Con l'ingresso annunciato in
Autostrade per l'Italia (Aspi) attraverso la Cassa Depositi e Prestiti, controllata dal Tesoro per l'83%,
lo Stato torna azionista di quasi tutti i settori centrali dell'economia italiana.
Se dovesse poi entrare, come ventilato, in Ilva sempre attraverso CDP, e in Alitalia con il ministero del Tesoro, si chiuderebbe il cerchio.
Dopo la planata negli ultimi 3 anni nel portafoglio pubblico del Monte dei Paschi e di Tim, il paragone con l'IRI degli anni 70-80 diventa inevitabile.
Strade, navi, aerei, difesa, meccanica, elettronica, telecomunicazioni, acciaio, banche, energia, treni, informazione...
Caselle occupate, ora come allora.
Ieri la necessità di una ricostruzione post guerra, oggi invece post pandemia.
Quanto vale tutto ciò? Più dell'anno scorso.
E quanto rende? Di meno.
Sulle 7 grandi aziende quotate, per capitalizzazione, e sulle 9 grandi non quotate, con il metodo dei multipli, le società del Tesoro valgono oltre 111 miliardi di euro, con un +6% dal 2018 trainato in gran parte dall'Enel.
Ma l'utile per il Ministero dell'Economia, cioè per le casse pubbliche, è sceso in un anno del 33% a 4,721 miliardi.
E il rendimento, il rapporto tra utile e valore, è crollato del 41% ed è oggi del 4,2%.
Lo Stato si espande allora nel mercato per effetto della crisi, ma la redditività non è ovviamente assicurata.
L'IRI del 1983, valutato ad oggi, aveva un attivo di 138 miliardi.
Lo Stato oggi ha quote dirette più diluite (tranne Rai, Mps e Fincantieri), ma più ramificate.
Tre gli errori da evitare con questi 111 miliardi di partecipazioni: fare i cassettisti, svenderle o restarci per sempre.
Per allearsi con lo Stato il mercato chiede una logica a tempo, modello Mps, con obiettivi di profitto.
E nella vicenda Autostrade, ancora tutta da scrivere (secondo le stime CDP dovrebbe sottoscrivere un aumento di capitale fra i 3 e i 4 miliardi per arrivare a una partecipazione del 31-33%), la presenza di coinvestitori è essenziale perché il debutto
in Borsa promesso diventi vero e non si trasformi in una definitiva partecipazione dello Stato, costretto a fare l'imprenditore.
Non è il suo mestiere, e la politica spesso si fa prendere la mano.
Mentre assicurare i controlli e dettare le regole lo è.
I fondi stranieri intanto, soci di Atlantia, annunciano ricorso contro la decisione del governo italiano di costringere i Benetton a rinunciare al controllo.
E l'ultima cosa di cui si avrebbe bisogno in momenti così sono proprio i contenziosi legali.
L'utile maggiore fra le partecipate viene oggi al Ministero del Tesoro dalla CDP: 2,8 miliardi, sebbene in calo dai 3,6 dell'Aprile scorso da bilancio 2018.
Seguono con 746 milioni pro-quota l'Enel (dai 957 precedenti), e con 573 milioni le Ferrovie dai profitti in crescita (da 474).
Poi Leonardo (248 milioni dai 154 precedenti), quindi con 392 milioni le Poste (in minimo calo dai 409 precedenti).
In perdita Mps e la Rai (-71 milioni).
Autostrade si presenta con un altro rosso immediato: 268 milioni la perdita nell'esercizio 2019.
Per non parlare di Tim, che porta sì 38 milioni di profitti e 17 di dividendi a CDP, ma da quando Cassa vi è entrata in prima battuta con il 4,2% (ora ha quasi il 10%), ad Aprile 2018, autorizzando un investimento di 605 milioni per il 5%, ha più che
dimezzato il valore in Borsa (-55% a fine Luglio 2020).
L'IRI aveva invece Comit, Credito Italiano e Banco di Roma, Autostrade e Fincantieri, Finmeccanica e la Stet, Finsider e la Rai, le Ferrovie e Alitalia.
Tutte vicine al 100%.
Oggi il Tesoro e Cassa Depositi hanno quote, ma in misura molto variegata, in Mps e Fincantieri, Tim, Rai, Leonardo, Poste, Stm, Enel, Eni, Snam, Italgas, Terna ed Enav.
E ancora, attraverso CDP, in Open Fiber e Manzotin, Versace e le costruzioni con Webuild, gli alberghi con Th Resort, gli aeroporti (Napoli, Bologna, Torino, Alghero, Milano) con il fondo F2i.
Serve però una struttura in tutto questo.
Serve una classe dirigente che sappia gestire bene le società, fare i piani industriali, scegliere i migliori manager.
L'IRI, Istituto per la Ricostruzione Industriale, agiva con logica di controllo, mentre CDP si muove in modo simile a un fondo di private equity.
L'IRI era un ente pubblico finanziato con un fondo di dotazione statale e obbligazioni garantite dallo Stato, CDP è invece un intermediario finanziario che raccoglie attraverso il risparmio postale.
Lo Stato italiano, azionista nel XXI secolo, è così tornato un gigante.
Questo accade anche in Francia e Germania, si pensi a Renault o Lufthansa.
Ma affinché gli errori del passato non si ripetano, c'è una sfida multipla da affrontare: sana redditività, separazione dei ruoli tra azionisti e gestione, manager e amministratori capaci e scelti per merito, controlli adeguati.
Più la capacità di lavorare a fianco dei privati, ma sempre con criteri di mercato.
Perché se 40 anni fa ci si poteva anche permettere di essere azionisti unici, il mito dello Stato imprenditore oggi non regge, e senza il patto con i privati la partita è persa in partenza.
Per evitare l'accusa UE di aiuti di Stato, ma anche per stimolare le alleanze necessarie (in Alitalia ad esempio).
La vicenda Autostrade farà allora da cartina di tornasole.
Lo Stato deve entrare nelle imprese con le regole del mercato.
Ma, soprattutto in crisi profonde come quella attuale, l'alleanza pubblico-privato appare l'unica strada perché il suo ingresso possa portare innovazione e benefici al mercato e alla collettività.