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www.davideberto.it2024-10-11
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    Breve storia triste.
    So per certo che il termine INPGI non ti dirà nulla.
    Si tratta però della cassa previdenziale dei giornalisti, rinomata, come altre, per non essere propriamente un fiore all'occhiello in termini di equilibrio finanziario.
    L'INPGI ha dato il meglio di sé negli ultimi esercizi.
    Ha chiuso il 2019 con un disavanzo di 171 milioni di euro.
    Nel pandemico 2020, il cratere si è ulteriormente allargato a 242 milioni, con un deficit superiore al 50%.

    Quale soluzione, di fronte a questo oblio?
    Come già accaduto in passato, la soluzione trovata è stata quella di aprire ai giornalisti le porte dell'INPS, che dal primo Luglio 2022 vedrà confluire al suo interno la gestione dell'INPGI.
    Un travaso in piena regola, naturalmente senza alcun ricalcolo delle prestazioni.
    Quello che in pratica è attualmente insostenibile nell'INPGI, diventerà forse magicamente sostenibile nell'INPS, le cui porte sono aperte a tutti?
    Tanto, alla fine, quando il conto arriverà per l'ennesima volta sul tavolo del contribuente, nessuno si scandalizzerà.
    Anzi, lo stesso contribuente continuerà a dormire sereno tra due guanciali, e ad essere convinto che la cosa non lo riguardi nemmeno di striscio.
    L'INPS è morto, lunga vita all'INPS!

    Ti auguro una buona lettura.
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    1 - DUE DIVERSI TIPI DI PRUDENZA

    L'ultimo rapporto Consob sulle abitudini finanziarie delle famiglie italiane, risalente al mese scorso, parla di un peso della liquidità nei portafogli degli italiani che ha ormai raggiunto il 34%.
    "La pandemia ha accentuato la prudenza dei risparmiatori" si dice.
    Su questa frase, due parole al volo.

    La prudenza è sacrosanta quando è accompagnata da saggezza, lungimiranza ed equilibrio.
    Tutte condizioni fondamentali per investire, e per tante altre cose.
    Evitare concentrazione di rischio specifico (ne ho parlato nella 7in7 del 14 Gennaio all'articolo numero 5), non farsi ammaliare da rendimenti altisonanti di un nuovo asset, costruire con costanza e disciplina un capitale per la pensione integrativa, mettere in cassaforte il tenore di vita della famiglia attraverso mirate scelte assicurative, sono tutti esempi di questo tipo di prudenza.

    Allo stesso tempo, la prudenza perde la sua virtù quando viene esasperata, quando diventa dogmatica, quando si manifesta con atteggiamenti che, per una questione ormai ideologica, impediscono di ragionare.
    "Raccontami tutto ciò che vuoi, ma nella giungla della speculazione io non ci entro...".
    Perché delle banche io non mi fido.
    Perché dei mercati io non mi fido.
    Perché le obbligazioni con le cedole semestrali, che tanto mi piacevano, non ci sono più.
    Perché almeno in conto corrente i miei soldi non li perdo (con l'attuale inflazione dell'Eurozona giunta al 4% poi...).
    Tutti questi sono tipici esempi del secondo tipo di prudenza, che poi, di fatto, prudenza non è più.
    Si è trasformata in qualcosa di diverso.

    Certamente mi posso sbagliare, ma temo che tutta la quantità di denaro ferma oggi sui conti e sui depositi infruttiferi sia figlia del secondo tipo di prudenza, più che della prima.
    Ma si tratta di una mia opinione, di una mia sensazione, e come tale vale poco.
    Anche fosse così, questa abitudine va capita e possibilmente curata, non biasimata.
    Ciò che invece conta, è un fatto oggettivo e incontestabile che, se compreso, aiuterebbe molto a cambiare le cose: le abitudini che da sempre vengono adottate perché sinonimo di prudenza, a volte possono diventare un segno di profonda e pericolosa imprudenza.
    Ecco, questa è una di quelle.
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    2 - UN BEL ROMPICAPO

    Negli ultimi 20 anni non si può certo sostenere che i mercati finanziari siano stati noiosi, anzi.
    La globalizzazione, l'avvento dell'euro e quello di internet, le crisi finanziarie a cui si son succeduti periodi di recessione e deflazione, l'era del quantitative easing e infine la pandemia...
    E' proprio accaduto di tutto e di più.
    E nel corso di questo 2022, che cosa ci possiamo aspettare? 
    La parola chiave sembra proprio essere incertezza, anche se è evidente che si stanno creando presupposti per un sistema più attento alla sostenibilità sociale e finanziaria.

    Se il 2021 ha visto una decisa ripresa dei listini azionari, il quadro si presenta molto più articolato quest'anno.
    La crescita (almeno economica) dovrebbe in ogni caso proseguire, anche se con più moderazione.
    La differenza è che oggigiorno il contesto è più dinamico e frizzante, e novità importanti riguarderanno anche il mondo delle obbligazioni, fiaccato da anni di tassi ai minimi e rendimenti nulli o risicati. 
    Le prime settimane dell'anno ci hanno fatto assaggiare momenti di rinnovata vitalità in quest'ambito, con i rendimenti dei titoli di stato in risalita.
    Il rendimento del Bund decennale tedesco è tornato in leggero territorio positivo per la prima volta dal Maggio 2019, mentre il nostro Btp decennale è arrivato a riconoscere agli investitori un interesse annuo dell'1,80% a causa anche del minor sostegno della BCE.
    Negli Stati Uniti, dove l'inflazione è arrivata ormai al 7,5% (massimi dal 1982), la Federal Reserve è impegnata a contenere il rendimento del Treasury decennale, che ha ripreso a correre verso il 2%.
    La causa di questi movimenti al rialzo è da ricercare nella potente ventata inflattiva, con tassi di crescita che non si vedevano da 20-25 anni.
    In America, dove non c'è soltanto l'aumento dei prezzi a preoccupare i banchieri centrali, ma anche l'incremento dei salari, c'è la ragionevole percezione che la banca centrale americana alzerà più volte i tassi d'interesse nel corso del 2022, probabilmente già dal mese di Marzo, riducendo così il proprio bilancio e restringendo soprattutto l'enorme massa di liquidità in circolazione.
    Comportamento che, prima o poi, sarà costretta a seguire anche la BCE, visto e considerato che l'inflazione nell'area euro si attesta attualmente al 5,1%.
    Del resto, la Gran Bretagna i tassi li ha già alzati, e così hanno fatto la Repubblica Ceca, la Polonia e l'Ungheria.
    Il caro-vita può essere infatti, in qualche modo, contenuto mettendo mano ai tassi.
    Questo è quello che si intravede all'orizzonte. 

    Ma qui si apre una sorta di paradosso economico e finanziario, dal momento che la capacità delle banche centrali di rialzare i tassi è limitata dall'enorme mole di debito (non solo) pubblico circolante. 
    Con il nobile scopo di supportare l'economia ed evitare anche il default di diverse nazioni, sono state potenti e persistenti le iniezioni di liquidità nei mercati, con l'acquisto di titoli di stato direttamente da parte delle banche centrali.
    Questo è avvenuto per diversi anni, portando il debito pubblico a raddoppiare la sua incidenza sul pil mondiale
    Se nel 2000, infatti, il debito pubblico rappresentava il 55% della ricchezza prodotta nel mondo, oggi, dopo la pandemia che ha espanso ulteriormente i debiti sovrani e ridotto la ricchezza prodotta, il debito globale è salito ad oltre il 100% del Pil.
    Aumentare i tassi significa pertanto aumentare il costo di questo debito circolante, ed è un prezzo che gli stati più indebitati (Italia e Grecia su tutti in Europa) faticheranno a permettersi.
    Sottili sono quindi gli equilibri in gioco, con la necessità di non soccombere sotto il peso del debito da un lato, e di tenere viva l'economia dall'altro, attraverso un'inflazione possibilmente sana, e con dei tassi d'interesse che non potranno rimanere in eterno a rasentare lo zero.
    Limitare il costo del debito pubblico e contemporaneamente circoscrivere l'inflazione è una contraddizione in termini.
    Se la strada maestra è senz'altro quella di ridurre la mole di debito circolante, questo non si potrà realizzare né facilmente, né velocemente. 
    Un bel rompicapo da risolvere per Jerome Powell e Christine Lagarde...

    Nel prossimo numero della mia 7in7 andrò a spiegarti meglio alcuni termini tecnici che hanno a che fare con il mondo degli investimenti obbligazionari.
    Ti parlerò allora di spread, di duration, di curva dei rendimenti e del rapporto prezzo/rendimento.
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    3 - SI', MA E' CARA!... (1di2)

    Eh, ma la borsa americana è cara!...”.
    E' questo, ormai da diverso tempo, uno dei ritornelli che con maggiore frequenza si ascolta negli ambienti finanziari.
    La contenuta correzione in corso in questo inizio d’anno, -12% circa per il Nasdaq e -8% per l'S&P500, ha leggermente raffreddato quotazioni e multipli che potevano apparire roventi, ma non ha di certo intaccato l’extra-rendimento che le piazze finanziarie statunitensi hanno generato negli ultimi tempi.
    Pensa, infatti, che negli ultimi 4 anni, il principale indice azionario USA ha messo a segno una performance circa del 110%, mentre il listino tecnologico Nasdaq addirittura del 190%.
    Se dunque posizionarsi su questo mercato può apparire inevitabile per molti, è altrettanto vero che appare ardito e audace per una crescente percentuale di investitori.

    Vale dunque la pena spendere qualche riflessione, e soprattutto qualche numero, che vada oltre ai condizionamenti di breve periodo, per comprendere quanto l’economia vincitrice indiscussa del XX secolo possa ancora rappresentare una vera opportunità di investimento.
    Come noto, nell'investire è fondamentale guardare in avanti, e cercare di capire quali saranno le future tendenze dei mercati finanziari è impresa quanto mai difficile, nonché una delle sfide che anima chi compie scelte d’investimento.
    L’unica cosa certa del futuro è che non sarà mai una mera prosecuzione dell’esistente: per guardare anche solo un metro più avanti del proprio naso bisogna scavare nel presente e analizzare le radici profonde che hanno consentito ad un sistema economico di svilupparsi.
    Se proviamo a farlo, non è difficile scorgere diversi aspetti per i quali il posizionamento strutturale e strategico sul mercato americano non può mai essere messo in discussione, nemmeno nelle fasi in cui i fondamentali di questo mercato appaiono stressati.
    Naturalmente, tutto questo va fatto senza ignorare le criticità, sempre guidati dal buon senso, senza forzature, con la consapevolezza che le correzioni (anche importanti) fanno parte del gioco, e nel pieno rispetto dell’unicità che contraddistingue le esigenze e gli obiettivi di ciascun investitore.

    Possiamo individuare allora 7 motivi per cui gli Stati Uniti sono ancora un'ottima opportunità di investimento.
    Qui trovi i primi 3, mentre per gli altri 4 dovrai attendere un paio di settimane.

    Motivo 1: la crescita mondiale è ben rappresentata dalla borsa americana
    Se pensiamo che il mondo nel suo complesso sia destinato mediamente a crescere così come ha sempre dimostrato di saper fare, la decisione più logica per salire sul treno è investire nell’indice che rappresenta il mondo intero.
    Il benchmark principale, tra tutti gli indici azionari, è l’MSCI ACWI (All Country World Index) che copre quasi tutto il globo.
    L’indice MSCI ACWI è un indice azionario internazionale che raccoglie i titoli di 23 paesi sviluppati e di 25 paesi emergenti.
    I titoli azionari statunitensi sono quelli a maggior peso all’interno dell’indice MSCI ACWI (61%), seguiti a notevole distanza dai titoli giapponesi (5,72%) e da quelli cinesi (3,85%).

    Motivo 2: 5 tra le prime 10 aziende al mondo in termini di dimensione sono americane
    La classifica Forbes Global 2021 mette in fila le più grandi società quotate del mondo in base a quattro parametri, tutti di uguale ponderazione: patrimonio (o asset), valore di mercato, fatturato e profitti.
    Tra le prime 10 aziende al mondo, ben 5 sono statunitensi: JPMorgan Chase (al 2° posto), Berkshire Hathaway (al 3° posto), Apple (al 6° posto), Bank of America (al 7° posto), e Amazon (al 10° posto).
    I posti mancanti sono occupati dalla Industrial and Commercial Bank of China (al 1° posto), dalla China Construction Bank (al 4°), da Saudi Aramco (al 5°), da Ping An Insurance Group e da Agricultural Bank of China (all'8° e al 9° posto).

    Motivo 3: le aziende oggi più influenti a livello mondiale sono statunitensi
    Pensando all’importanza crescente della tecnologia, e in particolare all’egemonia dei social network a livello globale, Forbes ha recentemente pubblicato la classifica delle società quotate attive nei settori dell’IT, dell’hardware, dei media, del commercio elettronico e delle telecomunicazioni, che stanno disegnando il nuovo mondo digitale.
    Si tratta della Forbes Digital 100, una classifica fatta di aziende provenienti da ben 17 diversi paesi.
    Se non vi sono, purtroppo, aziende italiane presenti in classifica, i primi 14 posti sono tutti occupati da società americane (Amazon, Netflix, NVIDIA, Salesforce, ServiceNow, Square, Analog Devices, Palo Alto Networks, Splunk, Adobe Systems, Broadcom, Leidos, ON, Match Group).

    Ci raggiorniamo allora l'11 Marzo con i 4 motivi rimanenti, utili a farti capire che la parte azionaria del portafoglio d'investimento non può non guardare anche agli Stati Uniti d'America in cerca di opportunità. 
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    4 - SE POTESSI AVERE MILLE LIRE AL MESE...

    ... Così cantava Gilberto Mazzi nel 1939.
    Una cifra che in quegli anni permetteva di vivere dignitosamente.
    Ma di quante "mille lire al mese" ha bisogno un pensionato, oggi in Italia, per vivere dignitosamente?
    Un calcolo che è utile fare ben prima dell'ultimo giorno di lavoro.
    Perché si sa, prima si inizia e meglio è, così da potersi rendere conto di quanto sarà necessario accumulare durante la propria carriera lavorativa per vivere poi tranquilli durante la pensione.
    E' un'analisi non facile questa, che richiede un approfondimento delle proprie aspirazioni, dei propri desideri, della propria capacità di risparmio attuale e futura.
    Seguimi allora in questo piccolo viaggio fatto di numeri.

    Secondo il database Istat, una persona sola con 65 o più anni, spende ogni mese mediamente in Italia 1.586 €.
    La spesa per una coppia ultra-65enne senza figli sale a 2.315 €.
    Moltiplicando tali importi per i 12 mesi, si va ad ottenere la spesa media annua pari rispettivamente a 19.032 e 27.780 €.
    Sempre l'Istat ci fornisce il dato sulla vita media, che in Italia è di 82 anni, e si è abbassato come conseguenza della pandemia.
    Considerando i 65 anni come un traguardo per la pensione, nei 17 anni di quiescenza la cifra che si spenderà è di 323.000 € circa per le persone sole, e di oltre 472.000 per le coppie senza figli.
    E' bene precisare che questi calcoli sono effettuati su dati medi.
    Le singole situazioni possono ovviamente essere molto differenti, sia per quanto riguarda la spesa media mensile, sia per quanto riguarda l'effettiva durata della propria vita.
    Il singolo che raggiunge i 90 anni di età avrebbe allora bisogno di 475.000 €, che diventerebbero addirittura 570.000 a 95 anni.
    Non bisogna inoltre dimenticarsi dell'inflazione, che proprio negli ultimi mesi è tornata a "mordere" non poco.
    L'andamento dei prezzi al consumo nel corso dei decenni ha tramutato le 1.000 lire di Gilberto Mazzi in circa 870 € di oggi.
    E, ipotizzando una (storicamente bassa) crescita dei prezzi al consumo dell'1% da inizio 2022 al 2039, la somma necessaria ad un singolo di 65 anni per vivere fino a 82 anni salirebbe a 373.000 €.

    Davanti a queste cifre medie, potresti già trovarti piuttosto preoccupato.
    Manca però la metà buona del calcolo complessivo, quella relativa agli introiti.
    L'osservatorio sulle pensioni dell'Istat, relativo al 2020, individua il valore medio della pensione di vecchiaia in Italia in circa 1.271 €.
    Su un arco di 17 anni, l'introito previdenziale per il pensionato 65enne con un'aspettativa di vita di 82 anni ammonta a 259.000 €.
    Il gap da colmare rispetto ai 323.000 € necessari per coprire le spese come calcolate dall'Istat è di 64.000 €, ovvero 3.760 € all'anno.
    Sembra poco?
    Può essere, ma la cifra non deve trarre in inganno.
    In primo luogo perché non tiene conto dell'inflazione, in secondo luogo perché i dati Istat sulla spesa degli over 65 sono delle medie, calcolate su un parco pensionati non certo ricco.
    Cosa significa?
    Che probabilmente ti troverai a spendere più di quanto dice Istat per soddisfare le tue aspirazioni nel periodo della quiescenza, e per cercare di mantenere uno stile di vita il più possibile simile a quello raggiunto al termine della carriera lavorativa.

    In conclusione, l'obiettivo che ogni persona dovrebbe porsi è fare di tutto per evitare di arrivare a corto di denaro durante gli anni della pensione, e cominciare a risparmiare il prima possibile.
    Il capitale accumulato durante la vita attiva dovrà bastarti, assieme alla pensione pubblica, per coprire tutte le spese degli anni, si spera superiori alla vita media attesa, che vivrete.
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    5 - FOCUS INVALIDITA': QUANTO CI PROTEGGE LO STATO?

    Spesso ho parlato e scritto per sensibilizzare sul tema della protezione, cercando di far capire quanto lo stato sociale sia destinato a indietreggiare nel prossimo futuro, riducendo le generose prestazioni alle quali ci ha abituato.
    Questa narrazione incontra però spesso scetticismo.
    Sono in molti a percepire questo monito come un infondato allarmismo, per un motivo molto semplice: lo Stato, nonostante tutto, paga.
    Sta continuando a pagare pensioni retributive, prestazioni ospedaliere, istruzione scolastica, assistenza agli indigenti.
    Poco importa che, in ciascuno di questi capitoli di spesa e per stessa ammissione di chi ne fruisce, i servizi siano talvolta di discutibile qualità, talvolta erogati in tempi inaccettabili.
    Lo Stato paga.
    Questo conta.
    Eccolo allora l’alibi ideale per continuare a credere che la protezione “non s’ha da fare”...
    Alla luce di tutto questo, è giunto il momento di cambiare narrazione, non raccontando più cosa è probabile aspettarsi domani, ma che cosa ci si deve aspettare già oggi.
    Dimostrando come lo Stato paga troppo poco per rendere decorosa la vita delle persone al verificarsi di certe situazioni, e come al pilastro integrativo di welfare non ci sia alternativa.
    Per rendere tutto più semplice, ti racconto la storia di Alfredo.

    Alfredo è un artigiano di 45 anni, sposato e con un figlio adolescente.
    Lavora nella sua bottega del legno da quando è ragazzo.
    Non certo senza fatica, è riuscito a raggiungere un reddito intorno ai 50.000 € l’anno.
    La cattiva sorte però non fa sconti, e un giorno ad Alfredo capita un brutto infortunio che gli procura la perdita di un braccio.
    L’ incidente stravolge inevitabilmente la sua vita da qualsiasi punto di vista: personale, familiare, professionale e anche finanziario, perché un simile evento lo mette nella condizione di interrompere la sua attività arrestando la possibilità di generare reddito.
    Alfredo ha messo da parte un po’ di soldi, che da un lato gli consentono di attingere ad un serbatoio di emergenza, ma dall’altro non risolvono il problema economico prodotto dalla caduta del suo reddito.
    Alfredo decide così di attivare gli strumenti previdenziali che lo Stato mette a disposizione.
    Con un'invalidità dichiarata del 70% è nelle condizioni di poter attivare l’AOI (Assegno Ordinario di Invalidità), una prestazione economica erogata dall’INPS ai lavoratori con infermità fisica (o mentale) tale da ridurre la capacità di lavoro a meno di 1/3.
    La prestazione richiesta da Alfredo viene determinata sulla base dei contributi previdenziali, che lo sfortunato artigiano versa da 25 anni, e che sono pari, mediamente, al 24% del suo reddito. 
    In che cosa si traduce allora questo sostegno economico erogato dallo Stato? 
    Ti risparmio i noiosi passaggi numerici e vado al dunque: i calcoli dell'INPS producono per Alfredo una pensione di invalidità lorda pari a 10.046 €, contro i 50.000 di reddito annuo che aveva faticosamente raggiunto nel tempo.
    Ciò significa l’80% in meno di entrate a disposizione per lui e per la sua famiglia.

    Come la vogliamo definire una simile caduta?
    In che modo queste entrate possono essere considerate anche lontanamente sufficienti al mantenimento di un decoroso tenore di vita, in assenza di altri flussi?
    Ma andiamo avanti.
    Proviamo a pensare ad una situazione ancora peggiore, supponendo che l’infortunio sia tale da generare un livello di invalidità totale, pari al 100%.
    In tal caso, l’assegno ordinario di invalidità appena descritto lascerebbe posto alla cosiddetta pensione di inabilità.
    Una prestazione economica erogata in favore dei lavoratori per i quali è accertata la totale impossibilità di svolgere qualsiasi attività lavorativa.
    A tale prestazione si aggiunge anche l’indennità di accompagnamento, che può essere richiesta per le persone totalmente inabili che sono nella condizione di non poter compiere gli atti di vita quotidiana o che non possono muoversi senza l’aiuto permanente di un accompagnatore.
    Stiamo parlando in totale di un contributo di ulteriori 6.265 € l’anno, che portano la pensione pubblica ad un totale di 16.311 €.
    Per una caduta del reddito disponibile pari al 67,40%.
    Ad essere precisi, Alfredo potrebbe ricorrere a un'ulteriore misura a suo favore, consistente nel cosiddetto beneficio di maggiorazione.
    Così facendo, gli anni conteggiati per la prestazione previdenziale aumenterebbero, portando il totale della prestazione a 22.340 €, tra pensione di inabilità e indennità di accompagnamento.
    Questo rappresenta, dal punto di vista finanziario, lo scenario migliore possibile per Alfredo, e andrebbe a generare comunque una riduzione rispetto al reddito pregresso (50.000 €) superiore al 55%.

    La domanda, a questo punto, è scontata: è accettabile, per una persona già colpita da un evento estremamente dannoso, vivere con entrate più che dimezzate in caso di totale infermità, e che arrivano a sfiorare l’80% in caso di invalidità molto significativa?
    Chi viene danneggiato da questo tipo di situazioni, non dovrebbe forse pensare a generare un reddito addirittura più elevato di quello precedente, alla luce delle conseguenze derivanti dall’infortunio?

    Il più delle volte si è nella condizione di attivare comportamenti e strumenti in grado di eliminare totalmente il pericolo.
    Come si vede, la così attesa e drastica riduzione del welfare pubblico non è tanto una possibilità che incombe sul futuro, quanto una certezza che colpisce il presente di chi, alla sfortuna di un evento avverso, combina la negligenza di non averci mai pensato.
    Alfredo è soltanto un personaggio di fantasia, ma quando Alfredo diventiamo noi, le cose sono destinate a cambiare drasticamente.
    Però, giunti a quel punto, è tardi.
    Serve proprio aspettare così tanto?
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    6 - IL DIETRO LE QUINTE DEL PERICOLOSO BOOM

    1 italiano su 2 considera (a ragione) il trading online come un'attività molto rischiosa. 
    Al contempo però, 1 su 3 lo considera una fonte di facili guadagni.
    Una sorta di Eldorado insomma.
    Stiamo conoscendo oggi anche in Italia un vero e proprio boom di questi investimenti "fai da te".
    Sull’onda del tam tam legato alle criptovalute, e al fascino di alcuni titoli azionari capaci negli ultimi anni di performance stellari, il mondo della finanza sta seriamente rischiando di diventare una sorta di colossale gioco e la concorrenza, in tutto questo, è aumentata, perché spesso, quando la torta da spartire diventa golosa, le pratiche commerciali rischiano di superare il limite.

    Gli avvertimenti lanciati a tutela dei consumatori si moltiplicano da parte delle autorità preposte, anche se i controlli sui broker online sono limitati dalle sovrapposizioni normative, che interferiscono le une con le altre, come spesso capita nella babele legislativa italiana.
    Da una parte c’è il macro-tema generale della tutela degli utenti e dei servizi, vigilato dall’Autorità Garante della Concorrenza (AGCM), dall’altra troviamo la normativa specifica del mondo finanziario appannaggio della Consob.
    Da qui nasce il problema di chi sia effettivamente chiamato ad intervenire, e negli anni i rimpalli sono stati continui tra le due authority.  
    Ecco che, invece di creare maggior protezione, si allargano le maglie dei controlli, lasciando fin troppo campo libero agli smaliziati operatori del settore.

    Il successo del trading online ha portato ad un vero e proprio bombardamento pubblicitario sul web e in tv. 
    Capita spesso anche a me di vedere reclamizzati servizi di compravendita titoli a commissioni zero, salvo poi notare, per chi è più attento, un piccolo asterisco rivelatore di oneri nascosti.
    Formalmente tutto potrebbe apparire corretto, ma siamo in realtà sul filo, perché i principi di trasparenza e correttezza, nei confronti dell’utente finale, sono messi seriamente in discussione.
    E’ importante, allora, prestare particolare attenzione per non rimanere scottati.
    O quanto meno per non illudersi di poter incassare facili e ingenti guadagni. 

    La domanda dovrebbe sorgere anche a te spontanea: è veramente possibile offrire servizi di investimenti aggratis?
    Dove vanno a guadagnare queste imprese che mettono la propria operatività al servizio degli investitori?
    Cercherò di farti comprendere come veramente girano le cose in questo mondo nella mia prossima 7in7, approfondendo il modus operandi di 3 famosi intermediari online “a costo zero”, molto presenti anche nel nostro Paese: Degiro, eToro e Bitpanda. 
    Ti anticipo però fin d’ora alcune dritte importanti: 
    - verificare sempre la presenza di oneri diversi, posti magari sotto la voce di “fee di gestione” o “fee verso terze parti”;
    - prestare particolare attenzione ad operare in titoli su valuta estera, in quanto il cambio valutario ben si presta a ritocchi impliciti a favore dell’intermediario operante;
    - accertarsi che il broker eventualmente prescelto sia anche sostituto d’imposta, ovvero che si occupi di liquidare le imposte sui guadagni, quando dovute.
    In caso contrario sarà l’investitore stesso a dover dichiarare al fisco ogni singola operazione di compravendita, attraverso la dichiarazione dei redditi.
    E fidati, non è una passeggiata.

    Ci si rilegge l’11 Marzo!
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    7 - UNA SPINTA A LUNGO TERMINE

    I fondi europei del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) rappresentano una grande occasione per il settore delle infrastrutture, le quali, a loro volta, rappresentano un traino importante per l'economia del paese e per i mercati finanziari.
    Il tema naturalmente non coinvolge solo l'Italia, ma da noi la necessità di rinnovare e progredire in questo settore è particolarmente pressante, dopo anni e anni di immobilismo e mancato rinnovamento.

    Le infrastrutture, oltre alle classiche strade, autostrade, ponti, porti e aeroporti, sono presenti in moltissimi ambiti che interessano cambiamenti epocali: la gestione dei rifiuti, le strutture sanitarie, l'urbanizzazione, le comunicazioni (qui basti pensare all'avvento della rete 5G).
    La spinta nella domanda di infrastrutture è strettamente legata alla crescita dei valori borsistici dei titoli delle società quotate. 
    Si tratta di un investimento paziente, che guarda oltre le resistenze offerte nel breve periodo quali, ad esempio, l'inflazione, che incide sui titoli sensibili al rialzo dei prezzi, come molte aziende operanti nel settore delle utilities
    Le società operanti nell'ambito delle infrastrutture sono generalmente caratterizzate da flussi di cassa prevedibili e di lunga durata, e i loro ricavi sono per lo più anticiclici, ovvero slegati dal ciclo economico e poco sensibili alla volatilità dei mercati.
    Questo perchè, a prescindere dalla congiuntura economica, i servizi di base vengono sempre utilizzati: le merci transitano sulle reti di trasporto, le auto si spostano, i rifiuti vanno gestiti, i servizi ospedalieri vanno erogati, e ciò accade sia in momenti di crescita che in momenti di crisi, anche se naturalmente in misura diversa, ma mai azzerata. 
    Le società di infrastrutture quotate in borsa, beneficiano inoltre di solidi trend di lungo termine, grazie anche a fattori di supporto tematici, quali le energie rinnovabili, i trasporti di nuova generazione e la connettività digitale, che rimarranno centrali per i futuri decenni.

    Molti listini azionari includono utilities, operatori di autostrade ed aeroporti.
    Negli Stati Uniti troviamo più ampia scelta in settori diversi, come quello ferroviario, quello delle reti energetiche, quello delle torri di comunicazione e dei data center.
    Questo anche perché le società americane operano in un contesto di regolamenti e fiscalità molto favorevoli.
    La scelta delle società più stabili e promettenti di crescita non è affar semplice. 
    Azimut è operativa in questo importante settore con il fondo specializzato Az Equity - Global Infrastructure, concentrato sull'infrastruttura tradizionale, esposta agli asset reali quali autostrade, aeroporti, utilities, torri di telecomunicazione.
    Il tema ESG, ovvero della sostenibilità e transizione energetica ed ecologica, è strutturalmente presente, senza tralasciare il business legato alle società midstream, ovvero quelle realtà che producono e gestiscono condotti per gas e petrolio. 
    L'equilibrio tra classiche fonti di energia e nuove prospettive ecologiche, dal punto di vista del profitto di un investimento, è delicato e va gestito con la dovuta professionalità.
    E naturalmente è solo uno dei tanti aspetti da valutare e rivalutare costantemente nel tempo, attraverso una gestione attiva del fondo, puntualmente messa in campo dai nostri gestori. 
    Sono allora, come sempre, ben volentieri a tua disposizione se vorrai approfondire questo importante tema di investimento.
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    Nei giorni scorsi, in merito all'inflazione, ho letto queste righe all'interno di un settimanale economico.
    Le trovo molto centrate e interessanti.
    Per questo desidero condividerle con te in chiusura della mia newsletter.

    "Oggi noi siamo disabituati a pensare in termini di inflazione.
    E lo sono a maggior ragione coloro che sono nativi digitali.
    Siamo da anni cittadini di un mondo low cost, una filosofia di vita.
    Sono totalmente disabituati all'inflazione anche quegli imprenditori che si sono convinti per anni, nella globalizzazione che ha schiacciato e svilito i prezzi, ad avere sempre offerte al ribasso sulle forniture, al costo delle quali spesso è stata sacrificata qualità e fatica nella ricerca di innovazione.
    Anche i salari, almeno in Italia, si sono parallelamente impoveriti.
    Se non si dà valore al lavoro e non si accetta di retribuirlo come merita, si finisce per illudersi che vi sia sempre qualcuno, magari immigrato, che lo possa fare con un salario più basso.
    Se ci spostiamo sui mercati finanziari, è difficile cambiare atteggiamento dopo anni di tassi reali negativi.
    Un investitore ha considerato spesso la liquidità alla pari di un'asset class, cioè come una sorta di modalità di investimento.
    Nel secolo scorso, i tassi reali sui titoli di Stato erano positivi, battevano cioè l'inflazione e non si poteva fare altrimenti, perché il risparmiatore non li avrebbe altrimenti sottoscritti.
    Oggi succede invece che i titoli di Stato offerti alla clientela sono quotati al di sotto della pari, e incorporano comunque una perdita certa che però non allarma.
    In sostanza, la prospettiva si è completamente rovesciata nel giro di poche settimane, ma noi fatichiamo a rendercene conto, o forse non vogliamo pensarci.
    Ed è questo il vero problema".

    Ne parlavo anche ieri con un cliente: il primo obiettivo dell'investimento è quello di proteggere il patrimonio dall'inflazione e dal caro vita.
    Se negli anni scorsi si poteva anche decidere di lasciare una parte dei propri risparmi in conto corrente, oggi si ha la certezza che la perdita derivante da questo comportamento sarebbe importante.
    Con questo, non ti voglio dire che devi buttarti a spron battuto sui mercati finanziari.
    Ci dev'essere sempre una strategia alla base, e ci dev'essere equilibrio e consapevolezza in quel che si fa.
    Ma lasciare troppa liquidità per troppo tempo in conto, no.
    Non te lo puoi più permettere.
    Parliamone!

    Ti auguro un sereno fine settimana.
    Un caro saluto,

    Davide