Spesso ho parlato e scritto per sensibilizzare sul tema della
protezione, cercando di far capire quanto lo stato sociale sia destinato a indietreggiare nel prossimo futuro, riducendo le generose prestazioni alle quali ci ha abituato.
Questa narrazione incontra però spesso scetticismo.
Sono in molti a percepire questo monito come un infondato allarmismo, per un motivo molto semplice: lo Stato, nonostante tutto, paga.
Sta continuando a pagare pensioni retributive, prestazioni ospedaliere, istruzione scolastica, assistenza agli indigenti.
Poco importa che, in ciascuno di questi capitoli di spesa e per stessa ammissione di chi ne fruisce, i servizi siano talvolta di discutibile qualità, talvolta erogati in tempi inaccettabili.
Lo Stato paga.
Questo conta.
Eccolo allora l’alibi ideale per continuare a credere che la protezione “non s’ha da fare”...
Alla luce di tutto questo, è giunto il momento di cambiare narrazione, non raccontando più cosa è probabile aspettarsi domani, ma che cosa ci si deve aspettare già oggi.
Dimostrando come lo Stato paga troppo poco per rendere decorosa la vita delle persone al verificarsi di certe situazioni, e come al pilastro integrativo di welfare non ci sia alternativa.
Per rendere tutto più semplice, ti racconto la storia di Alfredo.
Alfredo è un artigiano di 45 anni, sposato e con un figlio adolescente.
Lavora nella sua bottega del legno da quando è ragazzo.
Non certo senza fatica, è riuscito a raggiungere un reddito intorno ai 50.000 € l’anno.
La cattiva sorte però non fa sconti, e un giorno ad Alfredo capita un brutto infortunio che gli procura la perdita di un braccio.
L’ incidente stravolge inevitabilmente la sua vita da qualsiasi punto di vista: personale, familiare, professionale e anche finanziario, perché un simile evento lo mette nella condizione di interrompere la sua attività arrestando la possibilità di generare
reddito.
Alfredo ha messo da parte un po’ di soldi, che da un lato gli consentono di attingere ad un serbatoio di emergenza, ma dall’altro non risolvono il problema economico prodotto dalla caduta del suo reddito.
Alfredo decide così di attivare gli strumenti previdenziali che lo Stato mette a disposizione.
Con un'invalidità dichiarata del 70% è nelle condizioni di poter attivare l’AOI (Assegno Ordinario di Invalidità), una prestazione economica erogata dall’INPS ai lavoratori con infermità fisica (o mentale) tale da ridurre la capacità di lavoro a meno
di 1/3.
La prestazione richiesta da Alfredo viene determinata sulla base dei contributi previdenziali, che lo sfortunato artigiano versa da 25 anni, e che sono pari, mediamente, al 24% del suo reddito.
In che cosa si traduce allora questo sostegno economico erogato dallo Stato?
Ti risparmio i noiosi passaggi numerici e vado al dunque: i calcoli dell'INPS producono per Alfredo una pensione di invalidità lorda pari a 10.046 €, contro i 50.000 di reddito annuo che aveva faticosamente raggiunto nel tempo.
Ciò significa l’80% in meno di entrate a disposizione per lui e per la sua famiglia.
Come la vogliamo definire una simile caduta?
In che modo queste entrate possono essere considerate anche lontanamente sufficienti al mantenimento di un decoroso tenore di vita, in assenza di altri flussi?
Ma andiamo avanti.
Proviamo a pensare ad una situazione ancora peggiore, supponendo che l’infortunio sia tale da generare un livello di invalidità totale, pari al 100%.
In tal caso, l’assegno ordinario di invalidità appena descritto lascerebbe posto alla cosiddetta pensione di inabilità.
Una prestazione economica erogata in favore dei lavoratori per i quali è accertata la totale impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
A tale prestazione si aggiunge anche l’indennità di accompagnamento, che può essere richiesta per le persone totalmente inabili che sono nella condizione di non poter compiere gli atti di vita quotidiana o che non possono muoversi senza l’aiuto
permanente di un accompagnatore.
Stiamo parlando in totale di un contributo di ulteriori 6.265 € l’anno, che portano la pensione pubblica ad un totale di 16.311 €.
Per una caduta del reddito disponibile pari al 67,40%.
Ad essere precisi, Alfredo potrebbe ricorrere a un'ulteriore misura a suo favore, consistente nel cosiddetto beneficio di maggiorazione.
Così facendo, gli anni conteggiati per la prestazione previdenziale aumenterebbero, portando il totale della prestazione a 22.340 €, tra pensione di inabilità e indennità di accompagnamento.
Questo rappresenta, dal punto di vista finanziario, lo scenario migliore possibile per Alfredo, e andrebbe a generare comunque una riduzione rispetto al reddito pregresso (50.000 €) superiore al 55%.
La domanda, a questo punto, è scontata: è accettabile, per una persona già colpita da un evento estremamente dannoso, vivere con entrate più che dimezzate in caso di totale infermità, e che arrivano a sfiorare l’80% in caso di invalidità molto significativa?
Chi viene danneggiato da questo tipo di situazioni, non dovrebbe forse pensare a generare un reddito addirittura più elevato di quello precedente, alla luce delle conseguenze derivanti dall’infortunio?
Il più delle volte si è nella condizione di attivare comportamenti e strumenti in grado di eliminare totalmente il pericolo.
Come si vede, la così attesa e drastica riduzione del welfare pubblico non è tanto una possibilità che incombe sul futuro, quanto una certezza che colpisce il presente di chi, alla sfortuna di un evento avverso, combina la negligenza di non averci mai pensato.
Alfredo è soltanto un personaggio di fantasia, ma quando Alfredo diventiamo noi, le cose sono destinate a cambiare drasticamente.
Però, giunti a quel punto, è tardi.
Serve proprio aspettare così tanto?