In Italia, a fine 2020, risultavano investiti nelle forme di previdenza complementare 196 miliardi di €.
Sono circa l'11% del PIL nazionale, un pò meglio di quanto fanno in Spagna (10%) e Germania (9%), ma ancora molto pochi al cospetto del 60% presente nella media dei Paesi OCSE, con punte dell'88% negli Stati Uniti, del 110% nel Regno Unito, del 141% in
Svizzera, e addirittura del 191% in Olanda.
La lentezza, la diffidenza e la resistenza con cui gli italiani si avvicinano ai Fondi Pensione è imputabile a diversi fattori, tra i quali rimane irremovibile la questione del vincolo: l'idea di accantonare una somma di denaro che, mediamente,
non verrebbe utilizzata per qualche decennio, mette i più nella condizione di spaventarsi e desistere.
D'altra parte, se si chiama "Fondo Pensione", quella è la funzione che dovrebbe andare a soddisfare questo particolare contenitore finanziario: integrare la futura pensione pubblica.
Ma il punto ora è un altro.
E' davvero così "incatenato" il versamento effettuato alle forme di previdenza complementare?
Sono veramente così stringenti i suoi vincoli?
Ripercorrendo assieme il perimetro normativo, alla luce anche dei più recenti interventi da parte del legislatore, emerge una tendenza esattamente contraria a quella percepita dalle persone: la flessibilità in uscita dai fondi pensione e le loro possibilità di riscatto (totale o parziale) sono via via aumentate nel tempo.
LE CLASSICHE ANTICIPAZIONI
Sin dalla sua entrata in vigore, il 1° Gennaio 2007, la legge ha definito in quali specifici casi è permesso metter mano al montante (capitale versato + interessi maturati) accumulato nel tempo.
Nel dettaglio le anticipazioni consentite sono 3:
1- Spese sanitarie per interventi straordinari riguardanti l'aderente, il coniuge o i figli, nella misura massima del 75% del montante, in qualsiasi momento si rendesse necessario;
2- Acquisto o ristrutturazione della prima casa dell'aderente piuttosto che per i figli, sempre nella misura massima del 75%, ma dopo 8 anni dall'adesione a una forma di previdenza complementare;
3- Esigenze ulteriori dell'iscritto, fino a un massimo del 30% del montante accumulato, come nel caso precedente dopo 8 anni di adesione.
Queste anticipazioni possono essere ripetute.
Qualora ci siano dunque i presupposti, l'iscritto a un Fondo Pensione può attingere più volte al montante anche per la stessa causale, a patto di non superare complessivamente il 75% del montante accumulato.
Questa precisazione si è resa necessaria con riferimento alla causale generica del 30%, per evitare che attraverso di essa si possa verificare un sostanziale svuotamento del montante.
ALTRE VIE D'USCITA
In determinate circostanze, l'aderente può attivare anche altri meccanismi di uscita anticipata dal Fondo Pensione.
Tralasciando i casi più estremi (morte o invalidità permanente), concentriamo la nostra attenzione su quanto è possibile fare nel caso in cui si presentino modifiche nella situazione lavorativa dell'iscritto.
Che succede al denaro accantonato se perdo il lavoro o decido di cambiarlo?
In caso di necessità, potrò contare su quei risparmi?
Sovente queste potenziali situazioni frenano la sottoscrizione di molti.
E' successo anche ad una mia cliente nel corso del 2020, che ha deciso di licenziarsi dal suo storico datore di lavoro per mettersi in proprio ed aprirsi un salone di parrucchiera.
Martina ha potuto metter mano a quanto accantonato negli anni nel suo Fondo Pensione, utilizzando così quell'importo per arredare il suo nuovo negozio.
Con decorrenza 2018, tutti gli aderenti a fondi negoziali, fondi pensione aperti e PIP, in caso di perdita del posto di lavoro potranno riscattare la loro posizione di previdenza integrativa fornendo al fondo la necessaria documentazione (dimissioni e
certificazione di iscrizione ai centri per l'impiego).
PER CONCLUDERE
La riforma entrata in vigore ormai 14 anni fa avrebbe dovuto incentivare un massiccio incremento di adesioni al pilastro integrativo, attraverso importanti agevolazioni fiscali da un lato, e flessibilità di uscita dall'altro.
Nonostante le misure intraprese, come abbiamo visto, purtroppo, i risultati non sono stati di certo esaltanti finora, e molta strada rimane da fare per considerare sviluppata la previdenza complementare nel nostro Paese.
In ogni caso, quel che è certo è che i vincoli, tanto temuti dai potenziali diffidenti sottoscrittori, nel corso del tempo sono stati alleggeriti piuttosto che inaspriti, quasi alla ricerca di un compromesso che, parlando di previdenza,
in realtà non ci dovrebbe essere.
Nel dare un nome ai soldi, ciò che si decide di infilare nel barattolo "pensione" dovrebbe essere, salvo reali situazioni di estrema necessità, inamovibile e intoccabile.
Se da un lato la libertà di poter liberamente disporre del proprio denaro è sacra e inviolabile, dall'altro lato una maggiore rigidità su questa specifica soluzione di investimento sarebbe opportuna, perché significherebbe fare per il cliente la cosa più giusta.
E sono certo che un giorno, quel cliente, per questo mi ringrazierà.
Tanto.