Sono passati quasi 14 anni dalla riforma previdenziale del Gennaio 2007, eppure mi accorgo che su alcuni temi la confusione regna ancora sovrana.
Tra questi possiamo certamente annoverare la questione del TFR, sul quale la maggior parte dei diretti interessati, i lavoratori dipendenti, non ha ancora consapevolezza di cosa implichi mantenere la futura liquidazione in azienda piuttosto che destinarla
a una forma di previdenza complementare.
Cercherò allora di sintetizzarne la disciplina, e di confrontare il trattamento riservato dal legislatore alle due alternative.
Ma prima preferisco ricordarti esattamente cos'è, e a quanto ammonta, il trattamento di fine rapporto.
Il TFR è la forma più comune di compenso differito riservata al lavoratore dipendente, e gli spetta alla cessazione del rapporto professionale.
Tale accantonamento viene effettuato direttamente dall'azienda, che per calcolarlo divide la retribuzione annua lorda del lavoratore per il parametro fisso di 13,5.
Sto in altre parole parlando del 7,41% del reddito annuo lordo, di cui il 6,91% è effettivo accantonamento TFR, e il restante 0,50% riguarda il contributo di garanzia INPS utilizzato con finalità mutualistiche a favore dei dipendenti per i quali
le aziende insolventi non corrispondono il TFR dovuto.
> TFR IN AZIENDA
La prima opzione che si presenta al lavoratore dipendente è quella di mantenere il TFR in azienda.
In tal caso, il datore di lavoro ha il dovere di rivalutare la somma annualmente ad un tasso minimo dell'1,5%, al quale si aggiunge una componente variabile pari al 75% della rivalutazione dei prezzi accertata dall'ISTAT rispetto all'anno
precedente.
Qualora scelga per questa soluzione, il lavoratore potrà sempre in futuro modificare la scelta, destinando il suo compenso alla previdenza complementare.
Per quanto riguarda la possibilità di chiedere un'anticipazione del TFR, essa è consentita per particolari motivazioni riguardanti spese mediche straordinarie, l'acquisto o la ristrutturazione della prima casa (per sé o per i figli), o congedi parentali e
formativi.
Il lavoratore matura tale diritto all'anticipazione una sola volta durante il rapporto professionale, dopo almeno 8 anni di servizio, e per un massimo del 70% della posizione accantonata.
Anche laddove sussistano le condizioni descritte, l'azienda è tenuta ad evadere la richiesta nel limite del 4% del numero totale dei lavoratori.
Nel caso tale soglia sia stata superata, la prestazione può essere negata anche al dipendete richiedente in possesso dei requisiti di legge e dunque autorizzato ad avanzare la domanda.
Dal punto di vista fiscale, l'azienda, sostituto d'imposta del lavoratore, applicherà tassazione in coerenza dei seguenti criteri: sul rendimento maturato aliquota del 17%, mentre sull'importo di TFR accantonato il regime della tassazione separata.
Vale la pena, a tal proposito, ricordare che in un primo momento è l'azienda ad applicare l'aliquota media calcolata sulla base degli anni di permanenza del lavoratore per tutta la durata del suo rapporto professionale.
Subentra successivamente l'agenzia delle entrate, che effettua un ricalcolo sulla base dell'aliquota media delle ultime 5 dichiarazioni fiscali del lavoratore.
> TFR ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE
Nelle intenzioni, la riforma operata a suo tempo persegue l'obiettivo di incentivare la destinazione del TFR alle forme di previdenza complementare attraverso una serie di misure.
Al lavoratore neoassunto spetta un periodo di sei mesi per decidere se lasciare il TFR futuro maturando in azienda, ovvero convogliarlo al fondo pensione negoziale, a un fondo pensione aperto, o, ancora, a un PIP o piano individuale pensionistico di tipo
assicurativo.
In caso di silenzio-assenso, scatta l'adesione tacita e automatica al fondo pensione, attraverso il profilo di rischio più conservativo della soluzione che, a livello contrattuale, raccoglie il maggior numero di aderenti.
Quanto al rendimento, il TFR accantonato nelle forme di previdenza complementare non ha dei parametri fissati per legge, ma dipende naturalmente dalla linea di investimento scelta dal lavoratore: si passa dai profili più prudenti obbligazionari,
a quelli 100% azionari più coerenti con orizzonti temporali di lungo periodo.
Con riferimento invece alle prestazioni, il diritto all'anticipazione è parzialmente diverso rispetto al TFR lasciato in azienda.
Il prelievo è infatti consentito nella misura del 75% per gravi motivi di salute che riguardino l'aderente e i suoi familiari, senza alcun vincolo temporale; è invece necessario attendere almeno 8 anni dall'adesione per attingere alle altre causali previste
da legge, ossia l'acquisto e la ristrutturazione della prima casa (sempre nella misura massima del 75%), e la causale generica che consente di prelevare senza precise giustificazioni nel limite del 30% (non prevista nel caso del TFR in azienda).
Rispetto a quanto stabilito per il TFR mantenuto in azienda, è dunque tollerata una maggiore flessibilità soprattutto per quanto riguarda le motivazioni consentite e la possibilità di reiterare l'anticipazione, sempre nel limite massimo
del 75%.
Tale flessibilità si riduce in fase di uscita finale: la regola prevede infatti che solo il 50% del montante possa essere richiesto liquidato in conto, mentre almeno la restante metà va erogata in forma di rendita.
L'intero importo finale può essere però richiesto cash nel caso in cui il montante totale accumulato a fondo pensione sia pari circa ad un importo oggi di 70.000 €.
Gli aspetti fiscali infine.
Il rendimento del TFR gestito attraverso forme di previdenza complementare è tassato ogni anno con aliquota del 20%.
Le anticipazioni sono invece tassate al 23% per la casa e per la causale generica, mentre viene applicata l'aliquota agevolata per quanto attiene all'anticipazione dovuta ai gravi motivi di salute, tassata al 15%, con uno sconto progressivo dello 0,30%
per ogni anno successivo al quindicesimo.
Sulla prestazione finale, sia per la parte cash in capitale, che per la parte in rendita, la tassazione è la medesima: 15% con sconto progressivo di cui sopra, che dopo i 35 anni di adesione consente di raggiungere l'aliquota minima del 9%.
Anche per questo sarebbe importante aderire il prima possibile a una soluzione di previdenza integrativa.