Dopo la crisi politica consumata di recente, al nuovo Governo italiano spetta l'ambizioso, nobile e pesantissimo compito di tirar fuori l'Italia da una crisi che, per profondità e tipologia, non ha eguali nella storia recente.
Le prossime settimane saranno a tal fine determinanti per dare una spinta decisiva, non solo sul fronte sanitario, ma anche sul fronte economico: si tratta infatti di preparare il piano di rilancio che consenta al sistema produttivo del Paese di rimettersi
in moto e di accelerare (almeno si spera) come mai prima.
Sul tema, il nocciolo della questione riguarda naturalmente le risorse europee del cosiddetto Recovery Fund, che rappresentano, dopo il MES ed il PEPP, l'ultimo tassello di un piano generale di sostegno a livello comunitario che non ha precedenti.
Con il Recovery Fund si fa riferimento ad uno specifico meccanismo di supporto economico e finanziario incluso nel Next Generation EU, un piano da 750 miliardi di € il cui accordo è stato raggiunto tra gli Stati membri nel Novembre 2020,
dopo non poche difficoltà dovute perlopiù alla distanza di vedute tra i paesi finanziariamente meno virtuosi (come anche la nostra stessa Italia) e i cosiddetti "frugali" del Nord Europa, che ha generato alla fine un risultato mai conseguito prima:
per la prima volta l'Unione Europea si dota di uno strumento realmente comunitario e condiviso, pensato per fronteggiare (e si spera superare) la crisi pandemica.
La missione di Next Generation EU è ben definita: sostenere gli Stati membri nel processo di riforme e investimenti, pubblici e privati, incentivando in particolare l'innovazione, l'ambiente e la digitalizzazione.
750 miliardi di € così suddivisi:
- 390 miliardi di sovvenzioni a "fondo perduto";
- 360 miliardi di prestiti da restituire entro il 2058.
Di questa enorme somma di denaro, l'Italia dovrebbe poter contare su circa 209 miliardi, ripartiti tra 81 a fondo perduto e 128 da restituire nel tempo.
La domanda, a questo punto, può sorgere spontanea: ma da dove arrivano tutti questi soldi?
La raccolta è quasi totalmente delegata al mercato, attraverso l'emissione di debito comunitario, il cui rimborso sarà spalmato sui futuri piani di bilancio, tra il 2028 e il 2058.
I singoli Stati saranno comunque chiamati a farsi carico di un contributo pari al 2% del proprio PIL.
Da quando è stato raggiunto l'accordo sul Recovery Fund, dilagano tra i più due assolute convinzioni.
La prima è quella per cui gli 81 miliardi a favore dell'Italia siano realmente a fondo perduto.
La seconda è quella invece per cui i 209 miliardi complessivi riservati al nostro Paese siano dei soldi dovuti.
Entrambe queste affermazioni meritano di essere chiarite.
Sul primo punto, è vero che è stato definito un importo di sovvenzioni spettanti a ciascuno Stato membro; tuttavia anche questi importi "a fondo perduto" rientrano nella somma complessiva che l'Europa dovrà restituire nel tempo ai creditori.
Anche l'Italia sarà pertanto chiamata a fare la sua parte in questo primo storico caso di mutualizzazione del debito comunitario, essendo tra i principali contribuenti dell'area Euro.
Sul secondo punto c'è invece una grande incomprensione di fondo.
L'ottenimento delle risorse passa dal cosiddetto Recovery Plan, o "piano nazionale di ripresa e resilienza", che l'Italia, come ogni Stato membro, deve presentare alla Commissione Europea.
La redazione di questo documento è molto complessa, tecnica e analitica.
Per incentivare il miglior utilizzo possibile di queste enormi risorse da parte dei vari Stati membri, infatti, il Consiglio Europeo ha stabilito regole e condizionalità molto severe, a carico di tutti i Paesi beneficiari.
Il Recovery Plan prevede quindi che vengano individuati dei precisi investimenti da realizzare grazie ai trasferimenti europei: non obiettivi generici e ridondanti, ma opere specifiche di natura strategica e strutturale.
Da questo documento la Commissione vuole conoscere il valore aggiunto di quanto va a finanziare, per poterlo misurare e soprattutto verificare in corso d'opera.
Non giungeranno allora dei soldi "a pioggia", perché in assenza di un piano redatto in modo meticoloso non ci sarà alcun sostegno finanziario da parte dell'Europa.
Se mal presentato, non solo il Recovery Plan rischia di essere inutile, ma addirittura dannoso, in quanto, laddove non dovessero essere rispettati i target di efficienza evidenziati dalla relazione presentata, lo Stato membro rischierebbe di
soccombere sotto il peso del suo stesso debito, proprio perché non beneficerebbe di alcun aiuto da parte del Recovery Fund.
L'Unione Europea ha palesato nella sua storia recente molti limiti e inefficienze che, a distanza di quasi 30 anni dalla sua nascita, ne hanno rallentato la crescita.
La qualità e la quantità dei supporti stanziati dallo scoppio della pandemia, sono tuttavia un fatto oggettivo e per molti aspetti sorprendente.
Per questo sforzo, per la straordinarietà della situazione che stiamo attraversando, e anche per onorare il nome che porta questo poderoso sistema che è stato costruito (Next Generation EU), sarà determinante che tutto questo non venga vanificato.
E' questa la partita che bisognerà portare a termine con successo, per non caricare le prossime generazioni di un ulteriore, pesante fardello.