Dopo il tonfo e il successivo rimbalzo, dove sono dirette le Borse?
Wall Street e le altre piazze riusciranno a riagguantare velocemente i picchi di metà Febbraio, o dovranno subire altri colpi prima di rialzarsi?
Nessuno può dire con certezza dove saranno i listini tra uno o tre mesi.
Ma in pochi dubitano che, su un orizzonte più lungo, riprenderanno quota.
L'ultima crisi può allora essere l'occasione per risintonizzarsi sulle giuste frequenze dei mercati, liberandosi di alcuni falsi miti che tendono a distorcere in modo sistematico le nostre decisioni di investimento.
O magari, mettendo in discussione certi "dogmi" di mercato che meriterebbero di essere ridimensionati a semplici regole, perché, come tali, presentano delle eccezioni.
1) I Bund (titoli di Stato tedeschi) sono privi di rischio.
Non è completamente vero in quanto dipende da qual'è il rischio preso in esame.
Perché se la solidità dei titoli del Tesoro tedesco è fuori discussione, i prezzi possono subire oscillazioni anche molto violente.
Un aumento dei tassi pari a 50 punti base, come quello osservato a Marzo nell'arco di 10 giorni, si traduce in una perdita in conto capitale di circa 5 punti percentuali sul Bund decennale.
Senza dimenticare poi che il Bund a 10 anni ha oggi un tasso negativo dello 0,5% a cui occorre aggiungere l'inflazione.
2) Le obbligazioni sono un sicuro rifugio quando le Borse crollano.
Di quali bond stiamo parlando?
Il mondo obbligazionario è molto vasto, e mentre i titoli governativi dei paesi più solidi si sono comportati bene anche nell'ultima fase di mercato orso (in discesa), non si può dire altrettanto per le emissioni societarie (corporate) di buona
qualità (Investment Grade).
Oggi i panieri di riferimento del mondo Investment Grade sono sovraccarichi di titoli BBB, nell'ultimo gradino dell'universo di buona qualità.
Un portafoglio bilanciato di azioni e obbligazioni, basato su fondi che investono sul mercato intero o quasi, riduce comunque i rischi e nel tempo paga.
3) A lungo termine gli Emergenti battono i mercati sviluppati.
La storia degli ultimi 10 anni dice invece il contrario: l'indice azionario dei mercati emergenti globali (MSCI Emerging Markets) ha consegnato una performance annualizzata del 2,9% contro il 9,3% dell'indice azionario globale (MSCI World).
Se però allunghiamo lo sguardo fino ad abbracciare l'ultimo ventennio, l'esito del confronto si ribalta: il paniere emergente, con un rendimento medio annuo del 6,5%, supera le azioni dei paesi sviluppati (4,3%).
Nel lunghissimo termine gli emergenti probabilmente faranno meglio, perché hanno superiori potenzialità di crescita che dovrebbero riflettersi anche sulle dinamiche di Borsa.
4) Investire nei Paesi Emergenti equivale a puntare sulle commodity (materie prime).
Falso. Oggi il settore più rappresentato nel paniere dei mercati emergenti è quello finanziario (21%), seguito dalla tecnologia (17%).
Materiali di base ed energia valgono insieme solo poco più di un decimo del paniere stesso.
Ricordiamoci che quando parliamo di mercati emergenti, il Pil della Cina pesa oggi per il 45% all'interno del Pil totale degli emergenti stessi.
5) Le Borse europee sono dominate da banche ed energia.
Falso. Dieci anni fa questi settori rappresentavano da soli un terzo dell'Eurostoxx 600, ma oggi l'healthcare (17%) pesa il doppio rispetto alle banche, mentre l'oil&gas vale il 4,5%, meno della tecnologia e delle utility (servizi
di pubblica utilità come acqua, energia, telecomunicazioni ...).
6) L'oro è un porto sicuro in fase di incertezza.
Questo è tendenzialmente vero, ma ci sono delle eccezioni come dimostra anche il crollo di oltre 10 punti percentuali registrato a Marzo, proprio nel momento di massimo panico sui mercati.
Si è trattato di un fenomeno transitorio dovuto a fattori tecnici (temporanea carenza di liquidità) che l'hanno mandato in tilt.
Potrebbe accadere di nuovo.
Superato il momento però l'oro è tornato a fare quello che ci si aspettava, ossia proteggere il capitale.
7) Avere in portafoglio i migliori gestori di fondi è garanzia di buone performance.
Falso, anche perché i rendimenti passati non sono mai indicativi di quelli futuri.
Molti studi dimostrano inoltre che l'asset allocation, la costruzione quindi del portafoglio mattoncino per mattoncino, ha un ruolo più importante nel determinare le performance di portafoglio rispetto all'eventuale extra rendimento generato dal
gestore attraverso la selezione dei singoli titoli.