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www.davideberto.it2024-10-11
  • Sempre più mi sto rendendo conto che molti investitori tendono a vedere i loro investimenti in singoli titoli azionari con gli occhi dell'innamorato: ne vedono solo i pregi e non i difetti.
    Traducendo, si tende ad osservare il mero rendimento senza soffermarsi sul rischio corso.
    Nel 1999-2000 la gente comprava azioni a qualunque prezzo, con occhi illuminati da fiducia, ottimismo ed euforia.
    In molti, si erano innamorati dal nulla dei mercati finanziari.
    Sappiamo poi com'è andata...
    Quando parli a un innamorato dei difetti del partner, difficilmente ti ascolta.
    Parlare di rischio a chi è investito in singoli titoli cresciuti molto, è la stessa identica cosa: si passa per il gufo della situazione, per guastafeste.
    E' l'esperienza che, come spesso accade, può fare la differenza.
    Chi investe i propri risparmi con dietro un bagaglio importante di esperienze e competenze, con al suo interno anche i graffi dei passati mercati orso azionari, parte sicuramente avvantaggiato.
    Sarà meno innamorato dei titoli e dei mercati, ma sicuramente più consapevole ed efficiente di conseguenza.
    Chi parte invece sprovvisto di bagaglio, parte certo più felice e spensierato, ma con un'alta probabilità di farsi del male.
    I mercati più insidiosi non sono allora quelli ribassisti, ma proprio quelli rialzisti.
    Tendiamo tutti a diventare più ottimisti, abbassando così la soglia di attenzione, attratti dalla luce come le falene.
    INVESTIAMO CON BUON SENSO.
    SEMPRE.

    Buona lettura!
  • 1 - PERCHE' PIANIFICARE (1 di 2)

    Pianificare è difficile.
    Pianificare è un processo non istintivo per la maggior parte degli individui, perché impone di rivedere le scelte di consumo, rinunciando anche ad una spesa immediata a beneficio di una spesa differita.
    In altre parole, l'attività di pianificazione è inibita e ostacolata da molte gabbie mentali ed emotive, i cosiddetti bias descritti dalla finanza comportamentale e da me più trattati volte.
    Per agevolare l'attivazione del processo di pianificazione è necessario semplificare e focalizzare l'attenzione su alcuni aspetti, concetti, bisogni, scenari, su cui non sempre si ha piena consapevolezza.
    Vediamone alcuni assieme.

    > Il rendimento reale prodotto dai mercati finanziari non è certo, ma "statisticabile".
    Le asset class di investimento che oscillano di più sono anche quelle con il più alto premio per il rischio.
    Per questo è fondamentale definire il tempo a disposizione per ciascun investimento, e scegliere di conseguenza ciò che ha più probabilità di generare valore in quello stesso tempo.

    > La volatilità è un ingrediente ineliminabile del processo di investimento.
    Sa essere molto sgradevole e spesso arriva in modo inaspettato, tuttavia è sempre e comunque un fenomeno congiunturale e non strutturale.
    Il tempo è il sonnifero della volatilità.
    Il tempo tende infatti ad addormentarla.

    > La liquidità è molto preziosa per soddisfare le spese programmate a breve termine, ma diventa dannosa se la si utilizza in maniera distorta.
    Depositi e conti correnti non sono una forma di investimento.

    > L'inflazione è una tassa subdola: non si vede ma c'è, ed è dannosa soprattutto per i percettori di un reddito fisso.
    Si può perdere anche guadagnando.

    > In Italia, negli ultimi 20 anni, l'inflazione ha eroso buona parte del reddito.
    Chi ha optato per la "sicurezza" della liquidità ha ottenuto un rendimento reale negativo, insufficiente a mantenere inalterato il potere d'acquisto.
    Dopo 20 anni, 100 euro sono diventati 116, contro i 142 necessari a comprare gli stessi beni.
    Fa così il 18,31% di perdita reale, al netto dei non considerati costi applicati sui conti correnti.

    > L'inflazione non è uguale per tutti.
    La tipologia di reddito, lo stile di vita, le abitudini, rendono difficile una generalizzazione.
    Con il supporto di un Professionista è importante valutare questi aspetti e inserire, laddove necessario, strumenti finanziari in grado di proteggere il reale potere d'acquisto meglio di quanto possano fare conti correnti e depositi.

    > La resilienza dei mercati, che si piegano ma non si spezzano, è una caratteristica statisticamente dimostrabile: l'economia si muove per cicli, e la stessa cosa accade in finanza, dove alle fasi di discesa anche marcata, fanno sempre seguito fasi di recupero e di nuova crescita.

    > La resilienza è però una peculiarità degli investimenti diversificati, non degli investimenti in singoli titoli o settori.
    In quest'ultimo caso esiste infatti la possibilità che eventi particolari possano anche azzerare il valore dell'investimento, come visto recentemente con Bio-On in Italia e con Wirecard in Germania.
    La diversificazione è allora la profilassi contro il rischio potenzialmente più nocivo.

    > Le fasi di crescita ed espansione sono storicamente più frequenti e prolungate rispetto alle fasi di recessione.
    L'investimento nell'economia reale, nel corretto orizzonte temporale, premia.
    Ogni caduta è un'opportunità.

    > La paura di perdere è giustificata dal fenomeno cognitivo della loss avversion, per il quale il dolore provocato da una perdita è di oltre 2 volte superiore alla soddisfazione generata da un guadagno.
    Questa asimmetria allontana gli investitori dagli assets più volatili e remunerativi.

    > Panieri ed indici sufficientemente diversificati ed efficienti hanno solo bisogno di tempo per annullare la percentuale statistica di perdita.
    Per determinati orizzonti temporali non ci sono evidenze per cui l'investitore va incontro a scenari negativi.

    > Al passare del tempo, rendimento e rischio non si muovono in egual maniera: mentre il rendimento cresce almeno proporzionalmente, il rischio cresce meno che proporzionalmente.
    Questo significa che l'allungamento del periodo di detenzione dell'investimento determina una riduzione tra worst (peggiore) e best (migliore) case, rendendo più prevedibile lo scenario atteso.

    > Impostare uno o più piani di accumulo (PAC) è un'ottima abitudine finanziaria.
    Trasforma infatti il risparmio in investimento, genera un automatismo virtuoso e consente di approfittare sistematicamente delle fasi di ribasso dei mercati.

    > Il piano di accumulo è un grande alleato contro l'emotività.
    E' la profilassi per difendersi nei confronti di bisogni crescenti che dovranno essere soddisfatti senza l'aiuto del Welfare (pensione, sanità, istruzione ...).
    La capitalizzazione composta è un acceleratore di risultati: produce rendimento sul rendimento.

    > Il rendimento composto dimostra di generare, nel lungo periodo, un valore straordinario.
    Il risparmio è di per sé virtuoso ma non sufficiente.
    Solo pazienza e metodo consentono di sfruttare esponenzialmente le caratteristiche dei mercati finanziari, e di accorciare i tempi nel raggiungimento dei propri obiettivi.

    A tra due settimane con la seconda parte del perché sia oggi fondamentale pianificare!
  • 2 - IL FONDO SOVRANO PIU' IMPORTANTE AL MONDO

    1.186.670.000.000 $.
    Cifra colossale, si fatica a leggerla vero?
    Mille Cento Ottantasei miliardi Seicento Settanta milioni di dollari.
    E' questo oggi il patrimonio del Fondo Sovrano più importante e consistente al mondo: il Fondo Sovrano Norvegese.
    Il Fondo scandinavo non è soltanto il primo per patrimonialità, primeggia anche per la qualità della sua gestione: una guida molto chiara per tutti coloro, grandi e piccoli risparmiatori e investitori, che ambiscono a far crescere nel tempo il loro risparmio.
    Il Fondo Sovrano Norvegese rappresenta l'eccellenza in tanti settori.
    Attraverso questo strumento la Norvegia sta costruendo una garanzia sempre più importante per il futuro e per le pensioni dei propri cittadini, avendo a disposizione un tesoro in grado anche di alimentare parte delle imprese del Paese.

    La storia parte dal lontano 1969, quando al largo delle coste venne scoperto uno dei più grandi giacimenti petroliferi del mondo.
    L'economia del Paese conobbe un'accelerazione improvvisa.
    Lo Stato decise che le entrate derivanti da petrolio e gas avrebbero dovuto essere utilizzate con cautela al fine di evitare squilibri all'economia.
    Nel 1990 il parlamento crea il Government Pension Fund Global.
    L'obiettivo è garantire che questi soldi vengano usati in maniera responsabile, pensando al lungo termine e salvaguardando così il futuro dell'economia nazionale.
    Serve anche come riserva finanziaria e come piano di risparmio a lungo termine, in modo che sia le generazioni attuali, sia quelle future, possano beneficiare della ricchezza prodotta dal petrolio e dagli investimenti finanziari.

    Sebbene i proventi della produzione di petrolio e gas siano trasferiti al Fondo, questi depositi rappresentano meno della metà del valore attuale del Fondo stesso.
    La parte maggiore è stata guadagnata negli anni investendo in azioni (pesano oggi per il 71% del totale), in obbligazioni (il 26,5%) e in immobili (il 2,5%).
    Il Fondo Norvegese detiene quasi 9.000 titoli azionari in 74 diversi paesi (Italia compresa), che rappresentano l'1,5% di tutte le società quotate al mondo.
    Il Fondo riceve un costante flusso di entrate da prestiti elargiti a paesi e a società.
    Possiede inoltre centinaia di edifici, in alcune delle più importanti città del mondo, che generano reddito da locazione.
    "Diversificando ampiamente i nostri investimenti riduciamo il rischio che il Fondo perda denaro", spiegano i suoi gestori.
    Per questo gli investimenti sono distribuiti nella maggior parte dei mercati, dei paesi e delle valute: per ottenere così un'ampia esposizione alla crescita globale e alla creazione di valore.
    "Il Fondo ha un orizzonte di investimento di lungo termine e limitate esigenze di liquidità".
    La strategia di investimento mira a sfruttare l'orizzonte di lungo periodo, e le dimensioni considerevoli del Fondo per generare elevati rendimenti e salvaguardare così la ricchezza nell'ottica delle future generazioni.
    Investimenti diversificati che comportino una buona diffusione del rischio, e il più alto rendimento possibile.
    Questa modalità di gestione ha permesso al Fondo Sovrano Norvegese di ottenere un rendimento medio annuo del 6,1% tra Gennaio 1998 e fine 2019.
    Alla fine del 2019 il valore di mercato del Fondo era di 10.088 miliardi di corone.
    Più della metà di questo valore (5.358 miliardi di corone) è stato generato grazie al ritorno sugli investimenti, sfruttando il tempo a disposizione e la magia della capitalizzazione composta.
    Affinché il Fondo avvantaggi il maggior numero possibile di persone in futuro, ne viene speso solo il rendimento e non il suo capitale.
    "Il ruolo del Fondo è garantire che la nostra ricchezza nazionale duri il più a lungo possibile. I suoi investimenti hanno una prospettiva estremamente di lungo termine, che gli consente di far fronte a possibili, grandi oscillazioni di valore nel breve periodo".
    Sempre più la gestione attiva del Fondo guarda ora alle questioni ambientali e sociali, decidendo anche di uscire da quelle società non considerate etiche e sostenibili nel lungo periodo.
    Nel Fondo Norvegese troviamo, riassumendo, un mix composto da diversificazione, investimenti di lungo periodo, esposizione azionaria, sostenibilità e progetti futuri da realizzare.
    Sono questi i concetti essenziali che ogni investitore, grande o piccolo che sia, dovrebbe oggi seguire.
    Poche regole, chiarezza d'intenti, risultati nel tempo assicurati.
    Sapere quali obiettivi si intendono realizzare con il proprio denaro, consente di scegliere senza inutili e pericolose scommesse.

    Al 2° posto della classifica dei fondi sovrani troviamo il China Investment Corporation, mentre al 47^ c'è il Fondo Sovrano italiano, il Cassa Depositi e Prestiti Equity.
    Lontano anni luce per dimensione dal Fondo Norvegese, in CDP c'è un tesoretto alimentato con gli utili del petrolio di casa nostra: la forza del brand Italia.
    Insomma, qualcosa da imparare dal Fondo Sovrano Norvegese credo ci sia.
    Non trovi?
  • 3 - RISCHI CHE SPESSO NEPPURE SI RIESCE A COMPRENDERE

    L'indice Standard & Poor's di Wall Street ha vissuto quest'anno le oscillazioni più violente di sempre, con un crollo del 34% in quattro settimane da fine Febbraio, e un recupero del 44% dal 23 Marzo alla prima settimana di Giugno.
    Senza precedenti è anche il rapporto fra il valore totale delle società quotate negli Stati Uniti e il prodotto interno lordo della prima economia del mondo.
    Mai prima nella storia l'indice più ampio di borsa americana, il Whilshire 5000, era arrivato a valere 1,6 volte il PIL americano.
    Qualcosa di non molto diverso è andato in scena sul principale indice di Borsa Italiana: il Ftse-Mib è caduto del 41,5% in poco più di due settimane dalla scoperta dei primi casi di contagio, per poi recuperare fino al 39% in Luglio, mentre l'economia ha perso il 17,3% rispetto alle sue dimensioni di un anno fa.
    Su molti titoli azionari sembra saltato ogni rapporto razionale fra prezzi e utili attesi.
    Nel frattempo gli italiani, come gli americani, sono stati chiusi in casa dal lockdown.
    E fra le quattro mura in molti sono stati presi da una febbre che deve avere qualcosa a che vedere con le fortissime oscillazioni dei listini.
    In Marzo e Aprile le ricerche in rete di parole legate all'investimento di portafoglio fai-da-te, in Italia, sono esplose da poco meno di 1,5 milioni al mese a oltre 3,6 milioni in piena pandemia.
    Le parole ricercate dagli italiani chiusi in casa dal coronavirus riguardano alcune delle piattaforme di trading più usate, ma anche alcuni strumenti di investimento complessi e inadatti al grande pubblico: opzioni binarie (particolari derivati che espongono al rischio di perdita dell'intero capitale investito), cfd (un derivato con cui scommettere a leva, accollandosi debito, sugli scarti di prezzo) o futures.
    Tutti strumenti da cui anch'io mi tengo assolutamente alla larga.
    L'investimento fai-da-te tramite app sul cellulare è così diventato un caso di convergenza fra scommesse, giochi online, reti social e finanza, dove si entra da canali virtuali ma si finisce per provocare (e poi subire) bolle e distorsioni nel mondo reale.
    Varie piattaforme di brokeraggio non incassano commissioni sulla compravendita di azioni e strumenti di investimento, ma guadagnano sulle transazioni in titoli e strumenti complessi.
    Per questa, come per altre applicazioni digitali di trading, è dunque evidente l'incentivo a spingere il cliente verso rischi che spesso neppure si riesce a comprendere.
    Molte delle ricerche in rete in Italia denotano profonda inesperienza.
    Le persone scrivono nella stringa di Google frasi come "quali azioni comprare" o "cosa sapere per investire" oppure ancora "cosa sono i futures sul petrolio".
    Gli investitori improvvisati su queste piattaforme, se ci rimangono a lungo, perdono nel 97% dei casi.
    E' il tempo di fermare tutto questo, prima che sia troppo tardi.
    Investire non è un gioco.
  • 4 - MAI SPRECARE UNA CRISI

    Gli uffici statistici nazionali hanno di recente certificato che quello finito lo scorso 30 Giugno è stato il peggior trimestre economico degli ultimi 70 anni per i Paesi occidentali.
    Malgrado le eccezionali misure di contrasto da parte di governi e banche centrali, la pandemia ha lasciato dappertutto segni negativi a due cifre nei dati del Pil, della produzione industriale, del fatturato dei servizi, precipitando l'economia mondiale in una recessione molto peggiore di quella vissuta 12 anni fa dopo il crac di Lehman Brothers.
    Le gravi recessioni economiche diventano poi purtroppo recessioni sociali.
    In America sta già accadendo.
    Nel frattempo, tuttavia, con una tempistica che può sembrare paradossale, le borse hanno quasi subito girato pagina.
    Tutti gli indici, raggiunto un punto di minimo poco dopo la metà di Marzo, sono risaliti infatti in fretta perché, con l'inizio del lockdown, gli investitori hanno iniziato a scommettere sulla fine dell'emergenza sanitaria e sul ritorno alla crescita.
    Era già successo ai tempi di Lehman: le borse, dopo il crollo di fine 2008, ripartirono già ai primi di Marzo del 2009, mentre la ripresa delle economie avvenne in modo molto più graduale nel secondo e terzo trimestre.
    Nel mezzo delle recessioni i mercati appaiono disconnessi dal resto dell'economia semplicemente perché chi compra e vende azioni segue di solito la regola "Never waste a crisis" ("Mai sprecare una crisi").
    Cerco di seguirla, almeno in parte, anch'io, con una frazione del mio personale patrimonio.
    Questo porta gli operatori a comprare quando il resto dell'economia vede ancora manifestarsi il segno "meno" nelle variabili economiche.
    Ma se poi si guardano i dati con più attenzione, la disconnessione tra borsa ed economia tende quasi a scomparire.
    La ripartenza delle borse è stata infatti più o meno veloce, a seconda delle caratteristiche delle aziende e dei settori che ne fanno parte.
    Il fatto che l'S&P500, indice più rappresentativo della borsa americana, sia già tornato ai valori di inizio anno dopo aver lasciato sul terreno più di un terzo del suo valore, dipende dal fatto che il Covid-19 ha premiato le aziende tecnologiche come Amazon, Apple, Google e Microsoft.
    Mentre le difficoltà dei listini francese (Cac), italiano (Ftse-Mib) e spagnolo (Ibex), che finora hanno percorso meno della metà della strada che li separa dai valori di inizio anno, sono dovute anche all'incerto futuro dei profitti aziendali nel lusso e nell'abbigliamento.
    Insomma, borse ed economia: disconnesse sì, ma non troppo...
  • 5 - UOMO - 47 ANNI - LAVORATORE DIPENDENTE

    Uomo - 47 anni - lavoratore dipendente - residente nelle regioni del Nord Italia - eccessivamente prudente in termini di scelte d'investimento.
    Sono questi i tratti principali dell'aderente tipo dei Fondi Pensione stando ai dati dell'ultima relazione Covip.
    Queste caratteristiche socio-demografiche (età, genere, condizione professionale, residenza), in aggiunta alle preferenze in termini di opzioni di investimento, sono interessanti per capire se il profilo che emerge è in linea con quello dei soggetti più bisognosi di previdenza complementare.

    > Partendo dall'età anagrafica, l'età media degli iscritti ai Fondi Pensione oggi é pari a 46,4 anni, con poca differenza tra uomini (46,6) e donne (46).
    Secondo il genere, gli iscritti di sesso maschile rappresentano il 62% del totale aderenti, mentre le donne coprono il restante 38%.
    Evidenza che riflette peraltro le differenze di genere nella partecipazione al mercato del lavoro.

    > Guardando alla condizione professionale, su un totale di 8,264 milioni di iscritti, 5,906 milioni sono lavoratori dipendenti concentrati per lo più nei fondi di sindacato.
    I lavoratori autonomi sono invece 1,115 milioni.
    Vi è poi un elevato numero, circa 1,243 milioni, di "altri iscritti", ossia soggetti diversi dai lavoratori, quali i soggetti fiscalmente a carico, coloro che hanno perso i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica per perdita o cambio di lavoro, ovvero per pensionamento obbligatorio, e soprattutto altri soggetti non classificati per i quali la forma pensionistica non dispone di informazioni aggiornate sulla situazione occupazionale.

    > Passando all'analisi della distribuzione geografica degli iscritti, i tassi di adesione più alti si registrano nel Nord Italia, e in particolare nelle regioni in cui l'offerta previdenziale è completata da iniziative di tipo territoriale, come la Valle d'Aosta e ancor di più il Trentino-Alto Adige (52%).
    Valori superiori alla media nazionale (31,4%) si registrano anche in altre regioni settentrionali, con discrete percentuali in Friuli-Venezia Giulia, Piemonte e Lombardia.
    Valori più bassi e decisamente inferiori alla media si rilevano invece in gran parte delle regioni meridionali, con un minimo in Sardegna (22%).

    > In termini di scelte tra le diverse linee ed opzioni di investimento offerte dai Fondi Pensione, si osserva la prevalenza dei comparti caratterizzati da una minore quantità di azioni e, di conseguenza, da un profilo del rapporto rischio/rendimento più basso.
    Quasi il 43% degli iscritti è infatti concentrato nei profili garantiti (offrono oggi una garanzia di rendimento pari a zero), e il 13% in quelli obbligazionari.
    Nei profili bilanciati si colloca il 37% degli aderenti, mentre è residuale il peso dei profili azionari, pari oggi al 7%.
    Il che potrebbe apparire coerente con i risultati relativi all'età anagrafica degli iscritti: un aderente vicino all'età del pensionamento è tendenzialmente portato a scegliere linee di investimento meno rischiose.
    Tuttavia, da un'analisi più approfondita, emerge una sostanziale stabilità dell'esposizione azionaria rispetto all'età.
    La quota azionaria nelle età di lavoro più basse è troppo contenuta se paragonata alla lunghezza dell'orizzonte temporale mancante al pensionamento.
    Viceversa, per le età più anziane, la quota azionaria si posiziona su percentuali anche troppo elevate rispetto all'imminente raggiungimento dell'età pensionabile, e quindi alla necessità di preservare per quanto possibile il montante nel tempo accumulato.
    Risultati che indicano l'assenza di una vera e propria logica life-cycle nella costruzione della personalizzata pianificazione previdenziale.
    Manca pertanto molto spesso la consulenza di un bravo Professionista in materia, con aderenti ai Fondi Pensione abbandonati a sé stessi e non supportati nella costruzione del pilastro previdenziale privato.

    A questo punto ci si potrebbe chiedere: l'aderente tipo fin qui delineato corrisponde al ritratto del soggetto maggiormente bisognoso di previdenza complementare?
    La fascia dei giovani purtroppo costituisce solo una piccola fetta degli iscritti oggi alla previdenza integrativa.
    Questo probabilmente perché, da un lato, la retribuzione percepita all'inizio dell'attività lavorativa è considerata troppo modesta per immaginare di destinarne anche solo una piccola parte al fondo pensione, e dall'altro, il momento del pensionamento appare così lontano nel tempo da passare in secondo piano rispetto ad altre priorità.
    Purtroppo però i soggetti che hanno maggiore necessità di una futura pensione complementare sono proprio le generazioni più giovani, per le quali, in applicazione del metodo di calcolo contributivo, varrà la regola "più contributi si versano, più alto sarà l'importo della futura pensione pubblica".
    Stando a queste considerazioni sulla pensione contributiva, i soggetti più bisognosi di previdenza complementare sono anche i cosiddetti lavoratori discontinui, cioè tutti quelli che iniziano con lavori flessibili o subiscono interruzioni di contribuzione nel corso della loro vita lavorativa, e che conseguentemente dispongono di minori contribuzioni.
    Avranno altresì tassi di sostituzione più bassi della media anche i lavoratori autonomi e i liberi professionisti, assoggettati a contribuzioni inferiori rispetto ai lavoratori dipendenti.
    Come per l'età anagrafica, anche nel caso della condizione professionale allora, il profilo dell'aderente "tipo" non presenta le caratteristiche del soggetto più bisognoso di previdenza complementare: lavoratori autonomi e liberi professionisti rappresentano infatti una piccola quota del totale iscritti ai Fondi Pensione.

    L'analisi condotta suggerisce la necessità sempre più stringente di indirizzare e consigliare al meglio i soggetti già iscritti alla previdenza complementare riguardo le proprie scelte di investimento, così come accompagnare i non ancora iscritti verso un percorso di risparmio e pianificazione previdenziale oggi quanto mai di grande attenzione ed importanza.
  • 6 - ECCO IL CAMPIONE NAZIONALE, MA PER IL RESTO...

    Alla fine aveva ragione Enzo Jannacci: quando si dice che è per principio, è per i soldi...
    Così, azionisti agguerriti, fondazioni votate al territorio e assicuratori de-patrimonializzati si sono inchinati ai 57 centesimi offerti magnanimamente da Intesa Sanpaolo e hanno consegnato le loro azioni Ubi aprendo le porte a un'adesione che ha superato il 90% del capitale.
    Il risultato finale è un successo personale di Carlo Messina, amministratore delegato di Intesa e fautore dell'operazione.
    Ha giocato una partita senza sbavature, facendo tutto quello che era necessario per vincere.
    Cambiando anche idea, com'è accaduto con il ritocco dell'offerta giunto nel momento di maggior difficoltà della controparte, perché è così che bisogna fare pur di vincere una partita in cui si è investito tanto.
    Il risultato non lascia spazio a interpretazioni.
    La rotonda percentuale di adesione all'offerta Intesa evita il rischio di ingovernabilità della banca acquistata, che si sarebbe concretizzato con un'adesione tra il 50 e il 66%.
    Intesa può così invece procedere da subito con il piano di integrazione.
    Prima banca italiana, Intesa, incrementa in questo modo il suo vantaggio sull'altra big del settore, Unicredit, aumentando di dimensione scegliendo Ubi, la più solida e promettente tra le concorrenti.
    Da questa operazione la geografia nazionale del settore bancario ne esce sicuramente mutata, ma non complessivamente rafforzata.
    Se Intesa fa un ulteriore passo in avanti, alle sue spalle cresce Bper, che a fine anno aumenterà circa del 40% il numero delle sue agenzie sparse nel territorio.
    Una crescita prepotente, che vedrà l'ex Popolare dell'Emilia Romagna passare dai 1.350 sportelli dello scorso 31 Dicembre ai 1.873 del prossimo, con una presenza importante nelle zone più ricche del paese.
    Questo scambio di sportelli tra Ubi e Bper, porta Modena a diventare il terzo centro creditizio d'Italia.
    L'articolata operazione voluta da Carlo Messina e disegnata da Mediobanca, non risolve però le importanti difficoltà del settore.
    Alle spalle i problemi infatti rimangono, e sono evidenti.
    Le banche italiane ricevono liquidità dalla Banca Centrale Europea più di quanto non accada a qualunque altro sistema bancario dell'Unione.
    Mentre Unicredit sembra aver abdicato a qualsiasi ruolo nel riassetto del settore, le partite che restano aperte sono almeno 3, e nessuna di queste prospetta una soluzione semplice.
    Il tavolo più importante è a Siena, dove il Monte dei Paschi deve trovare una dignitosa e non troppo onerosa via d'uscita per il governo italiano, oggi impegnato nella banca senese per il 68% del capitale.
    Gli accordi con le autorità europee impongono l'uscita entro 17 mesi: è possibile che la pandemia allunghi i termini, ma una soluzione va trovata.
    A frenare gli acquirenti è il carico pendente ereditato dal passato, ed è qui che, come in altri casi, ci si attende una decisione politica.
    Non meno complessa è la situazione della Popolare di Bari, banca oggi in piedi solo grazie alla doppia iniezione di denaro effettuata dal Fondo Interbancario (consorzio delle altre banche italiane), e dal Mediocredito centrale, che ha evitato il crac.
    La recente trasformazione dell'istituto in Spa apre ad un futuro che non sarà però molto prossimo.
    Al di là della propaganda, che la descrive come una nuova banca decisiva per il rilancio del Mezzogiorno, la Popolare di Bari è ancora in grave difficoltà, ed ha visto soprattutto incrinarsi il rapporto fiduciario con la propria clientela, proprio come avvenuto cinque anni fa in Veneto con Popolare di Vicenza e Veneto Banca.
    Forse meno complessa la situazione a Genova, dove in questi ultimi anni hanno mostrato una certa capacità nel costruire su macerie.
    Ma Carige continua a faticare e non riesce a trovare un partner capace di garantire un futuro allineato con le ambizioni del passato.
    Il titolo azionario è sospeso in Borsa da 19 mesi (pensa agli azionisti...), e la navigazione continua ad essere a vista.
    Bastano allora queste tre banche per riportare rapidamente con i piedi per terra un settore che l'acquisizione di Ubi da parte di Intesa vorrebbe lanciare verso traguardi europei.
    Sono tre nodi da sciogliere quanto prima.
    I più stretti, non gli unici.
  • 7 - LA CRESCITA INCREDIBILE DI SHOPIFY (DA NON CONFONDERE CON SPOTIFY...)

    I 2/3 delle imprese italiane, come ben sai, sono a conduzione familiare e generalmente di piccola dimensione.
    Queste imprese costituiscono da sempre la spina dorsale della nostra economia, e alcune di esse portano avanti i tipici "mestieri di una volta".
    Però, per forza di cose, anche loro devono guardare al futuro, innovare e proiettarsi verso l'economia 2.0, grazie anche alla vetrina al mondo fornita oggi dall'e-commerce.
    L'azienda che più di tutte, negli anni, è riuscita a fornire ad altre aziende questa vetrina digitale al mondo è Shopify, una vera e propria azienda per le aziende, attiva ormai da più di un decennio.
    In questi anni Shopify ha assistito migliaia di aziende, più o meno piccole, a gettare le fondamenta della propria presenza online, aiutandole a sfruttare al massimo le potenzialità offerte da questo potente strumento.
    Oggi Shopify è un colosso con sede a Ottawa, in Canada, ed il suo titolo azionario è quotato sia alla Borsa di Toronto, sia al NYSE di New York.
    Fa impressione vedere il grafico dell'andamento del titolo dalla sua quotazione ad oggi!

    Come molti altri business di successo nati dalla risoluzione di un problema, anche Tobias Lutke e Scott Lake, soci della prima ora, fondarono la loro creatura nel 2004 affrontando ostacoli in merito all'apertura del loro negozio online di snowboard.
    Certamente i due soci non potevano pensare che la loro passione per questo sport invernale li avrebbe portati a creare un colosso dell'e-commerce da miliardi di dollari.
    All'epoca nessun software si dimostrava adatto e semplice da usare, per la creazione del loro negozio virtuale.
    I due decisero così di progettare in proprio il loro sito di e-commerce partendo dalle basi.
    La prima versione aveva un'interfaccia talmente semplice che anche un non addetto ai lavori avrebbe potuto usarla.
    Successivamente i due decisero di rendere disponibile al pubblico il programma creato, più per il gusto di condivisione che per altro, all'interno di una community online.
    Solo dopo qualche tempo si resero conto di aver creato qualcosa di veramente unico e utile a molti.
    Cominciarono allora a ricevere commenti positivi da chi aveva cominciato ad usare il loro programma, e molti chiesero come fossero riusciti a creare qualcosa di simile.
    Anche se la vendita delle loro tavole da snowboard si rivelò profittevole, Lutke e Lake capirono che aiutare le imprese a vendere online i loro prodotti aveva un potenziale decisamente maggiore.
    Piuttosto che limitarsi a gestire un proprio negozio, si scoprirono molto più inclini a escogitare soluzioni per aiutare commercianti e aziende a lanciarsi online.
    Per espandersi ulteriormente avevano però bisogno di maggior supporto.
    Fu così che nel 2005 si aggiunse ai due Daniel Weinand, un programmatore conosciuto da Lutke.
    Fu proprio questa squadra di tre ragazzi a fondare Shopify.
    La piattaforma, dopo un preciso lavoro sul design e sulla progettazione, venne definitivamente lanciata nel 2006, e presentata al pubblico come un servizio che in soli 20 minuti permetteva la costruzione di un sito e-commerce.
    Cosa che nel 2004 (pre-Shopify) richiedeva almeno due mesi di tempo.
    Creare interfacce personalizzate, tenere traccia degli ordini, organizzare un inventario automatizzato di prodotti, erano solo alcune delle funzionalità messe a disposizione.
    Tutte funzioni che ora si danno per scontate, ma che all'epoca scontate non lo erano affatto.
    Ciliegina sulla torta, avevano previsto un'integrazione al tutto per processare i pagamenti tramite PayPal o carta di credito, abbandonando così bonifici o contrassegni.
    Per la prima volta, individui del tutto inconsapevoli di come funzionasse internet potevano usare strumenti comprensibili per mettere in piedi il proprio business online.
    Il 2007 fu per Shopify un anno di svolta, anche perché l'azienda cambiò la modalità con cui incassava.
    Agli inizi Shopify si faceva infatti pagare una commissione sulle transazioni.
    Una percentuale sulle vendite abbastanza scoraggiante per i suoi clienti, che giustamente volevano aumentare il volume del loro fatturato.
    Shopify introdusse quindi diversi piani di abbonamento ai quali si aggiungeva una piccola commissione sulle transazioni, commissione che diminuiva mano a mano che il piano di abbonamento sottoscritto aumentava di prezzo.
    La società incentivò così la clientela ad aumentare sempre più le proprie vendite, introducendo anche una serie di strumenti di tracciamento e analisi che permettevano di raccogliere, misurare e comparare i dati sulle scorte di magazzino, le vendite e le visite dei clienti sul proprio e-commerce.
    Ma non furono solamente i piccoli commercianti e le piccole imprese a vedere importanti potenzialità di crescita in Shopify.
    Anche attività più strutturate ed importanti, come Tesla Motors, cominciarono ad apprezzare le loro soluzioni.
    Il suo software era infatti molto meno costoso e più semplice da usare di molti altri disponibili in quel periodo, come Microsoft Commerce e Yahoo Stores.
    Lo sviluppo non si fermò lì.
    Shopify riuscì infatti a fare quel salto da strumento a piattaforma che a molte altre aziende operanti sul web non è riuscito.
    In molti erano infatti interessati alla personalizzazione e alla possibilità di costruire le proprie app all'interno del negozio Shopify.
    Decisero quindi, un pò come fa Apple Store ora, di creare una piattaforma all'interno della quale si potessero condividere e vendere queste applicazioni, ritagliandosi per sé una parte delle transazioni.
    La maggior parte delle app è creata e venduta da sviluppatori esterni.
    Apple, con il suo Apple Store, permette di vendere le applicazioni dietro pagamento di una commissione.
    Shopify adottò allora un approccio simile, e rilasciò al pubblico nel 2009 la piattaforma API (Application Programming Interface) annunciando la creazione dell'App Store per permettere a sviluppatori indipendenti di creare applicazioni e temi altamente personalizzati per i negozi online Shopify.
    Così facendo riuscirono ad attirare e coinvolgere sempre più clienti.
    La tecnologia aziendale non si fermò, e nel 2010, ben consapevole del crescente impulso degli acquisti effettuati tramite smartphone, avvenne il lancio di Shopify Mobile.
    Grazie a questa applicazione i clienti potevano monitorare tramite smartphone i loro negozi online, così come le informazioni relative alla clientela e alla gestione degli ordini.
    L'obiettivo era ovviamente quello di rendere la gestione degli shop online sempre più semplice e fruibile.
    Nel 2014 l'azienda arriva a contare oltre 120.000 clienti in tutto il mondo.
    Da allora si sono susseguiti aggiornamenti continui e nuova strumentazione. 
    Shopify è oggi un'istituzione per chiunque voglia aprire una propria attività di vendita online.
    Raggiunge ben 175 paesi nel mondo e conta più di un milione di negozi virtuali.
    Un business che non solo ha incentivato la vendita dei suoi prodotti, ma aiuta anche i propri clienti a vendere meglio e di più.
    Maggiore è il successo dei clienti stessi, maggiore è il successo conseguente ed il guadagno di Shopify.
    Pensa: secondo le stime, le vendite globali di e-commerce raggiungeranno i 3.900 miliardi di dollari quest'anno.
    Nel 2019 il valore dei prodotti venduti tramite la piattaforma di Shopify era pari a "soli" 61 miliardi di dollari.
    Il potenziale mercato è pertanto ancora immenso per l'azienda.
    Solo nel primo trimestre di quest'anno i suoi ricavi sono cresciuti del 47% rispetto all'anno precedente.
    Ricavi che derivano da diverse fonti, comprese anche le commissioni incassate dai pagamenti effettuati, ma l'introito principale rimane quello della vendita dei piani di abbonamento.
    Gli abbonamenti partono da una base di meno di 50 dollari al mese, fino anche a tariffe, per il servizio "Plus" in grande crescita, pari a 2.000 dollari mensili.
    Gli ultimi accadimenti hanno portato a un'ulteriore accelerazione di iscrizioni, con imprese enormi come Heinz e Lindt entrate in Shopify ad Aprile.
    Come avrai compreso, Shopify offre un servizio di fondamentale importanza in tempi come quello che stiamo vivendo.
    Un servizio caratterizzato da costi abbordabili, e rivolto a un universo enorme di settori.
    Tra il 13 Marzo e il 24 Aprile la creazione di nuovi negozi virtuali sulla piattaforma Shopify è aumentata del 62% rispetto alle settimane precedenti, supportando così i negozi tradizionali ad entrare nel commercio online.
    Shopify si è quotata in borsa nel 2015.
    La sua capitalizzazione è oggi pari a circa 115 miliardi di dollari, ed è più che raddoppiata da inizio anno nonostante la forte correzione subita nel primo trimestre.
    Shopify non si ferma e continua a guardare al futuro con nuovi investimenti ed acquisizioni.
    Lo stesso, consiglio sempre svolgendo il mio lavoro: investi guardando al futuro!
  • Oggi a Thiene siamo alle prese con il nuovo arredamento del nostro "recentemente nuovo" ufficio Azimut.
    Spero allora quanto prima di averti mio gradito ospite al suo interno.

    Concludo condividendo una frase di Henry Ford che ho fatto mia in questi ultimi anni:
    L'entusiasmo è alla base di tutti i progressi!
    Oltre che augurarti un sereno fine settimana, ti auguro allora anche tanto, tanto entusiasmo nella vita.
    Un caro saluto, a presto!

    Davide