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www.davideberto.it2024-10-11
  • Negli ultimi giorni ho letto alcuni recenti dati Consob sul risparmio in Italia.
    Tra questi, ne condivido alcuni:
    - il 40% dei risparmiatori italiani prende decisioni sulle proprie finanze da solo;
    - un altro 40% si avvale di consigli di amici e parenti;
    - il restante 20% si rivolge a un professionista.

    Proviamo allora ad immaginare se gli italiani seguissero questa stessa metrica decisionale per curarsi.
    Pensa a cosa accadrebbe se il 40% si curasse in autonomia, un altro 40% scendesse di piano dal vicino a chiedere consigli in merito ai dolori che avverte, e solo il rimanente 20% andasse dal medico.
    Sarebbe probabilmente una strage, un'ecatombe.
    Un collasso del sistema sanitario dovuto, non solo a serie patologie come in questi mesi, ma anche a molte altre situazioni facilmente risolvibili se solo fossero state trattate per tempo e con competenza.
    Questo non avviene grazie al cielo, perché, al netto di una crescente, preoccupante, ma per fortuna residuale minoranza che assume una posizione antiscientifica, prevale il buon senso e il ruolo della medicina non è in discussione.
    In finanza, invece, tutto questo sta avvenendo.
    In modo certamente meno cruento, ma pur sempre, a mio avviso, inaccettabile.

    Questa abitudine a far da sé, quando appena il 25% degli italiani distingue il rischio tra obbligazioni e azioni, o di chiedere lumi all'amico perché paladino di onestà intellettuale, e solo in ultima istanza al professionista, è mio avviso sconvolgente.
    Questa abitudine sta uccidendo il risparmio in Italia.
    Lo uccide perché continua ad essere accumulato nel modo sbagliato, in liquidità.
    Lo uccide perché viene investito poco e male, senza tenere nella dovuta considerazione il fattore temporale.
    Lo uccide perché, anche quando ci si posiziona nel modo corretto, appena si accende la spia della volatilità, si perde la bussola e si agisce in preda a istinti primordiali e in totale assenza di lucidità.
    Lo uccide perché si chiede sempre dove mettere i soldi, e quasi mai come e per quale motivo investirli.

    Penso allora a quanto meglio potrebbe andare se solo si accendesse la stessa luce che governa la salute delle persone.
    Così attente a quella fisica, e così distratte, trasandate e diffidenti a quella finanziaria.
    E non ci sono giustificazioni che tengano, intendiamoci.
    Le delusioni, i cattivi consigli, i prodotti scadenti, sono sempre alibi per quanto presenti.
    Il medico scarso non fa la medicina scarsa!
    E' un vero peccato.
    Ma è anche per questo che vado avanti con passione e grande impegno a far questo lavoro di condivisione e divulgazione, consapevole del valore che può generare.

    Ti auguro una piacevole lettura!
  • 1 - ALLA RICERCA DELL'IBRIDO

    La caccia al rendimento rischia di generare mostri camuffati da opportunità.
    Oppure magari le opportunità ci sono davvero, a patto di saperle pesare adeguatamente in relazione al rischio.
    Del resto, solo in un mondo di tassi negativi e di Btp a cedola zero o quasi, i bond ibridi perpetui con opzioni call (possibilità cioè di richiamare il titolo e rimborsare all'investitore quanto investito) periodiche per chi emette il debito, possono essere considerati un'occasione se offrono oggi rendimenti compresi tra il 2 e il 3%.

    Recentemente lo Stato ha emesso i suoi primi Btp triennali a cedola zero.
    Questo è accaduto il 13 Ottobre, con un Btp con scadenza 15 Gennaio 2024 (Isin del titolo: IT0005424251).
    I Btp sono obbligazioni governative a scadenza pluriennale, dai 3 ai 50 anni, che ogni 6 mesi staccano una cedola fissa remunerando il rischio che l'investitore si prende prestando i suoi soldi allo Stato stesso.
    Alcune settimane fa è stato allora pattuito che lo Stato si finanzierà per i prossimi 3 anni pagando zero.
    Ogni 6 mesi sarà già tanto constatare che il titolo c'è ancora, e ringraziare il debitore che accetta di "custodire" i nostri risparmi senza chiederci un canone (tasso negativo) da pagare.
    In questo surreale contesto, dovuto, come si sa, all'eccezionale intervento della Banca Centrale Europea che, con lo scopo di rilanciare l'economia, garantisce l'acquisto di quantità industriali di obbligazioni pubbliche e non, si può facilmente comprendere perché, dove spunta un emittente "presentabile" in grado di offrire il 2-3% di rendimento, ci sia la coda per sottoscriverne i titoli.

    Ma per capire che cosa sono le obbligazioni ibride o perpetue, partiamo dalle ultime emissioni portate sul mercato da Eni e polverizzate dalle richieste: a fronte dei 3 miliardi di € offerti, erano arrivate richieste di acquisto per ben 14 miliardi.
    Si tratta di due obbligazioni perpetue, con scadenze cioè piuttosto lunghe, ma richiamabili rimborsando così il capitale investito agli investitori (opzioni call) in date prestabilite.
    La prima emissione di Eni, richiamabile nel corso del 2025, offre il 2,7%.
    Se l'azienda tra 5 anni non eserciterà la call (il richiamo) rimborsando i creditori, sarà costretta a veder aumentare il tasso di interesse pagato agli stessi, oltre al fatto di fare una pessima figura nel mercato autodichiarandosi in sostanza poco solida e affidabile.
    La seconda emissione invece, richiamabile nel 2029, arriva al 3,3%.
    Le caratteristiche di questi titoli sono paragonabili a quelle dei famigerati subordinati collocati da alcune banche negli anni scorsi.
    Titoli ibridi, in quanto il pagamento della cedola è discrezionale come fosse il dividendo di un titolo azionario.
    Nel caso la società dovesse andar male, potrebbe infatti decidere di non pagare la cedola pattuita senza che questo implichi il diretto fallimento dell'emittente.
    Certo, la figura dell'azienda sarebbe, come detto, veramente pessima.

    Trattandosi allora di titoli particolari, spesso il taglio minimo di investimento richiesto è di 100 mila €, incrementabile eventualmente di mille.
    Molti fondi ed ETF obbligazionari, alla ricerca del rendimento perduto, sono largamente investiti in titoli come questi, emessi da aziende operative in diversi settori, compreso quello finanziario.
    L'opportunità insita in questo tipo di investimento è data da un flusso di interessi a tasso più elevato delle tradizionali e ordinarie obbligazioni, i cui rendimenti sono piombati a terra in seguito dell'attuale particolare congiuntura.
    Così facendo, la caccia al rendimento diventa perpetua. 
    Bada, è sempre meglio affidarsi a monte alla gestione attiva e professionale di un gestore, e alla diversificazione di una soluzione di risparmio gestito evitando così il rischio specifico.
  • 2 - IL TFR TRA AZIENDA E FONDI PENSIONE

    Sono passati quasi 14 anni dalla riforma previdenziale del Gennaio 2007, eppure mi accorgo che su alcuni temi la confusione regna ancora sovrana.
    Tra questi possiamo certamente annoverare la questione del TFR, sul quale la maggior parte dei diretti interessati, i lavoratori dipendenti, non ha ancora consapevolezza di cosa implichi mantenere la futura liquidazione in azienda piuttosto che destinarla a una forma di previdenza complementare.
    Cercherò allora di sintetizzarne la disciplina, e di confrontare il trattamento riservato dal legislatore alle due alternative.
    Ma prima preferisco ricordarti esattamente cos'è, e a quanto ammonta, il trattamento di fine rapporto.

    Il TFR è la forma più comune di compenso differito riservata al lavoratore dipendente, e gli spetta alla cessazione del rapporto professionale.
    Tale accantonamento viene effettuato direttamente dall'azienda, che per calcolarlo divide la retribuzione annua lorda del lavoratore per il parametro fisso di 13,5.
    Sto in altre parole parlando del 7,41% del reddito annuo lordo, di cui il 6,91% è effettivo accantonamento TFR, e il restante 0,50% riguarda il contributo di garanzia INPS utilizzato con finalità mutualistiche a favore dei dipendenti per i quali le aziende insolventi non corrispondono il TFR dovuto.

    > TFR IN AZIENDA
    La prima opzione che si presenta al lavoratore dipendente è quella di mantenere il TFR in azienda.
    In tal caso, il datore di lavoro ha il dovere di rivalutare la somma annualmente ad un tasso minimo dell'1,5%, al quale si aggiunge una componente variabile pari al 75% della rivalutazione dei prezzi accertata dall'ISTAT rispetto all'anno precedente.
    Qualora scelga per questa soluzione, il lavoratore potrà sempre in futuro modificare la scelta, destinando il suo compenso alla previdenza complementare.
    Per quanto riguarda la possibilità di chiedere un'anticipazione del TFR, essa è consentita per particolari motivazioni riguardanti spese mediche straordinarie, l'acquisto o la ristrutturazione della prima casa (per sé o per i figli), o congedi parentali e formativi.
    Il lavoratore matura tale diritto all'anticipazione una sola volta durante il rapporto professionale, dopo almeno 8 anni di servizio, e per un massimo del 70% della posizione accantonata.
    Anche laddove sussistano le condizioni descritte, l'azienda è tenuta ad evadere la richiesta nel limite del 4% del numero totale dei lavoratori.
    Nel caso tale soglia sia stata superata, la prestazione può essere negata anche al dipendete richiedente in possesso dei requisiti di legge e dunque autorizzato ad avanzare la domanda.
    Dal punto di vista fiscale, l'azienda, sostituto d'imposta del lavoratore, applicherà tassazione in coerenza dei seguenti criteri: sul rendimento maturato aliquota del 17%, mentre sull'importo di TFR accantonato il regime della tassazione separata.
    Vale la pena, a tal proposito, ricordare che in un primo momento è l'azienda ad applicare l'aliquota media calcolata sulla base degli anni di permanenza del lavoratore per tutta la durata del suo rapporto professionale.
    Subentra successivamente l'agenzia delle entrate, che effettua un ricalcolo sulla base dell'aliquota media delle ultime 5 dichiarazioni fiscali del lavoratore.

    > TFR ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
    Nelle intenzioni, la riforma operata a suo tempo persegue l'obiettivo di incentivare la destinazione del TFR alle forme di previdenza complementare attraverso una serie di misure.
    Al lavoratore neoassunto spetta un periodo di sei mesi per decidere se lasciare il TFR futuro maturando in azienda, ovvero convogliarlo al fondo pensione negoziale, a un fondo pensione aperto, o, ancora, a un PIP o piano individuale pensionistico di tipo assicurativo.
    In caso di silenzio-assenso, scatta l'adesione tacita e automatica al fondo pensione, attraverso il profilo di rischio più conservativo della soluzione che, a livello contrattuale, raccoglie il maggior numero di aderenti.
    Quanto al rendimento, il TFR accantonato nelle forme di previdenza complementare non ha dei parametri fissati per legge, ma dipende naturalmente dalla linea di investimento scelta dal lavoratore: si passa dai profili più prudenti obbligazionari, a quelli 100% azionari più coerenti con orizzonti temporali di lungo periodo.
    Con riferimento invece alle prestazioni, il diritto all'anticipazione è parzialmente diverso rispetto al TFR lasciato in azienda.
    Il prelievo è infatti consentito nella misura del 75% per gravi motivi di salute che riguardino l'aderente e i suoi familiari, senza alcun vincolo temporale; è invece necessario attendere almeno 8 anni dall'adesione per attingere alle altre causali previste da legge, ossia l'acquisto e la ristrutturazione della prima casa (sempre nella misura massima del 75%), e la causale generica che consente di prelevare senza precise giustificazioni nel limite del 30% (non prevista nel caso del TFR in azienda).
    Rispetto a quanto stabilito per il TFR mantenuto in azienda, è dunque tollerata una maggiore flessibilità soprattutto per quanto riguarda le motivazioni consentite e la possibilità di reiterare l'anticipazione, sempre nel limite massimo del 75%.
    Tale flessibilità si riduce in fase di uscita finale: la regola prevede infatti che solo il 50% del montante possa essere richiesto liquidato in conto, mentre almeno la restante metà va erogata in forma di rendita.
    L'intero importo finale può essere però richiesto cash nel caso in cui il montante totale accumulato a fondo pensione sia pari circa ad un importo oggi di 70.000 €.
    Gli aspetti fiscali infine.
    Il rendimento del TFR gestito attraverso forme di previdenza complementare è tassato ogni anno con aliquota del 20%.
    Le anticipazioni sono invece tassate al 23% per la casa e per la causale generica, mentre viene applicata l'aliquota agevolata per quanto attiene all'anticipazione dovuta ai gravi motivi di salute, tassata al 15%, con uno sconto progressivo dello 0,30% per ogni anno successivo al quindicesimo.
    Sulla prestazione finale, sia per la parte cash in capitale, che per la parte in rendita, la tassazione è la medesima: 15% con sconto progressivo di cui sopra, che dopo i 35 anni di adesione consente di raggiungere l'aliquota minima del 9%.
    Anche per questo sarebbe importante aderire il prima possibile a una soluzione di previdenza integrativa.
  • 3 - IN ARRIVO L'EURO DIGITALE?

    I primi di Ottobre, la Banca Centrale Europea (BCE) ha pubblicato un rapporto dettagliato sulla possibilità di varare l'Euro digitale.
    Si tratta di un grande progetto, una sfida di ampia portata che coinvolge tutti i paesi della zona Euro, e che vede la viva partecipazione dell'Italia, nel solco dello spirito di collaborazione europea, grazie al nostro impegno in BCE come Banca Centrale Italiana.
    Questa forma digitale dell'Euro rappresenta una novità importante, in quanto per la prima volta si pongono le basi per distribuire la moneta di banca centrale, in forma elettronica, direttamente ai cittadini e alle imprese.
    Si tratterebbe di una versione digitale di quell'Euro che tutti conosciamo già sotto forma di monete e banconote, valuta fisica che non verrebbe sostituita ma affiancata da questa nuova versione di valuta digitale.

    Vari scenari possono portare all'introduzione dell'euro digitale.
    Innanzitutto l'aumento della domanda di pagamenti elettronici a discapito dell'utilizzo del contante: un fenomeno che stiamo vedendo in crescita anche in Italia, con la progressiva digitalizzazione delle transazioni che possiamo riscontrare quotidianamente nel nostro modo di fare gli acquisti, nei bonifici che effettuiamo, nelle piattaforme con cui possiamo richiedere un finanziamento o investire i nostri risparmi.
    Accanto ai vantaggi che i pagamenti digitali hanno portato finora, come una maggiore sicurezza e velocità, i cittadini troverebbero con l'Euro digitale un nuovo importante vantaggio dato dalla riduzione dei costi di transazione.
    Da ultimo, non possiamo restare indietro nella partita sul digitale: ci sono stati annunci da parte di operatori privati che hanno lanciato la proposta di una loro valuta digitale mondiale, con rischi conseguenti di natura regolamentare e di stabilità finanziaria (vedi, ad esempio, Facebook con Libra).
    E a questi vanno aggiunti i progetti di altre banche centrali al di fuori dell'Eurozona, che hanno manifestato l'intenzione di attivare una loro valuta virtuale.

    Dar vita all'Euro digitale significherebbe, per noi europei, poter disporre di uno strumento importante che garantisca che i pagamenti che avvengono con questa moneta siano rapidi, sicuri e immediati come avviene per una normale transazione in banconote, riducendo anche l'impatto ambientale connesso con la produzione di queste ultime.
    In un mondo sempre più digitalizzato, non sarebbe allora certamente una sorpresa non disporre più in futuro delle classiche banconote cartacee all'interno del nostro portafoglio in pelle.
  • 4 - INTESA RAGGIUNTA, MA CON LO SCONTO

    La notizia risale a fine Ottobre, e già in passato ho affrontato la questione all'interno della mia 7 Notizie in 7 Minuti.
    Il consiglio di Tiffany si è espresso favorevolmente e ha dato disco verde alla nuova (più bassa) offerta d'acquisto elaborata dal gruppo francese LVMH negli ultimi giorni.
    Il gruppo transalpino del lusso pagherà allora 131,50 $ per azione per conquistare Tiffany, pari a una valutazione complessiva della società di 15,9 miliardi di $.
    Con questa nuova offerta, l'esborso di LVMH sarà inferiore di circa 425 milioni rispetto alla proposta precedente.

    L'improvviso, e per molti versi inaspettato, via libera all'operazione, pone fine a una controversia nata con lo scatenarsi della pandemia da Covid-19 che ha rischiato fino all'ultimo di far deragliare le nozze tra il gruppo francese di Bernard Arnault  e la società simbolo dell'alta gioielleria made in USA.
    Inizialmente LVMH aveva offerto 135 $ per azione per acquisire il controllo di Tiffany, ma sulla scia della crisi scatenata dal Coronavirus aveva successivamente chiesto di poter rivedere il prezzo, minacciando, in caso contrario, di ritirarsi dall'operazione, e portando la lite davanti alla corte del Delaware lo scorso Settembre.

    Tiffany, negli ultimi anni, ha cercato di rivitalizzare i fasti dell'epoca della celebre pellicola con Audrey Hepburn che l'aveva resa famosa.
    La strategia seguita è stata quella di ringiovanire la sua base di clientela, e di spingere sulle vendite online.
    Le nuove iniziative che verranno adottate da LVMH per potenziare il marchio potrebbero essere molto diverse, e sembra che il management del gruppo punti soprattutto a un rafforzamento della gioielleria di fascia alta e una crescita sul mercato interno statunitense.
    LVMH continua inoltre a scommettere sulla crescita del mercato cinese, dove Tiffany ha iniziato a espandersi da alcuni anni.
    Dopo l'approvazione dei consigli delle due società e il voto dell'assemblea, è previsto che l'operazione arrivi a conclusione all'inizio del prossimo anno.
  • 5 - DOVEVA ESSERE LA PIU' GRANDE VENDITA DELLA STORIA

    La più grande IPO della storia è stata sospesa a due soli giorni dalla quotazione del titolo azionario in Borsa.
    Le autorità cinesi hanno infatti fermato in extremis l'offerta pubblica iniziale da 37 miliardi di $ di Ant Group, braccio finanziario di Alibaba (ne rappresenta il 10% del fatturato), quando mancavano una trentina di ore al debutto in Borsa.
    Tutto allora fermo, ufficialmente in attesa di aggiustamenti nella regolamentazione delle condizioni di emissione e quotazione.

    Il giorno della gloria mondiale per Ant era atteso per il 5 Novembre sulle piazze di Shanghai e Hong Kong.
    Il colpo di scena che congela l'IPO di tutte le IPO è arrivato dopo un ammonimento a sorpresa rivolto dalle autorità di Pechino a Jack Ma, il profeta di Alibaba, dell'e-commerce e di molte innovazioni epocali che hanno spinto la Cina verso la nascita di una società che non ha più bisogno di banconote per il suo immenso giro d'affari.
    Un vero e proprio choc.
    Giovedì 5 Novembre, Ant avrebbe infatti frantumato ogni record, con una quotazione che aveva già raccolto ordini di investitori per oltre 3.000 miliardi di $ a fronte di un'offerta di azioni di 37 miliardi.
    100 volte l'offerta!
    Sul "mercato grigio" (mercato dove vengono scambiati, al di fuori dei circuiti regolamentati, titoli che non sono stati ancora immessi direttamente nel mercato) il prezzo del titolo era già schizzato del 50% rispetto a quello dell'offerta. 

    Prima di lanciare l'IPO, Ant aveva ottenuto il nulla osta governativo, ma qualcosa è successo a turbare la marcia trionfale in Borsa benedetta dal Partito-Stato cinese.
    A Ottobre, l'estroverso e franco Ma aveva tenuto un discorso a Shanghai nel quale criticò le autorità di controllo finanziario di Pechino e le grandi banche statali.
    "La Cina non ha un sistema finanziario, e questo è un rischio".
    E ancora "Le nostre banche operano con mentalità da banco dei pegni".
    Concludendo poi "La buona innovazione non ha paura delle regole, ha paura delle regole antiquate. In Cina non dovremmo usare metodi da stazione ferroviaria per far funzionare un aeroporto".

    Nata per facilitare i pagamenti dei clienti dell'e-commerce sulla piattaforma di Alibaba, Ant (formica in inglese) è diventata nel tempo un colosso finanziario.
    Una super impresa fintech (mix tra finanza e tecnologia) che muove, non solo le spese al dettaglio con portafoglio digitale, ma investimenti e finanziamenti per centinaia di miliardi di dollari.
    Ant è concorrente delle banche statali, che surclassa per velocità decisionale.
    Ecco perché i mandarini della Banca Centrale di Pechino, e le autorità di regolamento e controllo finanziario, hanno convocato Jack Ma, mettendolo in guardia anche dal dire a voce troppo alta quello che pensa del sistema.

    Fino a pochi anni fa, la finanza in Cina era dominata da giganti statali come la ICBC (Industrial and Commercial Bank of China).
    Ha fatto poi irruzione sulla scena Alipay, che in pochi anni ha cambiato (in meglio) il modo in cui consumatori e piccoli imprenditori cinesi pagano, prendono denaro in prestito e investono.
    Alipay fa capo ad Ant Group, a sua volta spin-off di Alibaba, e ha inventato una società dei consumi senza più denaro contante in tasca, almeno nelle grandi città dove risiede il 60% della popolazione.
    Ogni mese 700 milioni di cinesi, tra consumatori, commercianti e piccoli imprenditori, usano l'app Alipay di Ant.
    Si deve considerare che oggi Alibaba è un colosso di 117 mila dipendenti, con un fatturato monstre pari a 65 miliardi di € (potenzialmente superiore agli 85 miliardi in proiezione nel 2021).
    Genio all'origine di questo prodigio, sempre lui, Jack Ma, ex professore di inglese che decise di mettersi in proprio con degli amici nel 1999.
    Dal 2018 Ma, 56 anni, è anche un prepensionato per scelta di vita: "non voglio morire in ufficio, ma sotto un ombrellone...".
    Ispirandosi anche a Bill Gates, ha deciso di lasciare le sue cariche in azienda per dedicarsi alla filantropia, pur detenendo il suo bel pacchetto azionario di Alibaba, possedendo poi l'8,8% di Ant Group (8 in Cina è il numero della fortuna), e guadagnando comunque nei 2 anni di "riposo" diversi miliardi grazie alla crescita continua in Borsa della stessa Alibaba.
    Oggi, secondo Bloomberg, con 71 miliardi di $, Ma è l'11° uomo più ricco al mondo.
    Un bel patrimonio se si considera che è partito con un prestito di 60 mila $ da parte di familiari e conoscenti...

    Con questo stop all'ultimo secondo o quasi, Pechino, una volta di più, ha voluto ricordare, anche agli investitori, che è il governo in Cina a dirigere l'economia.
    E anche i campioni nazionali debbono inchinarsi a questo.
  • 6 - IL NUOVO CHE AVANZA

    Leader attuale per smartphone venduti al mondo è Samsung, seguita da Huawei.
    La vera novità è però al terzo posto, dove, nel terzo trimestre 2020, Apple deve cedere la posizione alla cinese Xiaomi.
    Ai più questo nome può non suonare così familiare come quelli degli altri tre competitor.
    Quella di Xiaomi però, così come emerge dall'ultimo rapporto sulla classifica dei top vendor per smartphone nel trimestre Luglio-Settembre 2020, è la storia di una scalata e di un operatore che fa molto sul serio.

    Nel terzo trimestre dell'anno, le spedizioni mondiali di smartphone hanno raggiunto quota 348 milioni: -1% rispetto all'anno precedente, ma +22% sul precedente trimestre.
    Xiaomi si è classificata terza con 47 milioni di unità vendute nel mondo (+45%).
    Prime della compagnia (26,9 miliardi di € di ricavi nel 2019, per un utile netto equivalente a 1,5 miliardi di €, quotata in Borsa a Hong Kong), ci sono Samsung con 80 milioni di unità vendute, e Huawei con quasi 52 milioni.
    Apple è a un soffio con i suoi 43 milioni, seguita ancora da un'altra azienda cinese, Vivo, con quasi 32 milioni.
    Se in Europa Xiaomi ha aggiunto 14,5 milioni di utenti, Huawei ne ha persi addirittura 15 milioni.
    E il titolo azionario dell'azienda cinese ringrazia: i suoi 25 dollari di Hong Kong e oltre, hanno più che raddoppiato il valore del titolo di un anno fa.
    Per una capitalizzazione di mercato che sfiora i 59 miliardi di €.
    Il nuovo che avanza allora, anche in ambito smartphone, proviene ancora una volta dalla Cina.
  • 7 - IL NUOVO OLEODOTTO

    Se il 2G ha accompagnato la diffusione dei telefoni cellulari, il 3G lo sviluppo delle app e il 4G l'espansione di video, streaming e messaggistica istantanea, ora è tempo delle nuove reti, che hanno esordito in maniera limitata tra il 2019 e il 2020, ma che la pandemia ha contribuito ad accelerare in maniera esponenziale.

    Il 5G aumenta in modo significativo la capacità di connessione in uno stesso momento, in un'area circoscritta, di una quantità molto più elevata di dispositivi senza ridurne le prestazioni.
    Si tratta di una tecnologia che accelera lo sviluppo di ambiti come l'industria 4.0, l'internet delle cose, e trasforma in realtà le smart cities (città iperconnesse).
    Le nuove reti riducono il tempo di latenza, ovvero l'intervallo tra comando e risposta, e possono essere utilizzate in vari settori: dalle fabbriche con macchinari sempre più performanti, alle strade con auto a guida autonoma, fino ai videogiochi in streaming.
    Insomma, tutti quei campi in cui la reattività é fondamentale.

    Recentemente ho letto alcune dichiarazioni di un gestore azionario di Neuberger Berman in merito al 5G.
    Eccole riportate, in modo che anche tu possa comprendere che innovazioni porterà in futuro questa tecnologia.

    Riteniamo che i "big data" saranno il nuovo petrolio, mentre il 5G sarà il nuovo oleodotto.
    Nel mondo attuale, dove la pandemia da Coronavirus ha contribuito ad accelerare la diffusione del 5G, i dati sono diventati una risorsa molto più preziosa del petrolio e, data la forte richiesta di una migliore connettività, molti paesi stanno strategicamente investendo in questa tecnologia.
    Il recente lancio dell'iPhone 5G spingerà gli operatori di telecomunicazioni ad accelerarne lo sviluppo.
    Riteniamo che il 5G trasformerà interi settori chiave della nostra economia: il settore sanitario, l'intrattenimento, la vendita al dettaglio e altri ancora, in sistemi intelligenti, favorendo lo sviluppo di nuove applicazioni, esperienze e servizi oggi inimmaginabili.
    Nel settore dei trasporti, i veicoli connessi possono contribuire a migliorare la qualità del traffico e a ridurre gli incidenti.
    Nel settore sanitario, la connettività di nuova generazione può migliorare la diagnosi e consentire il monitoraggio da remoto dei pazienti, abilitando perfino la chirurgia a distanza.
    E nell'intrattenimento, il 5G potrà offrire esperienze di gioco in tempo reale per il cloud gaming.

    La Cina è, in tutto questo, il paese oggi più all'avanguardia, ma è importante ricordare che siamo nelle primissime fasi di penetrazione.
    Gli Stati Uniti e l'Europa stanno incrementando lo sviluppo del 5G per recuperare il ritardo accumulato in questa gara internazionale.
    L'Unione Europea ha già accantonato 150 miliardi di € da investire in nuovi progetti strategici per promuovere i settori coinvolti nella transizione verde e digitale, compresi gli investimenti nel 5G.
    La Francia a Settembre ha proseguito con l'asta delle frequenze 5G, e punta alla commercializzazione della nuova tecnologia entro la fine di quest'anno.
    Intravediamo opportunità di crescita molto stimolanti e dinamiche grazie al 5G, imputabili principalmente all'incremento della telemedicina, dello smart working e dell'istruzione a distanza, trend rafforzato durante il Covid 19.

    La nuova rivoluzione, insomma, è appena cominciata. 
    E anche per chi investe, si può aprire un nuovo e importante terreno fertile.
  • Nel prossimo numero della mia 7 Notizie in 7 Minuti, ti parlerò, tra le altre cose, del più grande patto commerciale mai siglato sulla terra, di un fenomeno (purtroppo) in continua crescita, e di nobili dell'epoca...

    Se, ritieni, può far piacere anche a tuoi parenti, amici o collaboratori, ricevere periodicamente e senza alcun impegno la mia newsletter, chiedi loro di inviarmi una mail di richiesta con il loro indirizzo di posta elettronica.
    Sarà per me un piacere aggiungerli alla mia mailing list.

    Concludo augurandoti un sereno fine settimana.
    Un caro saluto,

    Davide