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www.davideberto.it2024-10-11
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    Affinché una qualsiasi attività di consulenza produca un risultato soddisfacente, la collaborazione del cliente non solo è auspicabile, ma semplicemente indispensabile.
    Senza informazioni dettagliate circa l'oggetto della consulenza, un professionista può, nella migliore delle ipotesi, fornire una buona risposta standardizzata.
    Ma non sarà mai nella condizione di offrire un servizio realmente personalizzato, unico e su misura.

    Ecco perché un Consulente che si rispetti non ha mai paura di chiedere, di approfondire, di "scavare" e di ritornare su qualsiasi punto ritenga utile per il raggiungimento dell'obiettivo finale del suo cliente.
    Detto questo, il contributo del cliente finisce nel momento in cui si passa dall'analisi alle soluzioni.
    Perché, su queste, l'unico con voce in capitolo è il Professionista.
    Il quale non accetta intromissioni, non accetta compromessi, non accetta suggerimenti.
    Si prende la responsabilità di individuare le più coerenti soluzioni con la situazione che si deve risolvere.
    E questo, che si tratti di prodotti o comportamenti, metodi o strategie.
    Le soluzioni le decide il Professionista, sia esso medico, commercialista, avvocato, o, come nel mio caso, consulente finanziario.
    Ognuno per il suo ambito di lavoro.
    Non lo dimenticare.

    Ti auguro una buona lettura!
  • 1 - LE BORSE CORRONO. MA L'ECONOMIA?

    E' ormai tramontato il tempo in cui la bontà di un'azienda si rifletteva pari pari nella sua quotazione in borsa. 
    Mondo finanziario e mondo reale divergono sempre di più.
    Mentre il secondo ancora arranca, il primo mostra una situazione rosea e a tratti quasi euforica. 
    Dalla crisi del 2008 in poi, infatti, il valore complessivo delle borse mondiali è cresciuto di oltre 70 miliardi di $, mentre il PIL mondiale, nello stesso periodo, ha segnato un aumento di 20 miliardi.
    I listini azionari sono cresciuti quindi 3,5 volte di più rispetto all'economia sottostante, e questo trend si è accentuato nell'anno della pandemia che ha rallentato l'espansione economica. 
    I massicci interventi delle banche centrali hanno contribuito ad accelerare la corsa degli asset finanziari. 
    L'immissione di enormi quantitativi di denaro liquido era infatti destinata, nelle intenzioni, a supportare l'economia reale, ma sembra essere invece confluita nei listini azionari.
    Missione fallita, allora?
    Non è così facile rispondere. 

    In paesi come gli Stati Uniti, l'effetto-ricchezza legato alla borsa è decisamente presente perchè gli americani, a differenza degli europei, investono molto.
    La crescita dei mercati aiuta le finanze delle famiglie, che con la maggior ricchezza consumano di più e sostengono l'economia reale (anche se più della metà delle azioni di Wall Street è in realtà in mano all'1% più ricco della popolazione...).
    Anche l'opportunità di ricchi dividendi spinge all'acquisto azionario, come già spiegato proprio all'interno di questa odierna newsletter.
    La loro distribuzione non viene tuttavia conteggiata direttamente nel PIL, pur essendo denaro sonante e spendibile.
    Ma non si riduce tutto ad un discorso di liquidità: con il fiorire dei cosiddetti "asset intangibili" sta aumentando il valore attribuito alla conoscenza, all'hi-tech, agli investimenti sostenibili.
    Tutto ciò mette in ombra le classiche produzioni industriali, e con esse anche la forza lavoro.
    La dura legge di Wall Street premia le aziende che di certo non svettano per numero di lavoratori impiegati, anzi.
    Ecco quindi un'altra possibile causa del sempre maggior divario fra borse ed economia reale. 

    Il dubbio sorge allora spontaneo: quando finiranno le politiche ultra accomodanti delle banche centrali, dovremo aspettarci un dramma finanziario? 
    Forse no, perché gli importanti stimoli fiscali in arrivo potranno attutire il colpo, aiutando l'espansione economica.
    Già sembrano esserci segnali frizzanti per il settore manufatturiero italiano, che dopo anni di sonnolenza sta vivendo una ripartenza e rinnovato interesse anche da parte di acquirenti internazionali.
    Senza contare che la riduzione della liquidità avverrà in tempi lunghi, rendendola quasi impercettibile. 
    Ecco allora che questo "new normal" diventerà, semplicemente, normal. 
  • 2 - LA TRASPARENZA SUI COSTI ARRIVA CON LA MIFID 2

    Nello svolgere il mio lavoro mi capita spesso di analizzare prodotti e investimenti venduti da altre realtà.
    Credimi, anche se sono del mestiere e sono, di conseguenza, abituato a destreggiarmi fra contratti e documenti vari, non sempre è facile capire i costi reali di alcuni prodotti, soprattutto di tipo assicurativo.
     
    Per dare uniformità a questo importante aspetto, la normativa europea Mifid 2 si è posta, da alcuni anni ormai, dalla parte dell'investitore, obbligando tutti gli intermediari finanziari a rendere espliciti e trasparenti i costi finali sostenuti dal cliente, attraverso una dettagliata comunicazione annuale. 
    Mifid 2 è in vigore già dal 2018, ma nei primi due anni molti players del settore hanno fatto di tutto per non rendere tangibili questi dati.
    Solo da quest'anno, dopo numerosi richiami del legislatore, banche e compagnie di investimento sembrano essersi adeguate. 
    Consob ha infatti chiesto di inviare ai clienti, entro il 30 Aprile, "informazioni corrette, chiare e non fuorvianti", e anche tu avrai già ricevuto tale comunicazione in merito ai tuoi investimenti in essere.
    Si può porre però ancora il problema della comprensibilità di tutto questo. 
    Alcuni intermediari hanno infatti colto l'occasione di questo invio massivo per inserire tra la documentazione anche informazioni commerciali, analisi dei mercati, informazioni sulla composizione e adeguatezza del portafoglio: tutta carta superflua, almeno in questa specifica occasione, che potrebbe confondere il cliente, e portarlo a non soffermarsi su ciò che più conta, ossia il rapporto fra i costi sostenuti e i benefici (o rendimenti) ottenuti nel corso del 2020.

    Dando un occhio al mercato italiano, si passa dalle sole 4 pagine di una primaria compagnia assicurativa italiana, alle 26 di una banca di stampo transalpino.
    L'eccesso di informazioni rischia, come detto, di far passare in secondo piano i dati più importanti, disincentivando la lettura.
    La tabella costi, invece, dovrebbe essere chiara e in bella evidenza, oltre che comparire nelle prime pagine del rendiconto.

    E tu, hai già fra le mani questo importante documento? 
    Ti invito a chiamarmi se lo vorrai comprendere al meglio, e ti anticipo già che nella prossima 7in7 parlerò ancora della Mifid 2, analizzando nel dettaglio quali costi devono essere inseriti e come vanno interpretati.
  • 3 - NO AL MARKET TIMING

    Troppo tardi per uscire, troppo presto per entrare.
    Ne parlo spesso e volentieri: l'emotività è un elemento dirompente nel muovere le scelte degli investimenti, ma altrettanto in grado di distruggere valore.
      
    Diversi studi misurano i costi del panico, e oltre il 70% delle perdite accumulate dagli investitori dell'S&P500 negli ultimi 35 anni, dipende da 10 periodi di crolli molto brevi (limitati a un mese) poi recuperati nell'85% dei casi in 3 mesi, e nel 93% entro un anno.
    Il panic selling (vendite di investimenti in seguito al panico) successivo alle recenti epidemie (non pandemie in quanto geograficamente limitate) è costato caro agli investitori in fuga.
    Il dati si riferiscono sempre al più importante indice azionario oggi al mondo, l'americano S&P500: alla Sars, esplosa nell'Aprile 2003, l'indice ha risposto in 6 mesi con una performance del 15%, e del 22% in un anno; l'influenza suina dell'Aprile 2009 ha invece visto il mercato salire del 20% in 6 mesi, e di quasi il 39% in un anno.

    Scappare allora dal mercato nel momento peggiore di una crisi, non fa solo incassare una perdita certa, ma impedisce di approfittare del rimbalzo successivo.
    E questo vale per tutte le crisi.
    Secondo una recente ricerca realizzata dalla società indipendente Dalbar, un investitore medio azionario USA ha perso, negli ultimi 30 anni, circa la metà del guadagno potenziale.
    A fronte infatti di un rendimento annualizzato, sempre dell'S&P500, del 9,96%, Dalbar stima che in media l'investitore ha incassato poco più del 5%.
    Questo perché i rendimenti veramente importanti sui mercati si fanno spesso in pochi giorni, e se non si rimane investiti nel tempo si aumentano soltanto le probabilità di perdersi i giorni migliori.
    Un investitore che avesse mancato i 2 migliori giorni ogni anno, in un periodo di 20 anni, sarebbe passato da un rendimento annualizzato positivo di oltre il 6% a uno negativo per quasi il 4%.
    E basterebbe escludere le 20 migliori sedute di Wall Street tra il 2000 e il 2019, per annullare tutte le performance che si sarebbero invece realizzate restando sempre investiti.
    Lo avresti mai detto?

    Entrare e uscire di continuo dai mercati, ovvero fare market timing, aumenta dunque soltanto le possibilità di perdersi i giorni migliori.
    Cercare di cogliere i momenti migliori per cavalcare, ad esempio, una fase rialzista e poi capitalizzare i guadagni, tende a distruggere valore.
    La tempistica con cui si effettua un investimento può avere un impatto significativo sui risultati conseguiti.
    Come uscire allora dal giogo dell'emotività e dalla tentazione del market timing?
    Con il metodo!
    Spalmare il proprio investimento nel tempo, attraverso magari un Piano di Accumulo, riduce fortemente il rischio di incappare in un punto di ingresso sfavorevole.
    I PAC consentono quindi di rendere più rigoroso l'approccio agli investimenti perché si basano su versamenti periodici, con un orizzonte di tempo solitamente determinato. 

    Il market timing va pertanto lasciato ai gestori.
    Sono loro i veri professionisti del settore, e dedicano tutte le proprie risorse e il proprio tempo a cogliere l'attimo giusto in entrata e in uscita dai titoli sotto osservazione.
  • 4 - FOCUS SUL DEBITO ITALIANO

    Il debito pubblico italiano continua inevitabilmente a segnare nuovi record.
    Secondo i dati Bankitalia, nel mese di Marzo è infatti lievitato a 2.651 miliardi di €, con un aumento di quasi 7 miliardi rispetto al mese precedente.
    43.000 € a testa, bambini compresi, molto più del reddito medio annuo degli italiani.
    La quota principale di questa montagna, 2.284 miliardi, è costituita da titoli di Stato: Bot, Btp, Cct e così via.
    Eppure il mercato sembra non mostrare alcuna preoccupazione in merito.
    Era molto più teso anni fa, quando il debito era più basso e lo spread Btp-Bund molto, molto più alto.
    Ma perché questo?
    Tante sono le risposte a questa domanda, ma una svetta su tutte: 1/4 di questo debito è oggi in mano alla BCE.
    E a Marzo 2022, nella pancia della Banca Centrale, ci saranno fino a 800 miliardi di titoli di Stato italiani.
    Debiti che esistono e dovranno essere rimborsati, ma nei fatti "sterilizzati".

    Attualmente la BCE detiene 157 miliardi di titoli italiani comprati tramite il programma pandemico Pepp, e altri 425 miliardi rastrellati tramite il programma Pspp, il vecchio quantitative easing di Draghi tutt'ora in corso.
    Questo significa che dei 2.284 miliardi di € di titoli di Stato italiani esistenti, la BCE ne detiene attualmente per 582 miliardi.
    Non certo briciole.
    Ma i programmi di acquisti della Banca Centrale non sono finiti, perché si calcola che a Marzo 2022 avrà a bilancio fino a 750-800 miliardi di titoli rappresentativi del nostro debito pubblico.

    Una parte sempre maggiore di debito sarà, presso i forzieri della BCE (o meglio della Banca d'Italia), allora al sicuro da speculazione e volatilità.
    La BCE girerà anche al tesoro italiano gli interessi su una quota sempre maggiore di debito pubblico.
    Perché proprio questo accade ai Btp in mano a BCE-Bankitalia: gli interessi pagati dallo Stato vengono quasi interamente ridati allo Stato stesso sotto forma di dividendi.
    Una partita di giro insomma, che rende il debito un pò più sostenibile di quanto non appaia a prima vista.
    Ci sono poi l'effetto Recovery Fund e i tassi a zero ad aiutare ulteriormente.
    Ecco perché il debito sale, ma il mercato sembra non preoccuparsene.
    Attenzione però: nulla è infinito.
    Nel 2020, ben 7 paesi al mondo sono finiti in bancarotta, e il nostro rating (BBB-) è ad un passo da quello che viene considerato dalle agenzie come debito junk (spazzatura).
    Certo, con l'arrivo di Draghi al governo i giudizi verso l'Italia sono risultati più clementi, ma ricordo che lo stesso Draghi, qualche settimana fa, disse "questo è un anno in cui non si chiedono soldi, si danno soldi. Non si deve guardare al debito in questo momento, anche se quel momento verrà. Tutti i paesi europei stanno inevitabilmente aumentando il loro debito in questo contesto di recessione".

    Alla luce di questi dati preoccupanti, stupisce che un partito chieda uno scostamento di bilancio di 20 miliardi al mese come fossero noccioline, un altro ne chiede almeno 80 e quelli che si fanno intervistare ne chiedano tanti per famiglie, imprese, partite Iva e bisognosi.
    I debiti vanno onorati, e per forza di cose impatteranno sulle future pensioni, sulla sanità, e su tutto ciò che il pubblico sempre meno potrà garantire e riconoscere a noi cittadini in futuro.
  • 5 - 5 MOTIVI PER CUI NON E' PENSABILE OGGI NON INVESTIRE IN ASIA

    C'è poco da fare, da quest'area sempre più verrà la crescita economica del mondo intero.
    Il baricentro si sta spostando e se, fino ad oggi, un portafoglio di investimento guardava per buona parte agli Stati Uniti, soprattutto nella sua composizione e allocazione azionaria, sempre più occorrerà dare spazio in futuro all'area asiatica.
    Oggi allora non è pensabile non investire in Asia, il perché lo puoi anche comprendere leggendo questi 5 motivi.

    1 - UN CENTRO DI POTERE POST-PANDEMIA
    Alla luce delle riforme strutturali e della pazzesca crescita della classe media, sarebbe un grave errore ignorare oggi, in ambito finanziario, l'area asiatica.
    Pensa che entro il 2030, si stima una classe media globale composta da 5,3 miliardi di persone.
    2/3 di queste persone saranno asiatici, con Cina ed India che, da sole, rappresenteranno il 45% della popolazione mondiale di classe media.
    L'aumento della ricchezza e il passaggio del livello di reddito della regione da basso a medio, trainerà i consumi interni presentando così interessanti opportunità agli investitori.
    Con l'aumento del reddito, cresceranno di pari passo i risparmi e le spese verso beni e servizi discrezionali (tempo libero, lusso, sanità, prodotti finanziari e servizi educativi).
    Un anno dopo il Covid-19, l'attività economica in tutta la regione asiatica è tornata in gran parte ai precedenti livelli, e l'Asia uscirà dalla crisi nettamente più forte e con una posizione più influente sulla scena mondiale.

    2 - UNA REGIONE ANCORA POCO CONSIDERATA MA CON FORTI PROSPETTIVE DI CRESCITA
    Si prevede che l'Asia emergente (Cina e India incluse) contribuirà a più della metà del PIL globale entro il 2045.
    Numeri incredibili, che permetteranno presto a quest'area di raggiungere i dati economici dei paesi sviluppati.
    Nonostante tutto questo, la regione è ancora molto soppesata negli indici azionari e obbligazionari mondiali.
    Sebbene l'Asia emergente rappresenti oggi circa il 24% dell'economia e degli utili societari mondiali, essa contribuisce solamente al 10% dell'indice dei mercati azionari globali, e solamente al 3% dell'indice obbligazionario.
    Ma i recenti accordi commerciali firmati nella regione, la migliore gestione della pandemia, e l'aumento della produttività, porteranno importanti benefici a chi investirà con un'ottica di medio-lungo periodo nell'area.

    3 - LA SUPREMAZIA TECNOLOGICA
    La Cina sta rapidamente avanzando sul fronte dell'innovazione tecnologica, e sta riducendo, al tempo stesso, il divario con gli Stati Uniti in termini di spesa per ricerca e sviluppo.
    Il recente piano quinquennale cinese ha definito le ambizioni in termini di leadership tecnologica e di autosufficienza, concentrandosi sull'investimento in nuove infrastrutture e mantenendo al contempo un settore manifatturiero competitivo.
    Al di fuori della Cina, paesi come India e Corea del Sud hanno dimostrato la loro superiorità in settori come la produzione di semiconduttori, big data, cloud computing, robotica e intelligenza artificiale.
    Per gli investitori, questo nuovo ordine mondiale presenterà nuove sfide.
    Servirà saper guardare lontano, allargare la ricerca oltre le aziende conosciute (e sempre più costose) della Silicon Valley, e allocare maggiori quote di capitale in aziende in rapida crescita attive in regioni calde, come appunto quella asiatica.

    4 - ATTENZIONE VERSO L'AMBIENTE E LA TRANSIZIONE ENERGETICA
    La quota cinese di energie rinnovabili, dall'inizio del secolo, è salita quasi ai livelli dei mercati sviluppati.
    La "rivoluzione verde" è in corso e la Cina si è impegnata a diventare carbon neutral entro il 2060, con conseguenti importanti investimenti in infrastrutture di energia rinnovabile e miglioramenti tecnologici.
    La Corea del Sud, con il suo nuovo Green Deal, prevede addirittura di anticipare la Cina di una decina d'anni.
    Gli investimenti in materia stanno crescendo tantissimo nella regione.

    5 - VALUTE SOTTOVALUTATE
    Le valute asiatiche appaiono oggi straordinariamente convenienti.
    Tra tutte spicca il renminbi cinese (RMB), sottovalutato, si stima, del 16% rispetto al dollaro USA.
    Il mercato obbligazionario cinese potrebbe, di conseguenza, rappresentare una buona opportunità di investimento: è l'unico grande mercato nel quale si prevede un calo dei rendimenti obbligazionari nei prossimi anni e la riduzione dello spread rispetto ai Treasury (titoli di Stato) americani dal livello attuale.

    Con tutto questo, non intendo assolutamente dire che ci si deve buttare a capofitto in investimenti asiatici.
    Ogni cosa deve infatti essere sempre ben ponderata e pesata all'interno di un congruo portafoglio d'investimento.
    Certo che, come dice anche il titolo della notizia, non pensare all'Asia oggi nell'ambito degli investimenti finanziari sarebbe un errore imperdonabile.
  • 6 - IL TRIMESTRE D'ORO DEL TECH MADE IN USA

    Sono ormai conosciute come i fantastici 6.
    Parlo di Apple, Google, Microsoft, Amazon, Facebook e Netflix.
    Nomi assolutamente familiari anche per noi, quelli dei giganti hi-tech americani che nell'ultimo anno, nonostante la pandemia (anzi, proprio grazie alla pandemia!), hanno saputo raddoppiare sia la loro capitalizzazione in Borsa, sia gli utili pagati agli azionisti. 
    E' pari a ben 76 miliardi di dollari, infatti, la ricchezza distribuita dopo i primi 3 mesi del 2021, a fronte dei 37 miliardi del Marzo 2020.

    La crisi economico-sanitaria ha infatti creato nuove necessità in ambito digitale e informatico, e le soluzioni proposte dalle 6 aziende top non hanno tardato ad arrivare, ognuna con le proprie peculiarità. 
    Un fattore comune a (quasi) tutte è stato lo sviluppo del settore cloud computing, quella tecnologia che consente di usufruire, tramite server remoti, di memorie di massa per l'archiviazione sicura di dati, spesso in abbonamento.

    Apple ha raddoppiato il suo utile grazie a alla vendita dei suoi storici iPhone, Ipad e IMac, senza tuttavia trascurare il settore servizi e abbonamenti, staccandosi quindi dai beni fisici e tangibili per avvicinarsi al mondo online.

    Microsoft ha seguito una strada simile, incrementando le vendite dei pacchetti Office e Windows ma affiancando ad essi dei servizi cloud in abbonamento, settore in cui Google è già ben piazzata da tempo e che è notevolmente cresciuto in tempo di pandemia, permettendole così di svincolarsi dai profitti pubblicitari, un fattore positivo per la stabilità degli incassi nel tempo.
     
    Facebook, pur raddoppiando anch'essa utili e ricavi, rimane invece molto legata agli introiti da spot, ed è questo un rischio da non sottovalutare.
    Basti pensare che l'ultimo aggiornamento di Ios per Iphone, ad esempio, di fatto impedisce di tracciare l'utilizzatore e le sue preferenze, rendendo quindi inapplicabile il marketing su misura.

    Netflix ha conosciuto un modesto +13,6% nella crescita degli abbonati e, anche se i ritmi del 2020 erano impossibili da replicare, è evidente come le preferenze degli utenti si siano rivolte ad altre piattaforme streaming che offrono molti altri servizi, oltre alla mera visione di film e serie tv.

    Anche Amazon sta cercando di sfondare in questo settore, attraverso l'abbonamento "Prime" che include spedizioni gratuite, ma anche contenuti video e audio e, nuovamente, l'archiviazione remota dei dati degli abbonati.
    Gli sforzi sono stati premiati, con l'utile netto più che triplicato in un anno. 

    Lo stacco di dividendi così ricchi da parte di questi colossi contribuisce alla crescita dei listini azionari, poiché invoglia ad optare proprio per i titoli azionari, in uno scenario di tassi ancora bassi per quanto invece riguarda l'ambito obbligazionario.
    Fra 30 anni o meno, allora, vedremo ancora i nomi dei "fantastici 6" in vetta a Wall Street
    Guardando alla storia, non è certo detto.
    Pensa che nel 1991 le più grandi e importanti aziende al mondo erano di stampo bancario ed erano giapponesi.
    Il mondo cambia in fretta, ed ora nessuna di loro si trova più ai vertici. 

    Diversificare è allora fondamentale.
    Sia per colossi come Facebook e Netflix che, per quanto grandi, non possono dipendere da un'unica fonte di ricavi, sia per te che investi.
    Sempre con criterio!

  • 7 - LA GEOPOLITICA DEI CHIP E L'ECCESSIVA DIPENDENZA DALLA FABBRICA ASIATICA

    Nelle scorse settimane mi sono ritrovato a leggere un interessante articolo che spiegava che in ogni auto elettrica ci sono ben 3.000 microchip.
    Circuiti integrati che permettono ai dispositivi elettronici di processare, immagazzinare e trasmettere dati.
    Nel 2019 il settore dell'automotive ha speso 43 miliardi in microchip.
    Senza microchip sarebbe impossibile costruire auto da 50.000 $.
    Ma più in generale, in un mondo che sta cavalcando la trasformazione digitale dominata dalle reti 5G, dall'intelligenza artificiale e dall'internet of things, questi chip stanno acquistando sempre più importanza in tanti settori, al punto che stati e industrie fanno a gara per accaparrarseli e controllarne l'intera catena del valore.

    Ma quale paese sforna, più di ogni altro al mondo, questi semiconduttori sempre più necessari a far girare l'intero pianeta?
    Taiwan.
    L'isola ribelle che Pechino vorrebbe riportare all'ovile, produce oggi il 92% dei chip più avanzati al mondo, necessari nella produzione di auto elettriche, smartphones, prodotti per la casa, videogiochi, bitcoin, componenti strategici di sofisticati aerei militari, per lo sviluppo di intelligenza artificiale, supercomputer e data center, per i sistemi di difesa e dell'aerospazio.
    Pensa che dei piccolissimi chip possono contribuire alla modellazione delle traiettorie dei missili e alla guida dei droni da combattimento.
    Parliamo di sicurezza nazionale.

    Il restante 8% della produzione mondiale spetta oggi alla Corea del Sud.
    In Asia, TMSC (Taiwan Semiconductor Manufactoring Company) non ha rivali nel 70% dei prodotti top del mercato.
    Una leadership tecnologica che si traduce in un ampio spettro di clienti: da iPhone alle consolle di gioco Sony, ai cloud center di Google, fino alle case automobilistiche come Ford o Honda e i jet da combattimento F-35.
    La necessità di sviluppare chip sempre più potenti, ha spinto la TSMC a investire 20 miliardi di $ per la costruzione di una nuova fabbrica, grande come 22 campi da calcio per il 2022-2024.

    Tutto questo è considerato da più parti come l'oro dei nostri tempi, la commodity chiave per i prossimi dieci anni, quella che promette in borsa i più lauti profitti.
    Dal 2016 il settore ha quintuplicato il fatturato a 5 trilioni di $.
    TMSC nel primo trimestre 2021 ha guadagnato il 25% dell'intera posta.
    TMSC ha fatto gli straordinari, ma ora la carenza di semiconduttori è piuttosto grave e le linee produttive delle nuove vetture elettriche hanno subito forti rallentamenti.
    La mancanza di questi piccoli dispositivi ha condizionato anche le consegne dell'industria dell'elettronica di consumo, dai telefonini e pc, fino alle consolle dei videogiochi.
    Pensa che, per superare questo periodo di criticità, l'amministrazione di Joe Biden ha ripreso a fornire armi a Taiwan e, dopo aver annunciato investimenti per 50 miliardi di $, il presidente americano ha invitato a cena il CEO di TMSC, C.C.Wei.
    L'Europa ha invece da poco aperto a investimenti comuni sui semiconduttori made in Taiwan.
    Pechino, pur conscia dei propri limiti sui semiconduttori, è invece furibonda in merito a questa svolta americana.

    Controllare la produzione dei chip, soprattutto di quelli più avanzati, sarà determinante per vincere la corsa alla leadership tecnologica, anche sul piano militare.
    Oltre a TSMC, sai qual è l'altro big asiatico nel settore dei semiconduttori?
    Samsung Electronics, di cui, per altri motivi, ti parlerò nella mia prossima 7in7.
  • Nel prossimo numero della mia 7in7, quello di Venerdì 11 Giugno, ti racconterò di come tendenzialmente investono oggi i giovani, ti parlerò ancora di Mifid 2, e ti spiegherò anche chi sta alla regia di un fondo comune di investimento e veramente può permettersi di fare market timing, destreggiandosi tra i vari titoli sottostanti, con l'obiettivo di portare valore agli investitori.
    A tra due settimane allora.

    Ti auguro un sereno fine settimana!
    Un caro saluto.

    Davide