Alzi la mano chi, tra gli over 40, non ha un nitido ricordo delle "notti magiche" di Italia '90 cantate da Edoardo Bennato e Gianna Nannini.
Della gioia per i gol di Schillaci, dell'amarezza per un finale che, con un pizzico di fortuna in più, davvero poteva essere indimenticabile.
Di quel tempo, oltre al fascino dell'avventura azzurra, rimane altro.
Uscendo dal mondo calcistico ed entrando in quello finanziario, rimangono ancora oggi solide e fervide suggestioni che non trovano riscontro empirico.
Convinzioni che ancora distraggono il risparmiatore da ciò che è essenziale, facendo cadere una fitta nebbia che spesso non consente di intraprendere il giusto sentiero.
Tra i più "duri a morire" c'è sicuramente il mito degli alti tassi nominali che a quel tempo un semplice conto corrente era in grado di garantire.
Pur non toccando i livelli del decennio precedente, i tassi di interesse compresi tra il 6 e il 7% dei primi anni 90 sono sempre stati considerati come qualcosa di imperdibile, di nemmeno confrontabile con il traballante andamento dei mercati azionari.
Ebbene, questo assioma continuiamo purtroppo a portarcelo dietro ancora oggi, visto che nemmeno i tassi di interesse negativi sono stati capaci di indirizzare verso l'economia reale il risparmio degli italiani.
Ancora oggi si investe poco e male nel mercato azionario.
Ma qual'è allora il prezzo di questo comportamento?
Come possiamo quantificare il costo di questo paradigma per chi lo ha pedissequamente applicato, preferendo l'analgesico della liquidità al cospetto della volatilità dei mercati?
Si tratta di un comportamento errato, dannoso, ed erosivo di valore per chi continua a perpetrarlo.
Nonostante l'inevitabile oscillazione della performance annua, l'indice azionario globale MSCI World, dal 1990 ad oggi, si attesta mediamente su livelli nettamente superiori al rendimento free risk (privo di rischio)
percepito dai più nella liquidità.
Inoltre, tranne qualche sporadica rilevazione concentrata per lo più negli anni 90, l'inflazione è stabilmente più alta rispetto al tasso medio con cui è remunerato il cash.
Depuriamo ora i rendimenti storici dell'azionario MSCI World e della liquidità proprio dall'inflazione.
Confrontiamo quindi ciò che davvero conta: il rendimento reale dei due asset.
Nella serie storica considerata (1990-2019) il rendimento reale annuo medio dell'MSCI World è stato pari al 6,78%, mentre quello della liquidità in conto corrente negativo dello 0,39%.
Mentre il vituperato mercato azionario è stato allora in grado di consegnare al paziente investitore un premio al rischio di assoluto rilievo, il tanto decantato e sicuro cash ha generato un'effettiva perdita di potere d'acquisto, nonostante tassi
nominali che, in alcuni frangenti storici, hanno raggiunto livelli notevoli.
E' già evidente a questo punto il siderale divario di valore realmente prodotto dalle due alternative di investimento da una parte, e di mancato investimento dall'altra.
Al fine però di rendere tutto il più chiaro possibile, immaginiamo di aver allocato la stessa somma di denaro a fine 1989 nelle due asset class considerate.
Davide (nome a caso...) investe 1.000 € nell'azionario globale, Giorgio lascia invece la somma dormiente in conto.
A distanza di 30 anni, Giorgio, che ha preferito evitare il rischio azionario privilegiando la liquidità, non solo ha nettamente perso il confronto con Davide, che ha invece investito in aziende e nella reale economia mondiale.
Giorgio (si ritroverebbe con una somma pari a 887 €) ha perso anche potere d'acquisto, erodendo il suo patrimonio alla luce dei tassi reali negativi che hanno caratterizzato in media gli ultimi 30 anni.
Non solo quindi si ritrova meno ricco di Davide che avrebbe visto crescere a quasi 4.500 € la sua somma investita, ma è anche più povero di prima in termini reali.
L'ennesima conferma che si può perdere pur pensando di guadagnare.
L'ennesima dimostrazione di quanto i tassi nominali siano una letale esca finanziaria.
Il "catenaccio" con cui Giorgio si è mosso non ha dunque pagato, anzi.
Tutto questo non deve portarci a pensare che la ricompensa finanziaria sia il frutto di un atteggiamento spregiudicato, aggressivo e sbilanciato di "zemaniana" memoria.
Associare al guadagno raggiungibile attraverso i mercati azionari una vocazione speculativa, come se fosse figlio di una scommessa o di un azzardo, è profondamente distorsivo della realtà.
L'investimento azionario, piuttosto, è figlio della scelta di canalizzare il proprio risparmio (o una sua parte) in qualcosa di estremamente concreto: aziende, persone, progetti che mediamente crescono e producono benessere.
Parte di queste aziende non ce la fa, ma la maggioranza di loro crea ricchezza, affronta con successo le avversità e si innova migliorando.
E' con questa consapevolezza che investire nel mercato azionario diversificato, meglio se globale, non può far altro che premiare chi lo fa senza riservare sgradevoli sorprese.
Ed è con questa consapevolezza che andrebbe abbandonata l'errata prospettiva con cui lo si guarda, questo mercato, ancora oggi.
Perché ad essere troppo difensivi si finisce per non vincere mai ...