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www.davideberto.it2024-10-11
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    IL TALENTO NON BASTA, CI VUOLE CORAGGIO!
    Per una grande riuscita in ogni attività il talento è fondamentale, ma quello che fa la differenza spesso è il coraggio.
    In qualsiasi ambito, gestione d'impresa, spettacolo, sport, fino naturalmente alla finanza, per una grande riuscita bisogna mettere in campo un grande coraggio.
    Il coraggio è una virtù che non si acquista al supermarket, o ce l'hai o non ce l'hai.
    Puoi al massimo coltivarlo, grazie ad una grande disciplina e preparazione mentale.

    Mi viene naturale pensare all'argento di Sofia Goggia alle recenti olimpiadi invernali di Pechino: quanto coraggio ha dimostrato dopo l'infortunio...
    Pensiamo a Jan Koum, fondatore di WhatsApp che a 16 anni, senza soldi, lascia l'Ucraina per sbarcare negli Stati Uniti: il coraggio l'ha premiato.

    Per riuscire bene negli investimenti e nei mercati finanziari, quando le quotazioni salgono ci vuole certamente talento per attuare una corretta diversificazione internazionale, o per scegliere con intelligenza e lungimiranza i settori su cui puntare.
    Ma quando i mercati finanziari entrano in una fase di forte turbolenza con importanti correzioni, è lì che si fa la differenza.
    I guadagni più importanti sono stati costruiti proprio accumulando quando i mercati scendevano del 20-30%.
    Pensiamo alle opportunità che si sono manifestate nei periodi 2001/2002 - 2008/2009, e da ultimo nel 2020.
    Il coraggio in queste fasi è stato determinante.

    Se è vero che il coraggio non si acquista al supermarket, si può certamente coltivare, infondendo, ad esempio, speranza laddove le persone vedono il buio.
    La speranza può arrivare dalla consapevolezza che dopo le grandi cadute dei mercati finanziari abbiamo sempre assistito, ripeto sempre, a grandi risalite.

    Detto questo, ti auguro una piacevole lettura! 
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    1 - LA GUERRA FREDDA DEL 21° SECOLO

    Man mano che trascorrono questi tristi giorni di guerra, è sempre più chiaro che la finanza e i suoi mercati saranno uno dei campi di battaglia dei prossimi anni, forse decenni.
    Gli alleati occidentali stanno mettendo all'angolo la Russia, inasprendo le sanzioni economiche e congelando i 630 miliardi di $ di riserve della Banca Centrale di Mosca.
    I paesi guidati da autocrati cercheranno sempre più alternative al mercato finanziario globale di oggi, e la possibilità che, in un futuro non troppo lontano, si crei un blocco dollaro-euro e, contrapposto, un blocco del renminbi formato da Cina, Russia e paesi vassalli, è seria.
    Sarebbe una delle forme in cui si manifesta la Guerra Fredda del 21° secolo, diversa e forse più complicata di quella del '900.

    Nelle scorse settimane, l'attività di interscambio tra rublo e criptovalute è aumentata di quasi 3 volte.
    E' questo un canale che può essere usato per evadere da qualche sanzione.
    Certo è che non si può gestire un paese con Bitcoin & Co, ed ecco che lo sguardo inevitabilmente volge ad est, verso la Cina.
    Pechino si sta muovendo su delicati e precari equilibri internazionali, senza mai usare il termine "invasione" per chiamare l'ingresso dell'esercito russo in terra ucraina.
    Ha criticato le sanzioni e avallato le teorie piuttosto paranoiche sulla minaccia posta dalla NATO ai confini della Russia.
    Al contempo, non si sta certo sperticando in lodi verso le azioni di guerra intraprese. 
    C'è però da dire che gli interessi economici della Cina pendono notevolmente verso la Russia, dalla quale attinge (e vuole sempre più attingere) materie prime ed energia.
    Di recente è stato firmato un nuovo accordo per la costruzione di un secondo gasdotto, che dalla Russia porta in Cina, accompagnato da un contratto per 30 anni di forniture.
    Si aggiunge a quello stipulato nel 2014, per un totale di 400 miliardi di $ di forniture.

    Anche sul piano finanziario Mosca e Pechino hanno stretto alleanza, e non da ora. 
    Basti pensare che già da 3 anni saldano i loro commerci nelle rispettive valute e non più in dollari.
    Se il rublo è oggi improponibile, lo stesso non si può certo dire per il renminbi (o yuan).
    Il renminbi viene oggi utilizzato solo nel 2% degli scambi mondiali, ma nei prossimi 3 o 4 anni potrebbe arrivare al 6-8%, in linea con la volontà del governo cinese di rendere la propria moneta sempre più centrale negli scambi internazionali.
    Certo, ben lontano dal 60% del dollaro, ma comunque in ascesa. 

    La Cina sta percorrendo anche il complicato sentiero del decoupling, ovvero del disaccoppiamento dagli Stati Uniti, rilocalizzando la produzione delle imprese americane fuori dal Celeste Impero. 
    E' un percorso in salita, perchè l'integrazione col resto del mondo ha messo profonde radici negli ultimi 30 anni, ed anche perchè l'autosufficienza tecnologica della Cina è attualmente ancora una chimera. 
    La Cina non può nemmeno pensare di staccarsi dal circuito finanziario internazionale, e per questo motivo non può esplicitamente contrastare le sanzioni occidentali alla Russia, pur criticandole: le ritorsioni sarebbero forti.
    Le mosse però ci sono anche in questo campo, ma non si tratta di segnali di chiusura.
    Anzi. 
    A metà Febbraio, per la prima volta ad una banca estera radicata ad Hong Kong, è stato concesso di collegarsi direttamente al sistema Cips, l'alternativa cinese al sistema di interscambio bancario Swift.
    Un modo per aprire un canale del sistema cinese verso il mondo.

    Staccarsi dal resto del mondo costa, e la Cina non è ancora preparata a questo passaggio.
    I nuovi equilibri che stanno emergendo delineano da una parte l'occidente, che rischia di vedere restringere il mercato globale ed aumentare protezionismi ed autarchie, e dall'altra l'oriente, con l'intemperanza di Putin che mette a repentaglio le strategie di lungo periodo di Xi Jinping, improntate (almeno a parole) a pace e stabilità.
    Ci sarà allora da vedere fin dove l'"amicizia senza limiti" tra Russia e Cina sarà sostenibile per il Celeste Impero.
    Un socio avventurista come Putin, potrebbe interferire non poco nelle sue strategie di lungo periodo... 
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    2 - LA PAURA DELLE CORREZIONI

    Poco da fare: nell'andamento dei mercati finanziari da inizio anno, stiamo assistendo ad una discreta fase di correzione.
    In certe asset class più marcata, altrove un pò meno, ma i portafogli presentano un discreto segno - da inizio anno ad oggi.
    Certo, è anche vero che veniamo da anni mooolto positivi nell'andamento dei mercati: il 2019 è stato infatti un anno splendido, il 2020 è stato comunque positivo, ed il 2021 ha fatto la sua buona figura.
    Ma concentriamoci oggi sulla fase di correzione alla quale stiamo assistendo.

    Perché abbiamo così tanta paura delle correzioni?
    Perché in molti ancora non conoscono la loro vera natura.
    Quando non si conosce un fenomeno e gli effetti che può avere sulla nostra vita, il nostro cervello tende a difenderci sprigionando paura.
    La paura è un alert che ci aiuta ad affrontare i pericoli della vita, o ad evitare di imbatterci in situazioni di pericolo in quanto ignote.
    Ecco cosa accade alla gran parte dei risparmiatori quando investono sui mercati finanziari, e si trovano davanti ad una discesa dei prezzi: hanno paura perché non conoscono la vera natura dei mercati.

    Cosa fare dunque?
    Conoscere!
    Dal 1965 ad oggi, il più importante mercato azionario del mondo, quello americano, ben rappresentato dall'indice S&P 500, ha fatto registrare 28 diverse fasi di correzione:
    - ben 22 su 28 sono durate meno di un anno;
    - solo 6 su 28 hanno avuto una durata superiore all'anno, ma mai oltre i 2 anni;
    - la correzione media è stata del 21%;
    - solo 6 correzioni su 28 hanno superato il -30%;
    - dopo tutte queste 28 correzioni, il mercato è risalito, offrendo rendimenti molto importanti e facendo registrare nuovi massimi.

    Cosa possiamo quindi imparare da questi dati?
    Che serve a poco agitarsi, provare a fare market timing anticipando i mercati e sperando di evitare i crolli, per rientrare poi sui minimi.
    Non ci riuscirai.
    Meglio allora accettare la natura dei mercati, e dinanzi al crollo, se possibile, approfittarne.
    Come?
    Ma comprando ovviamente!
    Non certo a man bassa, sempre diversificando il rischio e con una valida strategia alla base.
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    3 - MA QUANTO MI COSTI?

    Ma quanto può costare, al giorno d'oggi, la normale gestione di un conto corrente per privati su base annua?

    La scelta di un conto corrente, a mio avviso, non deve dipendere solamente dai suoi costi.
    E' però innegabile che, sotto questo aspetto, si possa fare una grande distinzione tra i conti tradizionali e i conti prettamente online.
    La loro differenza di costo è sempre più ampia.
    Mediamente, infatti, nel 2022, il conto di una banca online registra un costo annuo di 53 €, che salgono a 111 per un conto tradizionale utilizzato esclusivamente tramite home banking e senza recarsi ad operare, pertanto, in filiale.
    Stesso utilizzo e stesso servizio, ma costi raddoppiati.
    Se si fa invece un uso misto del proprio conto, recandosi per alcune operazioni anche allo sportello, i costi arrivano fino a 141 €, per superare addirittura i 200 nel caso di una famiglia che non si serve del web per la propria operatività.

    Questa analisi, condotta da ConfrontaConti ed SOStariffe, tiene conto sia dei costi fissi che di quelli variabili, con una quarantina di movimentazioni stimate tra versamenti, prelievi e bonifici. 
    I costi che emergono sono decisamente superiori rispetto all'ultimo report di Bankitalia, riferito al 2020, che vedeva la spesa media annua di un conto corrente fisico attestarsi a circa 90€, contro i 21 dei conti online
    Negli ultimi anni c'è stata infatti la forte tendenza ad aumentare i canoni di tenuta del conto corrente, o ad introdurli anche per quei conti nati "a costo zero".
    Anche in questa direzione si è mosso, ad esempio, il colosso dell'online Fineco, che per la prima volta nella sua storia ha introdotto un costo fisso mensile di tenuta conto, anche per i clienti storici.
    A proposito di clienti storici: è dimostrato come paghino sempre di più rispetto ai nuovi clienti.
    In media, chi è cliente dello stesso istituto da 10 anni, sborsa infatti il doppio di costi rispetto ad un cliente di recente acquisizione.

    In generale, comunque, nei conti online sono più bassi sia i costi fissi che quelli singoli relativi a molte operazioni, purché svolte in autonomia.
    Nel caso in cui si avesse però la necessità di svolgere una semplice operazione allo sportello, ci si troverebbe a pagare molto di più di chi richiede lo stesso servizio avendo un conto tradizionale.
    Non va poi dimenticato che alcuni conti online hanno un numero ridotto di filiali fisiche disponibili, magari anche lontane dal domicilio del cliente.
    C'è anche la questione del rapporto umano da mettere in conto, importante soprattutto per le persone più anziane, o poco pratiche del web.
    Ecco allora che un conto più costoso potrebbe trovare (almeno in parte) la sua giustificazione nella relazione diretta e di fiducia con i funzionari della banca, sempre disponibili, si spera, a risolvere dubbi e problemi che man mano possono presentarsi ai clienti utilizzatori.

    Possiamo concludere dicendo che l'aspetto costi, in merito alla scelta di un conto corrente, è sicuramente rilevante, ma non è l'unico da considerare
    Ognuno deve trovare il suo conto tailor made, cucito su misura, in base al reale utilizzo e alle necessità.
    Ed è sempre buona regola non dare nulla per scontato, chiedendo e "disturbando" gli impiegati della propria banca, se necessario, per capirne di più.
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    4 - FIGLI: INVESTIRE PER LORO (2di2)

    Nella mia precedente 7in7, quella di Venerdì 11 Marzo, ho iniziato ad analizzare alcune possibili opzioni di investimento e di pianificazione finanziaria in ottica figli.
    Già ti ho spiegato che libretti, buoni postali e conti deposito, sono degli strumenti legati al passato e non più attuali.
    Vediamo allora oggi quali sono le opzioni migliori per pianificare per tempo gli studi ed il futuro dei propri figli.

    FONDI PENSIONE
    Lo sanno bene i miei clienti: è importante aprire quanto prima ai propri figli un Fondo Pensione!
    Mio figlio Giulio è nato a Marzo del 2016.
    L'apertura del suo Fondo Pensione è datata Settembre 2018.
    E mi dispiace averglielo aperto che aveva già 2 anni e mezzo...
    I Fondi Pensione sono una soluzione di investimento interessante per i propri figli, qualsiasi sia la loro età, in primo luogo perché è altamente improbabile che i bambini di oggi si trovino, quando sarà il momento, a percepire una pensione pubblica dignitosa.
    Quella pensione pubblica va perciò integrata, ed il tempo è il miglior alleato per costruirsi una buona rendita integrativa.
    I genitori che versano capitali nel Fondo Pensione dei propri figli, usufruiscono inoltre del vantaggio dato dalla deducibilità fiscale, se entro i 5.164 € l'anno.
    In sostanza, tu genitore versi denaro nel Fondo Pensione di tuo figlio, lo Stato va a restituirti parte di quel denaro l'anno successivo, in percentuale in base al tuo reddito lordo.
    Mediamente, per semplificare anche le cose, su un versamento di 1.000 €, lo Stato restituisce attorno ai 300 € (il 30%).
    E' fondamentale però sapere che i Fondi Pensione hanno due limiti che li possono ostacolare.
    1. Quanto investito in un Fondo Pensione non è liberamente disponibile, ma soggetto a dei vincoli piuttosto rigidi.
    Generalmente, i soldi versati nel Fondo Pensione vanno lasciati nel prodotto fino a che tuo figlio non ha raggiunto l'età pensionabile.
    Oggi si parla di 67 anni per la pensione di vecchiaia, in futuro è probabile che l'età aumenti.
    Ci sono delle eccezioni a questa regola (emergenze legate allo stato di salute, acquisto o ristrutturazione prima casa...), ma sono piuttosto rigide e non sempre è consentito riscattare il montante intero del fondo pensione.
    Per dirlo in modo molto chiaro, quanto da te versato nel Fondo Pensione di tuo figlio, dovrebbe starsene tranquillamente là per i prossimi 50-60 anni.
    Parliamo allora di dover accettare un orizzonte temporale di lunghissimo periodo.
    2. Costi del prodotto potenzialmente elevati, e/o poca esposizione azionaria.
    Molti Fondi Pensione, soprattutto quelli collocati dalle società assicurative (sono in realtà PIP o Piani Individuali Pensionistici), tendono ad avere dei costi (di caricamento, di gestione...) molto elevati, che vanno ad incidere pesantemente sul rendimento potenziale del prodotto nel tempo, ed anche a ridurre il beneficio fiscale riconosciuto ai prodotti di previdenza integrativa.
    Occorre poi considerare bene la linea di investimento sottostante al Fondo scelto, se, come nel caso dei figli, ci si trova davanti a decenni di pianificazione e versamenti, è bene scegliere una linea ben orientata agli investimenti di tipo azionario, che, si sa, nel lungo e lunghissimo periodo sono destinati a sovraperformare qualsiasi altra asset class di investimento.
    Il Fondo Pensione, per finire, va intestato al figlio, anche se minore.

    PIANO DI ACCUMULO
    Ad oggi, a mio avviso, non c'è opzione migliore per un genitore che vuole lasciare qualcosa ai propri figli, di un classico PAC su una o più soluzioni azionarie.
    Azionarie perché solitamente quello di costruire un capitale per i propri figli, è un obiettivo di lungo periodo, 10 o anche 20 anni.
    Questo è un ottimo orizzonte temporale per le azioni, l'asset finanziario che storicamente ha guadagnato di più nel lungo periodo.
    Considerando ovviamente le azioni nel loro complesso, non in singoli casi.
    Quella del PAC è una strategia che consente ai genitori di investire gradualmente e in modo continuo, una parte del risparmio, destinandola, in questo caso, ai propri figli.
    Con il PAC si può cominciare da zero, in quanto non serve partire per forza da un importo consistente.
    Anche in questo caso, come per il Fondo Pensione sopra analizzato, è importante comprendere al meglio i costi del prodotto (costi fissi, caricamenti eventuali, commissioni di gestione...).
    Se il figlio è ancora minorenne, il PAC va intestato al genitore o cointestato eventualmente ad entrambi i genitori.
    Il PAC, a differenza del Fondo Pensione, è molto flessibile e gestibile nel tempo, e molto spesso mi capita di proporre ai genitori l'apertura a braccetto sia di un PAC che anche di un Fondo Pensione per i propri figli.
    Proprio in considerazione del fatto che dal PAC si può uscire, totalmente o parzialmente, strada facendo senza alcun problema, mentre il Fondo Pensione è uno strumento più vincolato.

    Richiede ovviamente un esborso finanziario molto più importante, ma alcuni genitori potrebbero anche pensare di regalare ai propri figli un'abitazione, una casa.
    "Vorrei comprare a Giulio una casa, perché così almeno gli lascio qualcosa di tangibile e destinato a durare nel tempo...".
    Questo pensiero genitoriale è uno dei più classici "mantra" della saggezza popolare.
    Purtroppo però si scontra con alcuni problemi in proiezione futura.
    Dal 2007 in poi, l'investimento di tipo immobiliare ha tradito con davvero poche eccezioni.
    L'andamento dei prezzi medi delle case è in costante ribasso, sia in centro città che anche in periferia, il tutto unito a un trend demografico poco incoraggiante.
    Sempre più giovani stanno inoltre lasciando la nostra Italia per costruirsi una carriera lavorativa (e una famiglia) all'estero.
    4 su 10, si stima, negli ultimi tempi tra i 18 e i 34 anni.
    Inutile dire che questi giovani, di una casa al paesello non sanno proprio che farsene.
    Gli immobili poi, a differenza di un PAC, di un libretto o di un conto deposito, non sono liquidabili e rivendibili a piacimento in caso di necessità.
    Se un figlio decidesse però di voler vivere vicino ai propri genitori, non c'è ovviamente nulla di male nel regalargli un appartamento o una casa se ce lo si può permettere.
    Ma la ritengo più una decisione che dev'essere presa dai figli in età adulta, che un investimento che i genitori intendono fare mentre i figli sono ancora piccoli, visto e considerato che il loro futuro li potrebbe portare altrove.

    La lettura di questo mio articolo può essere solo l'inizio di un adeguato percorso di pianificazione finanziaria che ha come obiettivo il lascito di una somma di denaro ai propri figli.
    Saper selezionare i giusti fondi per il PAC, o comporre un portafoglio d'investimento dedicato all'obiettivo figli, richiede qualche competenza finanziaria in più di quelle che si possono acquisire leggendo un articolo.
    E saper cosa fare dopo aver impostato il PAC, è altrettanto importante, in particolare quando ci si avvicina all'obiettivo prefissato.
    Per questo sono ben volentieri a tua disposizione per trattare assieme l'argomento, e per mettere a terra il miglior percorso di investimento possibile per il futuro dei tuoi figli.
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    5 - FONDI SANITARI E CRESCENTI DISUGUAGLIANZE

    L'Italia è quel paese dove la spesa militare viene aumentata di 13 miliardi, mentre la spesa per la salute pubblica viene diminuita di 6 miliardi l'anno.
    Sorvolando sulle ragioni politiche e rimanendo sui fatti, è sempre più evidente come il sistema sanitario nazionale non sia più in grado di garantire prestazioni adeguate alle esigenze della popolazione
    Non sto parlando di una novità degli ultimi tempi: i tagli alla sanità si susseguono da decenni, e hanno strutturalmente indebolito un sistema, nonostante tutto, considerato ancora tra i migliori al mondo.
    Le lunghissime liste di attesa per le varie prestazioni, erano un problema reale ancor prima della pandemia.
    Dal 2020 in poi le cose sono solo peggiorate, favorendo il proliferare di strutture private e convenzionate, dove gli italiani spendono direttamente il 25% delle spese sanitarie totali, rispetto a una media europea del 16%.

    In questo contesto si fa sempre più spazio la cosiddetta "sanità integrativa", che già garantisce un sostegno a oltre 14 milioni di italiani.
    Questo supporto per la cura della salute consente agli aderenti di avere benefici sia in termini di tempistiche, sia in termini economico-fiscali, con prestazioni erogate più velocemente e a costi ridotti o azzerati.
    Il rovescio della medaglia esiste, poiché una parte dei costi vivi ricade sulle tasche degli oltre 50 milioni di italiani che non ne usufruiscono.
    I più avvantaggiati sono i lavoratori dipendenti, che spesso vengono accompagnati nel mondo dei fondi sanitari integrativi dal datore di lavoro, in cambio di una piccola trattenuta in busta paga, fiscalmente deducibile.
    Anche lo Stato, infatti, finanzia la crescita del servizio sanitario privato, attraverso detrazioni fiscali e oneri deducibili, che nel solo 2020 hanno comportato un mancato gettito pari a 653 milioni di €. 
    Tali agevolazioni sono state originariamente concesse perchè i fondi sanitari privati dovevano garantire prestazioni aggiuntive e complementari rispetto al Sistema Sanitario Nazionale. 
    Nella realtà, sono tenuti a farlo solo per il 20% delle risorse a loro disposizione, mentre il restante 80% può essere destinato a prestazioni che si sovrappongono a quelle pubbliche, rendendole spesso accessibili, tra l'altro, senza prescrizione medica.
    Ecco che viene così favorito il consumismo sanitario, con un aumento delle prestazioni e dei servizi erogati anche quando non sono realmente necessari.
    Il tutto a favore di chi più può spendere. 
    I più abbienti sono avvantaggiati anche sotto l'aspetto fiscale, visto che le deduzioni della spesa sanitaria sono più percettibili per chi ha alti redditi, e paga pertanto maggiore Irpef allo Stato. 

    Ancora una volta ci troviamo davanti ad un gap sempre più ampio tra chi ha capacità di spesa, e chi no. 
    Divario che una società civile dovrebbe cercare di limare, visto che si tratta di un ambito essenziale e non riguarda svaghi o velleità.
    Stiamo invece andando, sempre più, verso un modello americano di privatizzazione della spesa sanitaria, con crescenti disuguaglianze e iniquità sociali.
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    6 - LARGO ALLA NOBILTA'

    Oggi vorrei parlarti di quelle aziende quotate in borsa che, nella buona e nella cattiva sorte, tendono comunque a tirare sempre dritto per la loro strada, garantendo da almeno 20 anni dividendi costanti e in crescita ai propri azionisti.
    Sono aziende che riversano nelle tasche dei loro investitori almeno il 2% l'anno, e negli ultimi 5 anni hanno addirittura aumentato, circa del 10%, le loro distribuzioni.
    Per la costanza e stabilità nel tempo delle loro erogazioni, possono un pò assomigliare ai bond, titoli obbligazionari che, nel corso delle loro durata, distribuiscono cedole agli investitori.
    Ma sono titoli azionari a pieno titolo.

    Sono le cosiddette "aristocratiche del dividendo".
    Aziende prevalentemente americane ed europee, a cui guardano molti grandi gestori di fondi, sovrappesandole nei portafogli di investimento in particolare durante periodi turbolenti come quello che stiamo attraversando. 
    Aziende solide e redditizie, con un'alta probabilità di generare, anche in futuro, ricchezza da distribuire.
    Dal 1995 ad oggi, il 64% dei rendimenti totali in Europa, e il 42% di quelli negli Stati Uniti provengono dai dividendi.
    Anche durante la pandemia, alcune di queste realtà non si sono fermate, generando profitti tali da permettere loro di corrispondere senza alcun problema il periodico dividendo. 
    Queste imprese non vanno assolutamente confuse con quelle che attirano gli investitori con pagamenti particolarmente elevati a seguito di un periodo di ripresa economica, salvo poi interromperli all'improvviso quando le cose vanno meno bene: per diventare una dividend aristrocrat è necessario incrementare il dividendo per almeno 25 anni di fila!

    La maggior parte di queste aziende opera nel settore dei beni di consumo di base e della sanità, settori che funzionano in qualsiasi fase storica poiché indispensabili.
    Possiamo annoverare in questo elenco Johnson & Johnson, PepsiCo, 3M e Colgate.
    Molte aziende aristocratiche battono bandiera a stelle e strisce, ma ne troviamo alcune anche in Europa, come ad esempio L'Oreal e Unilever
    Tra le italiane spiccano ERG, Hera e Recordati.
    Quest'ultima, forse meno conosciuta delle prime due, ha registrato una crescita del dividendo del 7,3% annuo negli ultimi 3 anni. 
    Sono aziende che hanno la potenzialità di battere il mercato nel tempo, e aiutano a dare stabilità ai portafogli d'investimento.
    Naturalmente, in fasi di rally borsistici questi titoli possono sottoperformare il mercato, ma è molto difficile avere la botte piena e la moglie ubriaca.
    Concordi con me?
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    7 - NON E' UN PAESE PER STARTUP

    Startup.
    In economia si identifica con il termine startup o impresa emergente, una nuova impresa in cerca di soluzioni organizzative e strategiche che siano (anche) ripetibili e possano crescere indefinitamente (fonte Wikipedia).

    Per creare terreno fertile allo sviluppo delle startup di casa nostra, ci sarebbero sul tavolo tutti gli ingredienti, ma non siamo ancora pronti ad usarli.
    Ci vorrà tempo, posto che ce ne sia ancora a disposizione...
    Ci sono le leggi, ancorché imperfette e di non semplice interpretazione.
    Ci sono i vantaggi fiscali per le imprese e per chi vi investe.  
    Ci sono anche le risorse, basti pensare che la sola Cassa Depositi e Prestiti ha 2,5 miliardi già pronti da investire. 
    C'è infine il capitale umano, sia al nord che al sud. 
    Ma se non si mettono assieme tutti questi fattori, se non si porta avanti il concetto che l'innovazione deve diventare parte della nostra cultura, se non si favorisce il fiorire di imprese nuove, che rompono schemi consolidati...continueremo a veder sbocciare ben poche eccellenze sul nostro territorio. 

    Il 90% delle startup è, per spietata selezione naturale, destinato al fallimento. 
    Questa percentuale scende al 75% per quelle che riescono a trovare investitori.
    Sono numeri certamente sfidanti, ma senza ambizione non si può pensare di poter innovare.
    Sulla carta, in Italia le imprese innovative ci sono.
    A fine Settembre scorso erano 14.000, +17% rispetto al 2020.
    Se si va però a vedere quelle che hanno superato la prima fase embrionale, se ne trovano poche.
    Solo il 9% fattura più di 500mila €, e meno del 4% supera il milione.

    E' quando la crescita dovrebbe diventare esponenziale, che si arenano molte delle startup italiane.
    Ed è qui che si vede la differenza col resto del mondo sviluppato.
    Ad oggi si possono contare globalmente oltre 1.000 unicorni, ovvero startup la cui valutazione supera il miliardo di dollari.
    Solo fino a 7 anni fa se ne contavano a malapena 80.
    Di queste 1.000, ben 900 sono negli Stati Uniti.
    Pensa, aziende che sono riuscite ad attrarre più di 300 miliardi di dollari di investimenti nel solo 2021.
    Tutte risorse che contribuiscono allo sviluppo del paese americano.
    In Italia contiamo solamente 3 unicorni: Yoox, Depop, e la recente Scalapay.
    Le prime due imprese sono state poi cedute.
    Sopra quota 1 miliardo di valutazione è rimasta poi una startup di prima generazione, Illimity Bank, che ha fatto della tecnologia il suo volano di crescita.
    Una banca innovativa creata da un veterano del credito, Corrado Passera, il quale è passato dalla gestione del colosso Banca Intesa al ruolo di ministro dello sviluppo Economico col governo Monti, varando proprio la prima legge sulle startup in Italia.
    Nella vicina Francia gli unicorni sono ben 26.
    Giusto per capire come il confronto sia impietoso anche senza volare oltre oceano. 
    Non bisogna poi porre limiti alle potenzialità di sviluppo, crescita e innovazione: esistono infatti anche le decacorns, ossia le startup valutate oltre 10 miliardi di dollari.
    Solo nel corso del mese di Gennaio, nel mondo, se ne sono aggiunte 4. 

    Coltivare la cultura delle startup è importante, perché genera esponenziali effetti moltiplicatori. 
    Se in America c'è la cultura del "to do", del fare, nel nostro paese c'è invece quella del "to talk", del chiacchierare. 
    Eclatante in tal senso è l'esempio di PayPal, il colosso dei pagamenti online.
    Nato nel 1998 da un gruppetto di 15-20 fondatori, è stato ceduto nel 2002 a eBay per 1,5 miliardi di dollari.
    Quello stesso gruppetto di startupper avrebbe poi fondato Tesla e SpaceX (Elon Musk), LinkedIn (Reid Hoffman), YouTube (Chad Hurley), e Reddit (Yshan Wong).
    E fu il fondatore di LinkedIn a far incontrare Mark Zuckerberg con Peter Thiel, CEO di Paypal, che diventò il primo investitore esterno di Facebook con il 10% acquistato per 500mila dollari.
    La prima regola dell'innovazione è che non devono esserci regole, se non quelle del buonsenso
    Noi, invece, prima facciamo le regole e poi creiamo una realtà che ci si adatti.
    Gli americani fanno esattamente il contrario. 
    Il confronto con gli altri paesi dovrebbe allora spingerci a lavorare sulla cultura, sostenendo ambizione e innovazione.
    I nostri 1,2 miliardi investiti, impallidiscono rispetto ai 6,6 raccolti in Francia, ai 16,2 della Germania, e ai 34 del Regno Unito.
    Paesi Bassi e Svezia sono rispettivamente a quota 5,8 e 7,6 miliardi.
    Anche le (poche) grandi aziende italiane dovrebbero farsi qualche domanda.
    Grandi aziende che raramente fanno da apripista alle startup, garantendo orizzonti temporali più lunghi.

    Non da ultimo, per attrarre capitali è importante fornire chiare possibilità di "exit", ovvero quel momento in cui gli investitori possono realizzare i propri guadagni uscendo dall'investimento precedentemente fatto.
    Tipicamente l'uscita da una startup si realizza in due modi: o attraverso la sua cessione (come nel caso di Tannico, recentemente acquisita da Campari), o attraverso la sua quotazione pubblica in Borsa.

    Chiudo con un pallido ottimismo: in Italia qualcosa sembra forse muoversi in tal senso, grazie alle 44 nuove quotazioni all'Euronext Growth di Milano lo scorso anno.
    Si tratta del mercato finanziario dedicato alle PMI dinamiche e competitive, in cerca di capitali per finanziare la loro crescita.
    Lo scorso anno, ben 621 miliardi di dollari sono stati investiti in startup a livello mondiale: il doppio del 2020.
    Anche attraverso il Gruppo Azimut è da tempo possibile investire in startup.
    Rimango a tua disposizione per fornirti maggiori informazioni in merito.
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    Nel prossimo numero della mia 7in7 ti parlerò, tra le altre cose, dell'economia russa, dell'"alibi" del lungo termine, dello split azionario, e di elettrico nel mondo dell'automotive.

    Non mi resta allora che augurarti un sereno fine settimana.
    Un caro saluto,

    Davide