Menu
www.davideberto.it2024-10-11
  • LA CACCIA ALL'ISIN
    Troppo spesso l'attività d'investimento si riduce alla semplice ricerca dell'ISIN o dello strumento vincente.
    Gli ETF, o i Fondi Comuni di investimento, sono "buoni" per gli investitori?
    Ma quali investitori?
    Ma quali ETF o Fondi Comuni?
    Che cosa significa poi "buono"?
    Investire è un processo, un metodo che vede la selezione dell'ISIN e del prodotto soltanto come l'ultima parte del progetto, come la finalizzazione dello stesso.
    L'ISIN della soluzione di investimento è la chiusura del cerchio, non il suo principio.
    Prima di metter giù i mattoni, occorre progettare la casa, capire su quali basi fondarla e con che finalità.
    Si tende invece troppo spesso a partire dalla fine.
    "Ho scelto i fondi con il miglior rendimento passato..." (tratto da una storia vera).
    Come per le altre cose, anche per investire serve buon senso.
    Sfruttiamo allora la saggezza e la conoscenza a nostra disposizione, con l'aiuto di un valido professionista che la possa tradurre e portare a noi.
    Warren Buffett o Ray Dalio non si sono arricchiti cacciando ISIN, ma sviluppando un solido protocollo d'investimento.
    Sta a noi, allora, scegliere se affidarci a un bravo "architetto finanziario", oppure comprare i mattoni a nostro piacere e posarli, sperando poi che la casa resista al tempo e alle intemperie dei mercati.

    Ti auguro una buona lettura!
  • 1 - STABILISCI I TUOI OBIETTIVI E CERCA DI RIMANERVI FEDELE (2 di 2)

    Nella precedente 7Nin7M abbiamo visto i primi 3 passi per raggiungere i propri obiettivi in ambito economico-finanziario.
    Andiamo oggi allora a terminare il percorso con gli ultimi due step.

    4. Stabilire le priorità
    E' importante dare delle priorità ai propri obiettivi finanziari, numerandoli.
    Tutti, chiaramente, vorremmo che i desideri dessero forma alle priorità, ma bisogna tenere in considerazione ciò che ha senso dal punto di vista finanziario e che, di conseguenza, permetterà di ottenere il massimo rendimento dagli investimenti.
    La seguente scaletta funziona, ad esempio, in situazioni molto diverse:
    - Ripagare i debiti e avere un fondo di emergenza per gli imprevisti;
    - Risparmiare per la pensione;
    - Risparmiare per pagare l'istruzione ai propri figli;
    - Altri appropriati obiettivi a breve e medio termine.

    5. Rivedere regolarmente il proprio portafoglio di investimento
    La periodica revisione del portafoglio dà la possibilità di verificare che sia in linea con il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti.
    Se necessario, permette di riequilibrarlo in base anche al cambiamento del profilo di rischio e al tempo di raggiungimento dell'obiettivo, e di sostituire eventuali investimenti che stanno dando scarsi risultati.

    Ma che cosa accade se non hai invece la lista delle priorità?
    Il rischio è quello di gestire le proprie finanze senza alcuna regola, facendo passare il tempo e trovando magari un sacco di modi per spendere i propri soldi senza pertanto risparmiare ed investire.
    Manca, in sostanza, il focus.
    Può capitare così improvvisamente di dover cambiare l'auto.
    Se non abbiamo pianificato per obiettivi e per orizzonti temporali, potremmo trovarci a dover far fronte a questa necessità intaccando i risparmi idealmente destinati ad altro, all'università dei figli ad esempio, o alla pensione di scorta, sbilanciando di conseguenza i nostri progetti futuri.
    Così facendo, difficilmente si otterrà nel tempo ciò che veramente conta e si vuole raggiungere.

    Quantificando ogni tuo obiettivo finanziario, potresti realizzare che magari non sarà possibile raggiungerli tutti, ma per questo è meglio saperlo subito così da poter stabilire delle priorità.
    Ciascun obiettivo avrà allora un proprio specifico orizzonte temporale, che determinerà i tipi di investimenti da tenere.
    Una volta fissati gli obiettivi di base e quantificato il loro costo, monitorare i progressi compiuti è allora più importante di guardare come si comportano i singoli strumenti finanziari.
  • 2 - RECOVERY FUND: CAPIAMONE DI PIU'

    Dopo la crisi politica consumata di recente, al nuovo Governo italiano spetta l'ambizioso, nobile e pesantissimo compito di tirar fuori l'Italia da una crisi che, per profondità e tipologia, non ha eguali nella storia recente.
    Le prossime settimane saranno a tal fine determinanti per dare una spinta decisiva, non solo sul fronte sanitario, ma anche sul fronte economico: si tratta infatti di preparare il piano di rilancio che consenta al sistema produttivo del Paese di rimettersi in moto e di accelerare (almeno si spera) come mai prima.
    Sul tema, il nocciolo della questione riguarda naturalmente le risorse europee del cosiddetto Recovery Fund, che rappresentano, dopo il MES ed il PEPP, l'ultimo tassello di un piano generale di sostegno a livello comunitario che non ha precedenti.

    Con il Recovery Fund si fa riferimento ad uno specifico meccanismo di supporto economico e finanziario incluso nel Next Generation EU, un piano da 750 miliardi di € il cui accordo è stato raggiunto tra gli Stati membri nel Novembre 2020, dopo non poche difficoltà dovute perlopiù alla distanza di vedute tra i paesi finanziariamente meno virtuosi (come anche la nostra stessa Italia) e i cosiddetti "frugali" del Nord Europa, che ha generato alla fine un risultato mai conseguito prima: per la prima volta l'Unione Europea si dota di uno strumento realmente comunitario e condiviso, pensato per fronteggiare (e si spera superare) la crisi pandemica.
    La missione di Next Generation EU è ben definita: sostenere gli Stati membri nel processo di riforme e investimenti, pubblici e privati, incentivando in particolare l'innovazione, l'ambiente e la digitalizzazione.

    750 miliardi di € così suddivisi:
    - 390 miliardi di sovvenzioni a "fondo perduto";
    - 360 miliardi di prestiti da restituire entro il 2058.
    Di questa enorme somma di denaro, l'Italia dovrebbe poter contare su circa 209 miliardi, ripartiti tra 81 a fondo perduto e 128 da restituire nel tempo.

    La domanda, a questo punto, può sorgere spontanea: ma da dove arrivano tutti questi soldi?
    La raccolta è quasi totalmente delegata al mercato, attraverso l'emissione di debito comunitario, il cui rimborso sarà spalmato sui futuri piani di bilancio, tra il 2028 e il 2058.
    I singoli Stati saranno comunque chiamati a farsi carico di un contributo pari al 2% del proprio PIL.

    Da quando è stato raggiunto l'accordo sul Recovery Fund, dilagano tra i più due assolute convinzioni.
    La prima è quella per cui gli 81 miliardi a favore dell'Italia siano realmente a fondo perduto.
    La seconda è quella invece per cui i 209 miliardi complessivi riservati al nostro Paese siano dei soldi dovuti.
    Entrambe queste affermazioni meritano di essere chiarite.
    Sul primo punto, è vero che è stato definito un importo di sovvenzioni spettanti a ciascuno Stato membro; tuttavia anche questi importi "a fondo perduto" rientrano nella somma complessiva che l'Europa dovrà restituire nel tempo ai creditori.
    Anche l'Italia sarà pertanto chiamata a fare la sua parte in questo primo storico caso di mutualizzazione del debito comunitario, essendo tra i principali contribuenti dell'area Euro.
    Sul secondo punto c'è invece una grande incomprensione di fondo.
    L'ottenimento delle risorse passa dal cosiddetto Recovery Plan, o "piano nazionale di ripresa e resilienza", che l'Italia, come ogni Stato membro, deve presentare alla Commissione Europea.
    La redazione di questo documento è molto complessa, tecnica e analitica.
    Per incentivare il miglior utilizzo possibile di queste enormi risorse da parte dei vari Stati membri, infatti, il Consiglio Europeo ha stabilito regole e condizionalità molto severe, a carico di tutti i Paesi beneficiari.

    Il Recovery Plan prevede quindi che vengano individuati dei precisi investimenti da realizzare grazie ai trasferimenti europei: non obiettivi generici e ridondanti, ma opere specifiche di natura strategica e strutturale.
    Da questo documento la Commissione vuole conoscere il valore aggiunto di quanto va a finanziare, per poterlo misurare e soprattutto verificare in corso d'opera.
    Non giungeranno allora dei soldi "a pioggia", perché in assenza di un piano redatto in modo meticoloso non ci sarà alcun sostegno finanziario da parte dell'Europa.
    Se mal presentato, non solo il Recovery Plan rischia di essere inutile, ma addirittura dannoso, in quanto, laddove non dovessero essere rispettati i target di efficienza evidenziati dalla relazione presentata, lo Stato membro rischierebbe di soccombere sotto il peso del suo stesso debito, proprio perché non beneficerebbe di alcun aiuto da parte del Recovery Fund.

    L'Unione Europea ha palesato nella sua storia recente molti limiti e inefficienze che, a distanza di quasi 30 anni dalla sua nascita, ne hanno rallentato la crescita.
    La qualità e la quantità dei supporti stanziati dallo scoppio della pandemia, sono tuttavia un fatto oggettivo e per molti aspetti sorprendente.
    Per questo sforzo, per la straordinarietà della situazione che stiamo attraversando, e anche per onorare il nome che porta questo poderoso sistema che è stato costruito (Next Generation EU), sarà determinante che tutto questo non venga vanificato.
    E' questa la partita che bisognerà portare a termine con successo, per non caricare le prossime generazioni di un ulteriore, pesante fardello.
  • 3 - LA DURA LEGGE DEGLI INDICI

    Nello scorso numero della mia 7Nin7M ti ho spiegato che cosa sono e che cosa rappresentano i più importanti indici azionari del mondo.
    Oggi gli indici azionari sono in grado di esercitare un'enorme autorità in ambito finanziario, nonostante il loro giro d'affari sia tutto sommato "modesto", pari a 3,7 miliardi di $ nel 2019.
    Per fartelo meglio comprendere ti riporto il recente esempio di Tesla, che è rimasta fuori dall'indice S&P500 a Settembre 2020, pur avendo chiuso in utile 4 trimestri consecutivi.
    La decisione di S&P è stata inaspettata e ha deluso gli investitori, tanto che il titolo ha perso a Wall Street il 21% in un solo giorno nella peggior seduta della sua storia.
    Meno di tre mesi più tardi, lo stesso indice ha annunciato che Tesla sarebbe entrata nell'S&P500 a partire da Dicembre.
    Non è dato sapere il motivo dietro a questa improvvisa svolta, ma all'epoca del rifiuto neppure il (solitamente anarchico) fondatore di Tesla, il libero battitore Elon Musk, ha osato contestare il potere degli indici.
    Da allora l'azione ha guadagnato il 13% in Borsa.

    Negli ultimi anni l'influenza degli indici finanziari, non solo azionari, è aumentata di pari passo con la crescita esponenziale degli ETF e dei fondi che li replicano passivamente.
    Questi strumenti di investimento dispongono oggi di un patrimonio superiore ai 15 mila miliardi di $.
    Mentre nei fondi attivi è il gestore a selezionare i titoli su cui investire, nei fondi "replicanti" questa autonomia viene meno, visto che le scelte vengono interamente delegate a chi compone gli indici stessi.

    Le gestioni attive però non possono permettersi di ignorare gli indici, considerando che i loro risultati sono spesso messi a confronto: non a caso, i fondi descrivono ormai il proprio posizionamento su un titolo in termini di "sovrappeso", "sottopeso" e "neutrale" rispetto a un indice.
    Chi costruisce questi panieri ha quindi il potere di plasmare i mercati, determinando la sorte finanziaria di società e addirittura di interi paesi.
    L'ingresso di Tesla nello S&P500, significa che gli 11 mila miliardi di $ che replicano, o prendono a riferimento, il principale indice azionario di New York, dovranno d'ora in poi fare i conti con la casa californiana.
    Anche da qui arriva lo spettacolare rimbalzo del titolo in Borsa.
    Simmetricamente, l'esclusione, o ancor peggio il declassamento, può avere effetti dirompenti sui flussi di investimento verso un'azienda quotata o verso un intero paese.
    Nel 2015, ad esempio, il ministro delle finanza del Perù ha dovuto in fretta e furia volare a New York per convincere MSCI a non retrocedere il paese dall'indice dei mercati emergenti a quello dei mercati di frontiera, cosa che avrebbe comportato uscite per miliardi di dollari da titoli di Stato e azioni peruviane.
    Alla fine, il governo di Lima è riuscito ad evitare la squalifica, ma ha dovuto riformare la propria disciplina finanziaria per aumentare la liquidità del suo mercato.

    E' quindi chiaro che i fornitori di indici abbiano ormai una capacità enorme di influire sulla stabilità economico-finanziaria di un mercato, o addirittura di uno Stato.
    Un potere che sembra destinato ad aumentare nei prossimi anni, non solo per l'inarrestabile ascesa delle gestioni passive, ma anche a causa dell'onda degli investimenti sostenibili o ESG.
  • 4 - IL CROLLO DEL PIL 2020 SULLE FUTURE PENSIONI DEGLI ITALIANI

    Risale al 1995 la Riforma Dini, a stabilire che le pensioni degli italiani saranno via via sempre più legate ai contributi accumulati nel corso della carriera lavorativa, piuttosto che al valore delle ultime retribuzioni (passaggio graduale dal metodo retributivo al contributivo).
    I primi lavoratori che vedranno la loro pensione calcolata interamente col penalizzante metodo contributivo saranno quelli che andranno in pensione nel 2036.
    Non possiamo però attendere quel momento per toccare con mano quanto esigua sarà anche la nostra pensione pubblica: fortunatamente abbiamo già oggi le conoscenze e gli strumenti necessari per mettere al riparo il nostro futuro pensionistico.

    Forse non sai che i contributi versati all'INPS non restano fermi e dormienti, ma vengono "virtualmente" rivalutati dall'INPS stessa.
    Un pò come se fossero investiti.
    "Virtualmente" perché i nostri contributi vengono in realtà subito utilizzati per il pagamento delle pensioni degli attuali pensionati.
    Ma quale parametro di rivalutazione è stato scelto nel lontano 1995?
    Si poteva scegliere l'inflazione, in modo da agganciare la rivalutazione dei contributi all'aumento del costo della vita.
    Si volle però fare di più, agganciando il rendimento a quello del PIL, all'andamento negli anni dell'economia italiana.
    Una scelta a favore dei lavoratori in quegli anni, perché il PIL viaggiava a numeri ben più alti di quelli dell'inflazione.
    Guardando infatti ai 25 anni precedenti a quel 1995, ci si rese conto che c'erano stati solamente due anni di recessione: il 1975 (-2,1% il PIL), e il 1993 (-0,9%).
    Nessuno poteva ovviamente prevedere le crisi del 2008-2009, dove in un biennio l'economia del paese segnò un -6,6%, e quella del 2012-2013, dove si verificò un ulteriore -4,5%.
    La normativa prevede di usare la media del PIL dei cinque anni precedenti per attutire gli alti e i bassi, ma di fronte ai valori registrati in quegli anni non c'é media quinquennale che tenga: tra il 2010 e il 2017 i contributi previdenziali si sono rivalutati meno dell'inflazione.

    Se oggi la nostra economia soffre terribilmente la crisi da Covid-19, le nostre pensioni future saranno più basse.
    Di fronte al crollo della nostra economia nel 2020 (la Commissione Europea stima un -10%), si parla di cifre comprese tra i 20 e i 100 € netti al mese in meno.
    Crisi, mercato del lavoro in grossa difficoltà, calano le retribuzioni e gli occupati: caleranno pertanto anche le pensioni future.
    Questo rischio verrà corso in primo luogo dai pensionati del 2022, ma riguarderà successivamente a cascata tutti i lavoratori.
    Serve allora riflettere attentamente, risparmiare e versare nel proprio Fondo Pensione, sperando che nel frattempo la nostra economia possa ripartire quanto prima con slancio.
  • 5 - LE GIUSTE MOSSE (PER GUADAGNARE)

    Il 2020 dei mercati finanziari può essere certamente ricordato come un anno da manuale della finanza.
    Con i suoi improvvisi e drastici cambi di direzione (prima il crollo dei listini tra Febbraio e Marzo, poi il rally da record, e di nuovo su e giù) ha offerto lo scenario ideale per raccontare come, in balia delle emozioni e senza una guida, il risparmiatore rischi di scivolare pericolosamente sulla gestione dei propri investimenti.

    Chi fosse uscito dalle Borse a fine Marzo, spaventato dalla violenza della caduta, avrebbe incassato la perdita precludendosi l'opportunità di cavalcare il successivo recupero.
    Se poi avesse inseguito i saliscendi successivi, in cerca del momento propizio per rientrare nei mercati, sarebbe verosimilmente rimasto di nuovo scottato.
    Lo dice la storia dei mercati finanziari: analizzando l'andamento di Wall Street negli ultimi 148 anni, si è scoperto che la probabilità di incorrere in una perdita è molto alta se si resta investiti per troppo poco tempo.
    Si azzera invece su un orizzonte di riferimento di lungo periodo.
    La morale insegna allora di "lasciar lavorare" i mercati finanziari per ottenere risultati soddisfacenti.

    Alla stessa conclusione sono di recente arrivati anche gli economisti della London Business School, che hanno messo a confronto le performance di azioni e bond negli ultimi 120 anni.
    Tolta l'inflazione, i listini globali hanno reso in media il 5,2% l'anno, contro il 2% dei bond.
    Purtroppo le performance di mercato divergono spesso in modo sostanziale da quelle dei singoli investitori.
    La colpa è, quasi sempre, di alcune scorciatoie mentali che inducono in errore.

    Una delle inclinazioni più frequenti è quella che, ad esempio, porta a semplificare eccessivamente un argomento ritenuto complesso, com'è la finanza, rischiando però di tralasciare parti importanti dell'argomento stesso.
    Altre volte, invece, ci facciamo guidare da dei punti di riferimento che non sono necessariamente quelli più corretti.
    Il prezzo di acquisto di un investimento ad esempio: visto che vendere in perdita fa male, si può tendere a rimanere fermi troppo a lungo su delle posizioni in portafoglio, anche se queste non hanno più senso, solo perché speriamo che possano tornare in positivo.
    Oppure, ancora, c'è il classico "effetto gregge", che porta a seguire in massa i flussi di acquisto e di vendita.
    Analogamente, possiamo essere condizionati dal meccanismo delle "ancòre", ovvero dallo scenario di riferimento: se il contesto generale è negativo, anche come investitori siamo meno propensi al rischio.
    Le ancòre negative sono infatti molto più vischiose e persistenti rispetto a quelle positive.

    Per liberarsi da queste trappole mentali c'è un solo modo: essere disciplinati, stabilire le regole del proprio piano finanziario e seguirlo a prescindere dall'evoluzione delle condizioni di mercato, senza ragionare di "pancia".
    In tutto questo, il supporto e la professionalità di un preparato Consulente Finanziario possono certamente fare la differenza, aiutando ad analizzare i saliscendi dei mercati nella dovuta prospettiva.
  • 6 - L'EUROPA TRA RITARDI E OPPORTUNITA'

    L'indice azionario statunitense (S&P500) ha chiuso il 2020 con un rialzo superiore al 16%, mentre quello europeo (Stoxx600) in rosso del 4%.
    Tutto questo pur con una pandemia che ha provocato più contagi e morti in America, ma la recessione che ne è seguita è stata ben più violenta nel vecchio continente.

    Il peso complessivo delle borse europee rispetto a quelle mondiali è passato da oltre il 30% del 2000 all'attuale 17%.
    Ovvio, si dirà, poiché la grande crescita dei mercati emergenti e della Cina in particolare l'ha fatta da padrone.
    Ma l'Europa è arretrata parecchio anche rispetto agli Stati Uniti, con un divario divenuto abissale nel settore tecnologico, che assieme a quello della telefonia vale circa il 10% dell'indice azionario europeo Stoxx, poco variato rispetto a 20 anni fa, contro il 38% di quello americano, più che raddoppiato nel frattempo.
    Altro segno di questa arretratezza è che le prime 7 aziende tecnologiche americane spendono in ricerca e sviluppo tanto quanto Gran Bretagna, Francia e Spagna messe assieme.

    Non a caso, la caduta del PIL europeo (-7%) è stata doppia di quello americano (-3,5%), che ha fatto segnare il suo anno peggiore dalla grande depressione del 1946.
    Nel 2021, con la probabile (e sperata) contrazione dei contagi in seguito alla diffusione dei vaccini, dovremmo assistere a ben altro scenario, anche se il PIL dell'Area Euro dovrebbe crescere comunque meno di quello degli Stati Uniti.
    La dura realtà è che l'Europa negli ultimi 20 anni ha continuato a perdere terreno rispetto ad America e resto del mondo, e la tendenza è destinata a durare anche in futuro.

    Negli ultimi due decenni, infatti, il PIL europeo è cresciuto del 90%, quasi la metà di quello globale (160%), cosicché la sua quota nel mondo è scesa dal 30 al 22%.
    Una simile traiettoria l'hanno subita pure gli utili aziendali.
    Di certo, un'imperfetta Unione Europea economica e monetaria, un eccesso di regole e di burocrazia, rigide politiche fiscali, barriere culturali e linguistiche, hanno contribuito a frenare lo sviluppo e limitato la crescita delle grandi aziende tecnologiche.
    Ma ciò che probabilmente più ha contribuito a frenare la crescita del vecchio continente è il fattore demografico: a causa di un tasso di natalità più basso che altrove, il numero delle persone sopra i 65 anni supera nettamente quello dei giovani under 15.

    Forse, però, la nostra vecchia e cara Europa ha ancora qualche carta da giocare, a cominciare dal settore farmaceutico, pressoché il solo (assieme a quello del lusso) ad essere cresciuto e ad aver superato l'omologo comparto americano.
    In Europa i GRANS (Glaxo, Roche, AstraZeneca, Novartis e Sanofi) sono, in un certo senso, l'equivalente delle 7 regine tecnologiche statunitensi.
    Ma c'è dell'altro: l'Europa è all'avanguardia nelle aziende votate alla sostenibilità ambientale e sociale.
    Un settore destinato a un grande sviluppo nel prossimo ventennio.
    Anche l'Italia sembra si stia attivando maggiormente in quest'ambito, lo dimostra anche l'istituzione del nuovo Ministero della Transizione Ecologica all'interno del Governo Draghi.

    Nonostante le difficoltà accusate dall'Europa nel contesto globale, potrebbe allora essere un grave errore escluderla completamente dalla costruzione di un portafoglio d'investimento ben diversificato.
  • 7 - SALE LA FEBBRE

    E' ormai febbre da Bitcoin.
    Ma vorrei fare oggi un passo indietro e partire dalla sua storia.

    Creato 12 anni fa, il Bitcoin per molto tempo è rimasto una valuta digitale oscura ai più.
    Il primo vero sussulto del suo prezzo si registra nel 2013, quando sale alla ribalta della cronaca passando in poco tempo da 10 $ fino a toccare una cifra di poco superiore ai 1.000.
    Per anni poi esce fuori dai radar mediatici, fino a quando, nel 2017, esplode un rally violentissimo che spinge le quotazioni fino a un massimo di 19.000 $.
    La fiammata ben presto si sgonfia, e i valori arrivano a toccare un minimo intorno ai 3.000 alla fine del 2018.
    Nel 2020 il Bitcoin ha iniziato un'ulteriore folle escalation, che, dai 4.000 $ di Marzo, lo vede toccare i 30.000 a Gennaio, e lo spinge proprio in questi giorni a superare il muro psicologico dei 50.000 $ (51.690 oggi) con una performance dell'80% da inizio 2021.
    A Febbraio la spinta è venuta dalle dichiarazioni di Elon Musk, patron di Tesla ma anche creatore del conosciutissimo metodo di pagamento virtuale PayPal.
    Musk ha investito 1,5 miliardi nella criptovaluta più scambiata al mondo, e ha annunciato anche di voler accettare il Bitcoin come strumento di pagamento per le sue auto elettriche, nonché di volerlo inserire tra le valute accettate proprio su PayPal. 

    Oltre al Bitcoin, ci sono ormai quasi 8.000 diverse valute virtuali, anche se quelle che muovono i maggiori volumi sono attualmente al massimo una ventina.
    La capitalizzazione di mercato del Bitcoin è di circa 870 miliardi di $, mentre tutto il mondo delle criptovalute si attesta a circa 1.150 miliardi.
    Per mettere le cose in una giusta prospettiva, possiamo confrontarlo con l'oro che rappresenta 12.000 miliardi di $.
    Un pò come confrontare un lago con un grande mare.

    In molti, viste le quotazioni salite alle stelle, vorrebbero salire a bordo investendoci.
    Ma chiariamo subito un punto: il Bitcoin non è un'asset class, ma un investimento molto rischioso in quanto eccezionalmente volatile, e certamente non alla portata di tutti.
    Anch'io, nel mio piccolo, me ne sono sempre tenuto alla larga.
    Il Bitcoin è divenuto nel tempo un fenomeno sociale e di moda, sulla scia di un'affascinante storia tecnologica.
    Ma è una risorsa rischiosa in grado di attirare persone che sperano di arricchirsi rapidamente come comprando un biglietto della lotteria.
    Nemmeno può essere definita come una moneta alternativa, una sorta di oro digitale 2.0 come mezzo di scambio di beni e servizi, proprio perché troppo volatile.
    Più frequentemente è stata utilizzata come una valuta alternativa per attività fraudolente, in quanto sappiamo che il Bitcoin ha facilitato i trasferimenti finanziari verso la criminalità internazionale ed è molto utilizzato nel dark web.
    Ti consiglio allora di prendere con le dovute attenzioni tutto ciò che ruota attorno a questo particolare strumento.
  • Confido che questa Newsletter abbia incontrato il tuo interesse!

    Se ritieni che anche qualcuno tra i tuoi amici e conoscenti possa gradire queste mie pillole quindicinali, invitali ad iscriversi gratuitamente qui: Iscriviti alla Newsletter (davideberto.it)

    Noi ci rileggeremo Venerdì 5 Marzo, quando, tra le altre cose, approfondirò ancora il mondo degli investimenti nei mercati privati e daremo uno sguardo a come l'innovazione stia sempre più cambiando i mercati finanziari globali.

    Ti auguro un sereno fine settimana.
    Un caro saluto, 

    Davide