condizioni sopra citate, implica spesso un differente trattamento economico tra uomini e donne, con un conseguente abbassamento del capitale umano per quest’ultime.
    Estremizzando, quindi, è evidente che un laureato quarantenne avrà un capitale umano sensibilmente più alto rispetto ad un operaio sessantenne.

    Ma di quali cifre stiamo parlando, concretamente?
    A dimostrazione di quanto la questione non sia considerata primaria nel settore finanziario, ci sono poche ricerche specifiche al riguardo, e perlopiù datate.
    La più nota e importante risale al 2015, quando Il Sole 24 Ore elaborò uno studio per quantificare il capitale umano in Italia.
    Ne uscì un valore medio per persona pari a 342.000 €.
    Interessanti, e per certi aspetti impressionanti, le differenze sulla base delle variabili sopra descritte.
    Si passa dai 556.000 € medi per chi è in fascia di età più giovane, fino ai 46.000 € per chi invece è più vicino alla data del pensionamento; oppure si va dai 636.000 € che rappresentano il capitale umano medio di un laureato, ai 261.000 di chi ha un titolo inferiore al diploma; ancora, per quanto riguarda le differenze di genere, andiamo dai 453.000 € di capitale umano medio maschile, ai soli 231.000 per le quote rosa.
    Aldilà dell’aspetto anagrafico, come si diceva, il titolo di studio e la professione (due aspetti comunque correlati) hanno un impatto significativo sul capitale umano.

    In generale, vale però la regola per cui il capitale umano di ciascuna persona presenta un'estrema volatilità rispetto ai dati medi sopra riportati.
    Non potrebbe essere altrimenti: questi dati vanno considerati sempre come un benchmark generico di riferimento, perché ogni individuo è unico da questo punto di vista, con un capitale umano che andrebbe quantificato nello specifico attraverso parametri strettamente personalizzati.
    Nella mia prossima 7in7 ti farò un semplice esempio e concluderò l'argomento.
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    6. RUBRICA: LA PSICOLOGIA DEI SOLDI

    Come annunciato in chiusura della scorsa newsletter, voglio dare inizio oggi ad una nuova rubrica che diventerà poi un appuntamento fisso mensile all'interno della mia 7in7.
    Ti porterò alla scoperta di un libro che mi è piaciuto tantissimo.
    Un libro che ho divorato nel giro di pochi giorni: La psicologia dei soldi (lezioni senza tempo sulla ricchezza, l'avidità e la felicità), scritto dall'ex giornalista del The Wall Street Journal Morgan Housel.

    Oggi partirò allora dall'introduzione, per raccontarti poi, mese dopo mese, tutti i suoi singoli capitoli.
    Che dire ... l'ho trovato un libro veramente illuminante, al cui interno l'autore sa condurre per mano il lettore alla scoperta dei soldi, del loro significato e del potere che questi esercitano sulle nostre scelte.
    La lettura di questo libro, grazie anche ad alcune nozioni di psicologia e finanza personale, può aiutare a cambiare il nostro mindset, facendoci diventare al contempo migliori risparmiatori e investitori.
    Saperci fare con il denaro non è tanto una questione di intelligenza, quanto più di comportamento.
    Il comportamento è difficile da insegnare anche alle persone più intelligenti, e un genio che perde il controllo delle sue emozioni può causare un disastro economico.
    E' però vero anche il contrario: le persone normali, infatti, anche senza un'istruzione finanziaria, possono diventare ricche, a patto di saper sviluppare una manciata di abitudini che niente hanno a che fare con le formali misurazioni dell'intelligenza.

    Emblematica in questo senso, è la storia di Ronald James Read, benzinaio e addetto alle pulizie per tutta la sua vita, trascorsa in semplicità e frugalità in una casa con due stanze da letto in una zona rurale del Vermont.
    Read l'acquistò a 38 anni per 12.000 $, e qui visse fino alla sua morte, sopraggiunta nel 2014 a 92 anni.
    Rimasto vedovo a 50 anni, il suo hobby principale era quello di tagliare la legna. 
    Con grande sorpresa di chi lo conosceva, fu uno dei pochi americani (meno di 4.000) a lasciare quell'anno un patrimonio superiore agli 8 milioni di $, devoluti perlopiù all'ospedale e alla biblioteca del suo paese.
    Non ci sono storie losche o particolari segreti dietro a questa fortuna accumulata nel tempo: Read, anno dopo anno, aveva "semplicemente" investito i suoi pochi risparmi in titoli blue chip, e aveva saputo aspettare.
    Aspettare per decenni.
    Aspettare finché l'interesse composto non riuscì a trasformare quei pochi sudati risparmi in più di 8 milioni di $.
    Ecco fatto.
    Da addetto alle pulizie a filantropo.

    Qualche mese prima della morte di Ronald Read, un altro uomo di nome Richard finì sui giornali.
    Richard Fuscone era l'esatto opposto di Read: brillante dirigente della Merrill Lynch laureato ad Harward con master in gestione d'impresa, dopo una luminosa carriera in ambito finanziario, era andato in pensione prima dei 50 anni per diventare poi filantropo.
    A metà degli anni Duemila, Fuscone si indebitò pesantemente per ampliare una villa da 1700 metri quadri nel Connecticut, una casa da 11 bagni, 2 piscine e 7 garage, che già gli costava al mese più di 90.000 $ per la sola manutenzione ordinaria.
    La crisi del 2008 colse Fuscone impreparato e polverizzò le sue finanze: l'elevato indebitamento e gli attivi illiquidi lo fecero finire sul lastrico.
    Tutte le proprietà gli vennero man mano pignorate.
    La sua casa fu venduta in un'asta fallimentare a 1/4 del valore, calcolato da una compagnia assicurativa.

    Questo fa ben comprendere come il successo finanziario non sia una scienza esatta.
    Non come può essere, invece, l'ingegneria per la costruzione di un ponte, o la chirurgia nel trapianto di un cuore.
    Saper gestire i soldi è più una soft skill, una competenza trasversale, in cui il comportamento conta più delle informazioni disponibili e delle competenze tecniche.
    Una competenza, purtroppo, molto, molto sottovalutata. 
    Pensaci: da sempre impariamo ad approcciarci al denaro con metodi scientifici, regole e leggi numeriche, senza considerare la tempesta emozionale che si scatena quando tocchiamo questo argomento così importante e sensibile. 
    Il denaro è ovunque, influenza e confonde tutti noi, e ciascuno di noi pensa ai soldi in maniera diversa.
    Possiamo sicuramente sapere come sia giusto comportarci, ma questa conoscenza non ci dice nulla di quello che accade poi nella nostra testa quando cerchiamo di fare i passi corretti.
    Per capire perchè le persone vengono sommerse dai debiti, non bisogna allora studiare i tassi di interesse, quanto piuttosto la storia dell'avidità umana, dell'insicurezza e dell'ottimismo.
    Per capire perché gli investitori vendono tutto quando il mercato è sui minimi, bisogna pensare alla sofferenza di chi vede a rischio il proprio futuro, piuttosto che studiare la matematica dei possibili rendimenti futuri.

    Ronald Read era paziente.
    Richard Fuscone era ingordo.
    Tanto è bastato per annullare l'enorme differenza di istruzione ed esperienza tra i due.

    Con la pazienza di Read, ti porterò allora a scoprire i 20 capitoli di questo bel libro nel corso dei prossimi mesi.
    Con l'obiettivo, per me sempre prioritario, di aiutarti a prendere le migliori decisioni finanziarie.
    Appuntamento allora a Venerdì 3 Giugno con il primo capitolo: Nessuno è pazzo.
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    7 - IL NICKEL DOPO IL PETROLIO...

    La schizofrenia e la speculazione sui prezzi delle materie prime hanno mietuto nuove vittime tra gli strumenti quotati a Piazza Affari. 
    Dopo l'azzeramento, due anni fa, degli Etc a leva sul petrolio, questa volta ad azzerare i "replicanti" è stato il nickel, metallo largamente utilizzato nella produzione di batterie, di cui la Russia è fornitore primario.

    Ma partiamo dalle basi. 
    Sulle materie prime, come anche su altri ambiti, è possibile investire anche attraverso strumenti che ne amplificano l'andamento borsistico, moltiplicandolo per 2 o 3 volte, sia in maniera direttamente proporzionale (leva "long" con guadagni in caso di crescita e apprezzamento del sottostante), che indirettamente proporzionale (leva "short" con guadagni, invece, in caso di perdita del sottostante).
    Ecco allora che, se la materia prima fa, ad esempio, +2%, l'Etc a leva 3 long farà +6%.
    Se la materia prima fa -2%, l'Etc farà -6%. 
    L'Etc a leva short viene al contrario utilizzato da chi prevede un ribasso delle quotazioni, e ne vuole trarre profitto.
    Ecco allora che un -3% del sottostante diventa un +9% per l'Etc a leva 3 short
    Un +3%, al contrario, diventa un -9% per lo stesso Etc.
    Questa la teoria.

    Ma cos'è accaduto poi, nei fatti, con il nickel? 
    I venti di guerra hanno fatto impazzire il suo prezzo, che ad inizio Marzo è quadruplicato in meno di due giorni, superando i 100mila $ per tonnellata.
    In questo scenario rialzista, il primo strumento a "scoppiare" è stato l'Etc short a leva 3 emesso dalla società di investimenti Wisdomtree.
    Il 7 Marzo, infatti, il prezzo del nickel è salito del 60% in poche ore: non appena il rialzo ha toccato il 33,3%, l'Etc in questione si è matematicamente azzerato.
    Chi lo deteneva ha così perso tutto, senza possibilità di rifarsi nei giorni seguenti.
    A questa crescita spropositata, dall'8 al 15 Marzo è seguito un periodo di stop alle contrattazioni per cercare di calmierare la situazione.
    Quando gli scambi sono poi ripresi, le quotazioni del nickel si sono sgonfiate alla stessa velocità con cui prima erano cresciute.
    Le perdite fatte allora registrare dalla materia prima, dal 16 al 21 Marzo, hanno portato anche l'Etc long a leva 3 ad azzerarsi.
    Insomma, nell'arco di soli 15 giorni si sono azzerati gli strumenti speculativi in mano sia agli scommettitori del rialzo, sia a quelli del ribasso, fagocitati da un mercato impazzito e da tecnicismi di funzionamento che non ammettono appello.
    Di conseguenza tutto questo ha portato con sé, nel buco nero dell'oblio finanziario, tutti i soldi in essi investiti.

    Sono certamente degli eventi estremi, con saliscendi repentini e oltre ogni schema di normalità.
    Ma se si vuole scommettere, soprattutto sulle commodity o materie prime, servendosi di strumenti a leva, bisogna conoscerne bene il funzionamento ed i rischi connessi.
    Se ce ne fosse bisogno, questa è allora l'ennesima lezione: esporsi a leve troppo alte porta con sé dei rischi che possono diventare ingestibili e sfuggire al controllo di chiunque.
    Un pò come Icaro, che volle volare troppo vicino al sole e finì per bruciarsi.
    Meglio allora lasciare queste "schegge impazzite" nelle mani di professionisti in grado di maneggiarle, ed orientarsi a strumenti più semplici e comprensibili, adatti al privato investitore. 
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    Nel prossimo numero della mia 7in7, quello in uscita Venerdì 20 Maggio, ti racconterò, tra le altre cose, della "simpatica" disavventura finanziaria capitata ad Isaac Newton nel 1720, ti spiegherò perché, per investire al meglio, occorre essere sordi e pazienti, e andrò a concludere il capitolo dedicato al capitale umano.
    Stay tuned!

    Ti auguro un sereno fine settimana.
    Un caro saluto,

    Davide