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www.davideberto.it2024-10-11
  • In quest'ultimo periodo, tanto si è parlato dell'INPS per il triplicato compenso del Presidente Tridico.
    Questa cosa tuttavia distoglie l'attenzione dal vero problema che é un altro.
    E' stato raggiunto il record storico di spesa pensionistica (in crescita continua), oggi equivalente al 17% del Pil (purtroppo crollato in questo 2020).
    L'INPS fa acqua da tempo, perché c'è un evidente squilibrio finanziario colmato ogni anno con decine (centinaia anche) di miliardi di euro trasferiti dalla fiscalità generale.
    L'INPS fa acqua da tempo, perché nonostante ci siano determinati requisiti anagrafici per andare in pensione, l'eccezione di uscita anticipata é diventata ormai la regola.
    L'INPS, soprattutto, farà ancora più acqua in futuro se solo si guardano i pochi, semplici dati demografici che riguardano l'invecchiamento della popolazione italiana e la sua riduzione costante nel tasso di natalità.
    In tutto questo, assistiamo a un incremento pressoché nullo di adesioni al terzo pilastro contributivo, quello privato e personale della previdenza integrativa.
    Ultimo, ma per niente ultimo, il tema delle performance: ti ricordo infatti che il rendimento dei contributi INPS è agganciato alla crescita nominale del Pil italiano.
    Al contrario, il rendimento dei fondi pensione, è agganciato all'asset prevalente nel quale si decide di investire (azioni globali, obbligazioni, ma non solo).
    Prima o poi, specialmente se l'Italia non sarà in grado di riprendersi dal punto di vista economico, accadrà una di queste cose:
    - si andrà in pensione ancora più tardi;
    - si prenderanno ancora meno soldi una volta in pensione;
    - lo Stato chiederà più contribuzioni per erogare però pensioni ancora più basse.
    O una combinazione tra queste opzioni.
    Ecco perché la soluzione individuale, e cioè cominciare il prima possibile ad integrare la propria pensione futura, è la via madre da seguire se ci si vuole garantire una serena vecchiaia finanziaria.
    Pensaci seriamente se non c'hai già pensato.

    Buona lettura!
  • 1 - IMMUNITA' PER LA RICCHEZZA

    A fine Settembre è stata presentata l'undicesima edizione dello studio Allianz Global Wealth Report, rapporto globale sulla ricchezza finanziaria privata che mette sotto la lente la ricchezza e l'indebitamento delle famiglie in più di 60 paesi nel mondo.
    Il report considera solamente la ricchezza finanziaria, escludendo dal calcolo la ricchezza immobiliare che vedrebbe l'Italia ai primi posti del mondo.
    Il dato più grezzo del report (senza molto senso) è quello della ricchezza media, ottenuto dividendo semplicemente la ricchezza totale per il numero di abitanti.
    Non ha molto senso perché considera nei dati i valori estremi forniti, da una parte, dai mega-paperoni, e dall'altra dai super poveri, valori che falsano il campione.
    In questo dato l'Italia si pone al livello della Germania.
    Il dato un pò più raffinato è invece quello della ricchezza mediana, con esclusione dei super ricchi e dei super poveri di cui sopra.
    Questo permette di valutare quanto è equa (o meno) la distribuzione di ricchezza in una nazione.
    Il nostro paese, in questo caso, è dietro a paesi notoriamente molto ricchi come Svizzera, Canada, Singapore, ma davanti a tutti gli altri paesi benestanti come USA, Germania, Francia, Regno Unito, Svezia, Corea del Sud.
    Il problema dell'Italia non è sicuramente quello della ricchezza media intesa come patrimonio attuale, come neppure quello di una sua distribuzione particolarmente diseguale.
    Il problema del paese è la scarsa crescita di questa ricchezza.
    Gli asset finanziari lordi delle famiglie italiane sono cresciuti nel 2019 del 5,2%, dopo la flessione del 2,7% registrata nell'anno precedente.
    A confronto con il tasso medio di crescita dell'Eurozona pari al 7,6%, il trend del nostro paese è tra i più deboli, ad eccezione del Portogallo che ha avuto una crescita ancora più bassa.
    La nostra ricchezza cresce troppo poco essenzialmente per due motivi:
    - il basso reddito, il flusso di entrate che non è oggetto di questa analisi;
    - la cattiva allocazione degli investimenti, squilibrata verso abbondanza di liquidità e titoli di Stato (entrambi a rendimento zero), e scarsità di investimenti azionari.

    Allargando l'analisi ad un ambito internazionale, nel corso del 2019 il gap tra i paesi più poveri e quelli più ricchi si è ampliato.
    Dall'inizio del XXI secolo la crescita fatta registrare dai paesi emergenti è molto importante, con un forte aumento della popolazione di classe media e una diminuzione dei più poveri.
    Nonostante ciò, nel mondo le disuguaglianze rimangono molto forti: il 10% più ricco controlla l'84% degli asset finanziari totali, e tra i ricchi, l'1% più facoltoso controlla quasi il 44% della ricchezza mondiale.
    I paperoni guadagnano così via via più distacco dal resto della popolazione.
    Con ogni probabilità la pandemia aumenterà ulteriormente le disuguaglianze, provocando una battuta d'arresto nella globalizzazione e il depauperamento dei servizi educativi e sanitari soprattutto nei paesi con minori risorse economiche.
  • 2 - PEGGIO DI UNO SCHEMA PONZI

    Ne sono ben consapevole.
    Rapportato all'INPS il titolo è volutamente un pò forte.
    Che cosa ci può essere di peggio di uno schema piramidale che lascia i malcapitati senza un soldo dopo averci investito molto denaro?
    Ma facciamo un passo indietro e andiamo con ordine.

    Dal lontano 1992 è iniziata in Italia un'inversione di trend per quanto riguarda le prestazioni pensionistiche.
    Fino a tale data il sistema ha elargito per decenni agevolazioni di varia natura che si sono concretizzate in età di pensionamento sempre più anticipate (di cui le baby pensioni con 14 anni, 6 mesi e 1 giorno di contribuzione sono sicuramente la perla più preziosa), in prestazioni sempre più generose, in deroghe concesse a interminabili categorie di lavoratori.
    La musica è da allora cambiata e, prima con la riforma Amato, e poi soprattutto con quella Dini (introduzione del calcolo contributivo per tutti coloro i quali avessero iniziato a lavorare a partire dal Gennaio 1996), è stato intrapreso un sentiero restrittivo reso ancora più marcato dalla riforma Fornero del 2012.
    Ma se queste riforme hanno percorso una strada di maggiore austerità, rigore e controllo dei conti pubblici, perché dovremmo preoccuparci del futuro del pilastro pensionistico pubblico?
    Per almeno due motivi.

    - Il primo legato al fatto che queste riforme hanno bisogno di tempo, molto tempo per sortire effetti benefici.
    Il regime contributivo andrà a pieno regime non prima del 2040, secondo le stime della Ragioneria Generale dello Stato.
    Queste riforme, inoltre, avrebbero bisogno di non essere sempre oggetto di discussione: al contrario, non solo vengono messe sul banco degli imputati da larga parte dell'opinione pubblica, ma vengono continuamente minate alla base con un ginepraio di ulteriori norme che rappresentano deroghe ai principi affermati.
    Si pensi a Quota 100, all'opzione donna, a tutte le situazioni che consentono oggi di andare in pensione prima di quanto stabilito dalle riforme strutturali, e che accentuano dunque la spesa pubblica previdenziale.
    In Italia l'età pensionabile per il regime di vecchiaia è fissata oggi a 67 anni, ma l'effettiva età di uscita è di poco superiore ai 63.

    - Il secondo motivo, ancora più importante, è legato al fatto che il primo pilastro pensionistico in Italia, quello pubblico, è basato sul principio della ripartizione: i contributi versati, parte del reddito da lavoro, vengono utilizzati per pagare le prestazioni correnti di chi ha ottenuto il diritto a percepire l'assegno INPS.
    Non solo: questa fetta di oneri prelevati ai lavoratori è funzionale anche al pagamento di altri capitoli di spesa, come cassa integrazione, pensioni di reversibilità e altre prestazioni assistenziali.
    Affinché un sistema a ripartizione sia sostenibile, occorrono condizioni ben precise di natura demografica ed economica.
    Serve, ad esempio, che la forza lavoro sia in crescita, che ci siano le prospettive di una popolazione in aumento in grado di garantire l'equilibrio finanziario pagando quanto dovuto a chi invecchia, serve inoltre che il sistema economico funzioni bene, con elevati livelli di occupazione e produttività: tali condizioni alimentano la possibilità di prelevare somme percentualmente piccole (o comunque sostenibili) da chi lavora, e riducono allo stesso tempo la necessità di destinare corpose risorse agli ammortizzatori sociali, residuali in un sistema efficiente.
    Tutto questo, lo sappiamo, in Italia non esiste.
    Anzi, lo scenario demografico ed economico racconta una realtà esattamente opposta a quella desiderabile: l'indice di vecchiaia è sempre più alto, la fertilità ai minimi storici e priva di segnali di inversione, la disoccupazione già pre-Covid permaneva su livelli molto alti, la produttività è da decenni il tallone d'Achille dell'impresa italiana.
    Con queste premesse i numeri parlano chiaro: la spesa pensionistica in Italia, dietro solamente alla Grecia, è la seconda più alta nei Paesi OCSE.
    E le prospettive di paese economicamente stagnante, demograficamente in ritirata, e finanziariamente sempre precario a causa di un debito pubblico crescente, non possono che generare preoccupazione per il futuro.
    Ecco perché, in estrema sintesi, serve preoccuparsi del sistema previdenziale italiano.

    Come non bastasse, il Fondo Monetario Internazionale stima che il nostro paese possa arrivare al 2040/2045 ad un rapporto di spesa pensionistica sul Pil in grado di superare il 20%.
    Quanto può mettere tranquilli un sistema nel quale la spesa per pensioni arriva ad essere 1/5 di tutta la ricchezza prodotta?
    Questo dato lascia presagire l'alta probabilità che un maggiore futuro prelievo ai danni di chi lavora o detiene patrimonio, mediante un ulteriore inasprimento del carico contributivo e fiscale, sia inevitabile per garantire la sopravvivenza del sistema.
    Ecco perché l'INPS non è uno schema Ponzi, ma, per certi versi, addirittura peggio: uno schema piramidale prima o poi crolla, resecando tutto, seppur con costi inevitabili.
    Il sistema pensionistico invece non crollerà, ma continuerà a perpetuare una iniquità intergenerazionale senza precedenti.

    Riassumendo: un sistema a ripartizione, come quello in vigore in Italia e in tanti altri sistemi pensionistici pubblici, necessita di un contesto demografico ed economico favorevole.
    Da noi queste condizioni non ci sono, anzi, non si fatica a trovare numerosi segnali che vanno esattamente in senso contrario.
    Sulla base di ciò, non solo il FMI, ma tutti gli organismi istituzionali più rilevanti, disegnano un futuro a tinte fosche, nel quale il fardello previdenziale peserà sempre più sui conti pubblici e quindi sulle spalle delle prossime generazioni.
    Già oggi la spesa pensionistica prende circa il 15% del Pil, 300 miliardi di euro l'anno, dal reddito di chi lavora.
    Più questa percentuale aumenta, più i produttori di ricchezza sono appesantiti da un carico fiscale e contributivo che li impoverisce.
    Questa spesa, inoltre, non fa altro che drenare automaticamente risorse da altri capitoli di welfare, come istruzione e sanità, dove i cambiamenti rispetto al passato sono già oggi evidenti.
    Detto diversamente, la generazione attuale ha tre fardelli di cui si fa pieno carico: paga di più per sostenere le pensioni attuali, uscirà più tardi dal mondo del lavoro, e lo farà con prestazioni sempre più basse.

    Cos'altro deve allora succedere, quali altri numeri è necessario vedere, perché tutti i diretti interessati si attivino facendo partire la costruzione di un accumulo pensionistico personale, ciascuno secondo le proprie possibilità?
  • 3 - INCROLLABILE: LE 7 VERITA' SUL FUNZIONAMENTO DEI MERCATI FINANZIARI (1 di 2)

    Nell'ultimo periodo, durante i miei (pochi) momenti liberi, mi sto cimentando nella lettura di INCROLLABILE il tuo manuale per la libertà finanziaria, un libro bestseller scritto dal grande Tony Robbins, vera e propria guida passo dopo passo su come gestire al meglio il proprio denaro.
    Voglio allora condividere quelle che, secondo lo scrittore, sono le 7 verità sul funzionamento dei mercati finanziari, perché alcuni modelli continuano a ripetersi nel tempo in quelle che vengono definite "le stagioni finanziarie".
    7 verità che possono aiutare a liberarsi dalla paura e dall'ansia che dominano la vita finanziaria della maggior parte delle persone, e per questo definite da Tony Robbins come "Verità di Libertà".
    Perché la capacità di investire senza paura è estremamente importante, e la verità più importante di tutte è legata al fatto che il maggior pericolo non è una correzione di mercato (calo di almeno il 10% dal suo massimo) o un mercato orso (discesa di almeno il 20%), il pericolo maggiore è quello di essere fuori dal mercato stesso.

    - Verità di Libertà 1: dal 1900 le correzioni, in media, si sono verificate una volta all'anno.
    Tutte le chiacchiere, le sceneggiate, le emozioni (rumori di fondo) possono impedire di pensare con chiarezza.
    L'ultima cosa che vogliamo è prendere delle decisioni finanziarie basate sulla paura.
    Occorre pertanto rimuovere quante più emozioni possibili dall'investimento.
    In media, dal 1900, si è verificata una correzione del mercato (azionario americano) ogni anno.
    Le correzioni sono pertanto solamente una componente ordinaria del "gioco", e, come tali, vanno accettate come eventi regolari.
    Come le stagioni quindi: la primavera, l'estate, l'autunno e l'inverno.
    E storicamente la correzione media è durata solamente 54 giorni, meno di due mesi.
    In altre parole, la maggior parte delle correzioni si è conclusa praticamente prima che ce ne rendessimo conto.
    Allora non è poi così spaventoso.
    Tuttavia, quando ci si trova nel bel mezzo di una correzione, si può diventare emotivi pensando di vendere e liquidare gli investimenti perché si è impazienti di evitare la possibilità di farsi del male.
    Nella media delle correzioni degli ultimi 100 anni, il mercato è sceso "solo" del 13,5%.
    Dal 1985 alla fine del 2015, il calo medio è stato del 14,2%.
    E' comunque sgradevole vedere i propri investimenti incassare un colpo simile, e l'incertezza porta molti a commettere gravi errori.
    Ma ecco cosa occorre ricordare in questi frangenti: se si tiene duro, è molto probabile che la tempesta passi presto.

    - Verità di Libertà 2: meno del 20% di tutte le correzioni si trasforma in un mercato ribassista.
    Quando il mercato finanziario inizia a scendere, specialmente quando il ribasso raggiunge il 10%, molti raggiungono la soglia del dolore e iniziano a vendere perché temono che questo calo possa trasformarsi in una spirale di morte.
    Non sono semplicemente avveduti e prudenti?
    In realtà non così tanto.
    E' stato riscontrato che meno di una correzione su cinque degenera fino a diventare un mercato orso.
    In altre parole, l'80% delle correzioni non si trasforma in un mercato ribassista.
    Se ti lasci prendere dal panico e vai a incassare durante una correzione, potresti farlo esattamente prima di un rimbalzo del mercato.
    Una volta compreso che la stragrande maggioranza delle correzioni non è poi così male, è più facile mantenere la calma e resistere alla tentazione di premere il pulsante per l'espulsione al primo segnale di turbolenza.

    - Verità di Libertà 3: nessuno può prevedere sistematicamente se il mercato salirà o scenderà.
    Ricorda bene questa frase del fisico Niels Bohr: "E' molto difficile fare previsioni, specialmente per il futuro".
    Quando si tratta delle proprie finanze, è meglio affrontare i fatti.
    E il fatto è che nessuno può sistematicamente prevedere se i mercati saliranno o scenderanno.
    E' illusorio pensare di poter anticipare il mercato, saltando dentro e fuori nei momenti giusti.
    Ecco cosa pensano due dei più saggi maestri del mondo della finanza in merito ai tempi del mercato e alla sfida di prevedere i suoi movimenti.
    Jack Bogle, fondatore di Vanguard, società di investimenti con più di 3 mila miliardi di $ in gestione, ha affermato: "Certo, sarebbe bello uscire dal mercato azionario ai massimi e rientrarvi ai minimi, ma in sessantacinque anni nel settore, non solo non ho mai incontrato nessuno che sapesse come farlo, ma non ho nemmeno mai incontrato nessuno che avesse incontrato qualcuno che sapesse come farlo".
    E Warren Buffett ha detto: "L'unico valore delle previsioni di borsa è far fare una bella figura ai chiromanti".
    Eppure, devo confessare, è divertente vedere tutti questi esperti di mercato, i commentatori e gli economisti coprirsi di ridicolo mentre cercano di individuare con esattezza una correzione.
    I veggenti del mercato prosperano spaventandoci a morte.
    Certo, a volte ci azzeccano, ma se diamo ascolto a tutti i loro inquietanti moniti finiremo per nasconderci sotto il letto, stringendo una scatola di latta contenente i risparmi di una vita.
  • 4 - COME SOSTENERE I COSTI UNIVERSITARI DEI FIGLI

    Se è vero che l'istruzione agevola l'ingresso nel mercato del lavoro, dando accesso, in prospettiva, a livelli di reddito più elevati, non c'è allora investimento più fruttuoso per una famiglia che valorizzare il percorso di studi dei figli.
    Si tratta, però, di un investimento che potrebbe apparire inaccessibile se non programmato per tempo.
    Quale budget bisogna mettere in conto per l'università?
    E come costruire un piano finanziario per raggiungere l'obiettivo?

    Nell'università pubblica il costo della retta non cambia radicalmente, ma negli atenei privati l'esborso può variare sensibilmente in base anche all'Isee (Indicatore della situazione economica equivalente).
    E' vero che la pandemia ha accelerato la trasformazione digitale della didattica, ma, terminata l'emergenza sanitaria, le lezioni in aula torneranno, verosimilmente, il modus educandi standard di molti atenei.
    Meglio allora stimare la spesa da sostenere, soprattutto nel caso in cui la scelta degli eredi ricada sull'ateneo di una città diversa da quella dove risiedono i genitori.

    Si stima, ad esempio, che un ciclo di studi triennale di uno studente fuorisede alla Bocconi di Milano possa costare una cifra compresa tra i 50 e i 70 mila euro, inclusi i canoni d'affitto per una stanza singola o un piccolo monolocale, e il vitto.
    Per cinque anni nella stessa facoltà, il budget può raggiungere i 120 mila euro.

    Più si allunga l'orizzonte di riferimento, più tempo si avrà a disposizione per la fase di accumulo.
    Il fattore temporale è infatti fondamentale: cominciare a risparmiare e ad investire quel risparmio dalla nascita dei figli consentirebbe un investimento di 100 euro al mese, che passa anche a 500/1.000 euro partendo invece dall'inizio delle scuole superiori.
    Meglio iniziare a pensarci e ad agire il prima possibile.
    Perché sulla lunga distanza i mercati possono dare una mano molto importante a centrare gli obiettivi, attraverso la composizione degli interessi che amplificherà in modo sorprendente il valore dell'investimento.
    La strategia migliore è allora quella del piano di accumulo del capitale (PAC) in una soluzione azionaria globale, gestendone nel tempo l'andamento, consolidando eventualmente i risultati strada facendo e apportando magari anche dei piccoli versamenti aggiuntivi laddove ci sia la possibilità di entrare a sconto in particolari fasi e andamenti del mercato di riferimento.
    La consulenza strada facendo, ovviamente, nel raggiungimento dell'obiettivo è fondamentale.
    Per concludere, ti invito a ricordare questo: il tempo è il più grande alleato di un investimento finanziario.
    E come dicevano i latini, qui tempus praestolatur, tempus ei deest (chi ha tempo non aspetti tempo).
  • 5 - PER LA PRIMA VOLTA

    Una curiosità che riguarda la Repubblica di San Marino, 33 mila abitanti di una nazione piccolissima, estesa per 69 chilometri quadrati, e con un Pil di poco superiore a 1,5 miliardi di euro l'anno.
    Sarà la banca d'affari americana Jp Morgan a curare il debutto sul mercato dei capitali del micro-Stato incastonato tra la Riviera Romagnola e l'Appennino.
    Dopo anni di tentativi sembra questa la volta buona.
    E' infatti dal 2015 che lo Stato ha sul tavolo il progetto di un titolo di debito, il "Btp" in versione San Marino.
    Già la scorsa estate l'emissione obbligazionaria era in rampa di lancio, ma i tempi si sono allungati anche causa Covid.
    Ora tutto è pronto, e per il primo titolo sovrano il governo della repubblica ha deciso per un importo abbastanza contenuto, pari a 300 milioni di euro, 1/5 circa della ricchezza annua prodotta.
    La scadenza sarà a 5 anni, e il tasso di interesse che il titolo pagherà fino al 2025 verrà presto stabilito in base anche alla richiesta del mercato.

    Tecnicamente la Rocca di San Marino non fa parte dell'Unione Europea: non può accedere al Recovery Plan, ma non è sottoposta ai vincoli di bilancio e ai parametri di Maastricht non avendo le dimensioni minime di popolazione ed estensione per poter essere ammessa.
    Però la Repubblica ha l'euro come divisa ufficiale e starebbe cercando di adottare un accordo di associazione europeo.
    Per la fine del mese, massimo i primi di Novembre, il collocamento del titolo di debito verrà chiuso, e l'obbligazione governativa sarà quotata sulla Borsa del Lussemburgo.
    Con le entrate, la Rocca del Titano rifinanzierà il debito per circa 150 milioni, e userà l'importo rimanente per sostenere l'economia alle prese anche con il contraccolpo della pandemia.
    Si stima che quest'anno il Pil di San Marino crollerà del 9,5% causa emergenza Covid.
    Tra il 2007 e il 2019 l'economia si è contratta del 23,6%, quanto la Grecia.
    Il turismo incide per il 19% delle entrate totali e per il 31% degli occupati.
    Fino ad oggi il mini paese si è sempre auto-finanziato, e il debito pubblico è rimasto sulle spalle dei cittadini.
    In passato infatti San Marino aveva collocato titoli solo internamente.
    Con il bond sul mercato internazionale, il governo diversifica allora le fonti di finanziamento, e alleggerisce soprattutto le banche locali sulle quali grava attualmente la quasi totalità del debito pubblico.
  • 6 - FORSE E' GIA' TROPPO TARDI

    La più grande società tecnologica europea è la tedesca SAP, un'azienda che sviluppa software per le aziende: il suo valore di Borsa (in continua crescita negli anni) e il suo fatturato sono 1/10 di quelli dell'americana Apple, azienda numero uno al mondo per capitalizzazione di mercato, e sono anche una frazione di quelli della cinese Alibaba.
    Tutte insieme, le prime dieci aziende high-tech del vecchio continente valgono in Borsa meno di 1/10 dei primi cinque big tech USA: 500 miliardi di euro contro 5.500 miliardi; e poco più di 1/3 delle prime cinque aziende tecnologiche cinesi quotate.
    La nostra Europa appare quindi stritolata fra i due superpoteri.
    Una sorta di nano tra due giganti.
    Finita l'era della finlandese Nokia, gli smartphone più popolari al mondo sono made in Stati Uniti, Corea del Sud e Cina (iPhone, Samsung, Huawei e Xiaomi).
    Le maggiori piattaforme di social media e shopping online sono sempre americane o cinesi (Facebook, Amazon, Alibaba, Tencent), così come i più importanti fornitori di cloud computing e servizi di intelligenza artificiale.
    E i più grandi produttori di semiconduttori sono ancora negli Stati Uniti, con aziende come Intel e Nvidia, in procinto quest'ultima di diventare ancor più importante se dovesse andare in porto la sua offerta di acquisto della britannica Arm per 40 miliardi di dollari (equivalente di quasi 34 miliardi di euro), un prezzo pari a una volta e mezza il valore di Borsa del gruppo italo-francese STMicroelectronics.

    Alla radice della mancanza di un grande campione high-tech europeo, vi sono motivi culturali e strutturali.
    Il mercato europeo è grande come o più di quello americano, in termini di popolazione e attività economica, ma è molto frammentato per differenze linguistiche e di regolamentazioni.
    Ma soprattutto, è diversa la mentalità europea.
    Gli americani tendono ad essere molto più aperti alle innovazioni, disposti a sperimentare nuovi prodotti.
    I grandi marchi come Apple, hanno avuto successo prima negli USA, per diventare poi globali.
    Amazon ha cominciato a vendere libri online in America nel 1995, 25 anni fa: impensabile una cosa simile in Italia.
    Anche i cinesi sono pronti ad abbracciare le novità e molto più abituati al digitale: usano WeChat, l'app sviluppata dal colosso Tencent, per fare di tutto, dallo scambiarsi messaggi all'effettuare i pagamenti.

    Sia in America sia in Cina, vi è poi una grande abbondanza di capitali: privati, forniti dai venture capitalist e dagli investitori istituzionali negli States, pubblici, finanziati dallo Stato nel regime comunista di Pechino.
    Ma le risorse da sole non bastano.
    Il successo della Silicon Valley, culla dell'high-tech americano, dipende dalla disponibilità a rischiare da parte di imprenditori e investitori molto più forte che in Europa, e dal circolo virtuoso creato dal continuo reinvestimento dei capitali.
    Chi ha successo con una startup, va infatti spesso avanti a fondarne delle altre o a investire in nuove aziende.
    Così facendo, l'ecosistema delle startup stesse continua a crescere.

    Indietro nella formazione di aziende campioni tecnologiche, l'Europa sta allora cercando di ritagliarsi un ruolo come potenza regolamentare, proponendosi come paladina nella difesa della privacy e nella protezione dei dati degli utenti, contro i nuovi monopoli imposti da aziende come Google e Facebook.
    Ma molti sospettano che questo non basti, considerata la velocità dei cambiamenti tecnologici, in particolare quelli legati all'intelligenza artificiale.
    Come non bastasse, la pressione americana sta forzando la nostra Europa a riconsiderare le sue relazioni d'affari con la Cina anche in campo tecnologico.
    I piani per una sovranità digitale europea restano comunque vaghi, e sarà lunga la strada prima che l'Europa arrivi a sviluppare i suo campioni in questo ambito.
    Forse, è già troppo tardi...
  • 7 - INDIETRO NON SI TORNA: DATI E PROGETTI DI DUE COLOSSI ITALIANI

    Nelle scorse settimane sono incappato in due interessanti interviste fatte, una a Claudio Granata, top manager di Eni, e l'altra a Monica Possa, responsabile del personale del gruppo Generali a livello mondiale.
    Interviste relative a come sta cambiando l'approccio al lavoro in queste due importantissime aziende italiane su scala globale ai tempi del Covid.
    E' allora, a mio parere, utile condividere dati e progetti futuri di queste due aziende, per meglio comprendere come stanno cambiando le cose in questo periodo storico, e capire quali trend caratterizzeranno sempre più il nostro futuro non solo lavorativo.

    Parto dal colosso energetico Eni, azienda che può contare oggi su 32 mila dipendenti diretti al mondo, 21 mila dei quali in Italia.
    Gli 11 mila che lavorano fuori dai confini nazionali possono essere suddivisi in 5 mila con mansione compatibile con lo smartworking, e 5 mila invece operativi sugli impianti e sulle piattaforme.
    Gli addetti in Italia, a loro volta, si dividono in 15 mila anch'essi con mansioni che consentono il lavoro da remoto, e 6 mila sugli impianti.
    Il personale femminile è attorno al 26% del totale, e l'età media in azienda è di 46 anni.
    Nel giro di pochissimo tempo, Eni è stata in grado di fornire ai suoi dipendenti che prestavano servizio da casa 3.800 computer.
    Già prima del lockdown di Marzo l'azienda poteva vantare su di un protocollo di cybersecurity che ha tenuto con l'emergenza.
    Dal 1° Gennaio al 30 Aprile, Eni ha dovuto fronteggiare ben 568 tentativi di hackeraggio.
    Il 50% in più rispetto al 2019.
    262 di questi tentativi erano indotti dall'introduzione del lavoro in remoto.
    Vogliamo allora non investire in ottica futura in un settore come quello della cybersecurity?

    Qualche altro numero interessante: nel primo mese e mezzo di lockdown, in azienda sono state registrate 803 mila conferenze online per oltre 8 milioni di minuti.
    E 23 mila accessi nel sistema aziendale deputato alla scambio delle conoscenze e delle informazioni.
    Tutti questi scambi sono stati protetti senza alcun problema a detta del manager.
    Le connessioni con Vpn sono cresciute nel periodo del 700%, le videoconferenze del 50%, i collegamenti via Skype del 140%, e quelli via Microsoft Teams del 3900%.
    L'azienda pensa che a regime, in uno scenario post-vaccino, fino al 35% dei dipendenti calcolati su un singolo giorno possa lavorare da remoto, fino a coinvolgere complessivamente in Italia ben 7 mila persone.
    Certo, tutto questo richiederà un profondo mutamento dell'organizzazione del lavoro.
    Il confronto diretto e in presenza è comunque necessario, le aggregazioni servono.
    In un team la convivenza migliora le decisioni, ma anche la collaborazione in remoto è "presenza", ed è come abituarsi ai nuovi modelli di vita e di lavoro.
    Con il 35% di dipendenti in smartworking l'azienda potrà anche liberare molti uffici attualmente in regime di locazione.
    Tali spazi potrebbero ospitare startup, hub e acceleratori di tecnologia, che potrebbero così trovare collocazione vicino a grandi aziende in un'ottica di condivisione e di confronto in merito a nuove possibili idee e iniziative imprenditoriali.

    Passando poi a Generali, il lavoro da remoto interesserà in futuro, seppur modularmente, il 100% dei dipendenti.
    Parliamo di quasi 72 mila persone nel mondo, 17 mila in Italia, con una percentuale di donne arrivata nel 2019 al 51%.
    L'età media mondo è di 42,5 anni, 44,3 in Italia.
    L'azienda si è posta giustamente l'obiettivo di essere reperibile e vicina ai clienti con i vari strumenti digitali o via telefono, senza voler però che remoto fosse sinonimo di freddo e meccanico.
    Nel lavoro d'ufficio ci sono molte occasioni di socialità e appartenenza, come le riunioni, le chiacchiere davanti a un caffè, o la pausa mensa.
    Questa calda informalità non va persa ma solo ripensata.
    Va allora costruito, sempre secondo Possa, il new normal, perché l'innovazione ha comunque bisogno di presenza, e nel lavoro del futuro va comunque tenuto presente il ruolo dell'ufficio che andrà però bilanciato con il lavoro da casa.
    Un dipendente, in futuro, avrà la possibilità di lavorare a regime, da dove vuole oltre che dall'ufficio, dal suo luogo di residenza, dal coworking, o dalla seconda casa al mare o in montagna.
    Sarà una scelta individuale, con l'ufficio che rimarrà centro di aggregazione, formazione, relazione e appartenenza.
    "Siamo interessati a ridurre il pendolarismo, ma siamo soprattutto interessati a che tra i nostri dipendenti maturi un rapporto diverso con il lavoro, più bilanciato, con maggiore armonia con le esigenze della famiglia".
    Così facendo sarà anche più semplice attrarre i talenti del futuro, i millennial, più attenti dei loro genitori alla libertà e alla flessibilità.

    Leggere e comprendere questi cambiamenti strutturali all'interno di due grandi aziende come Eni e Generali, può certamente aiutare a capire dove tutto questo ci porterà in futuro.
    Perché no, anche a comprendere come investire e allocare le proprie risorse in ottica di investimenti per il raggiungimento di obiettivi di lungo termine.
    Ecco anche perché, almeno in parte, certi titoli azionari rappresentativi di colossi tecnologici quotati soprattutto al Nasdaq di New York, così bene sono stati in grado di performare e far guadagnare i propri investitori negli anni, e soprattutto dalla fine del mese di Marzo ad oggi.
    Parlo, ad esempio, di Zoom, di Microsoft, di Amazon, di Alphabet (holding di Google), e di tante altre aziende che sempre più caratterizzeranno con il loro business il nostro futuro, il nostro modo di vivere e, perché no, anche di investire i nostri risparmi.
  • Tra due settimane, Venerdì 6 Novembre, riceverai la prossima uscita della mia 7 Notizie in 7 Minuti.
    Posso anticiparti che ti parlerò, tra le altre cose, di come investire oggi con gli attuali tassi dei titoli di Stato, ti porterò in Giappone per un focus sull'economia del paese del sol levante, e ti svelerò le altre 4 "verità di libertà" tratte dal libro Incrollabile di Tony Robbins.

    Se, ritieni, può far piacere ricevere le mie newsletter anche a dei tuoi parenti, amici o colleghi, chiedi loro di inviarmi una mail con il loro indirizzo di posta elettronica.
    Sarà mia cura inserirli (senza alcun impegno) nella mia personale mailing list per informare e comunicare anche con loro.
    Grazie!

    Concludo, come sempre, augurandoti un sereno week-end.
    Un caro saluto,

    Davide