Vent’anni fa, era il 10 Marzo del 2000, la
Bolla di Internet si gonfiò ai massimi.
L’indice Nasdaq della Borsa americana, pieno zeppo di aziende high-tech (e in particolare di dot.com) aveva superato i 5.000 punti.
Ma l’euforia per il futuro della New Economy scoppiò il giorno successivo e iniziò un lungo declino, durato per due anni fino al minimo di 1.108 punti toccato il 9 Ottobre 2002.
Un crollo dell’80% dal quale la Borsa tecnologica americana ha impiegato poi 13 anni per riprendersi.
Lo scorso 19 Febbraio, prima dell’effetto coronavirus, il Nasdaq ha fatto segnare un nuovo record storico a 9.817 punti, quasi il doppio di 20 anni fa.
Oggi il Nasdaq è a quota 7.350 punti (-25% il ribasso nelle ultime settimane), e resta l’interrogativo se non siano troppo ottimiste le previsioni di crescita dei profitti di big come Apple, Microsoft, Amazon, Alphabet e Facebook, le società più grandi
al mondo per capitalizzazione di Borsa.
Di queste 5, solo Microsoft era protagonista del boom di 20 anni fa, ma all’epoca il suo business (vendita di software per pc) era ben diverso dall’attuale (servizi in cloud).
La cosa più importante, rispetto al passato, è che oggi le aziende tecnologiche realizzano davvero profitti e generano flussi di cassa, la liquidità disponibile per operare.
Vent’anni fa invece bastava aggiungere “.com” al nome di un’azienda per quotarla al Nasdaq a prezzi stratosferici, anche senza un business plan sostenibile.
Pets.com, ad esempio, vendeva online prodotti per animali e, seppur in profondo rosso, spendeva milioni per farsi pubblicità in tv; quotata nel Febbraio 2000 è fallita soltanto nove mesi dopo.
Non solo per cattivi affari, ma per aver truffato sui bilanci, è scomparsa Worldcom nel 2002, per la più grande bancarotta dell’epoca.
Fra le top ten del 2000, sono scomparsi dal listino dei titoli quotati il produttore di pc Dell (tornato privato sotto la guida del suo fondatore Michael Dell), e il primo portale online Yahoo! comprato dal gruppo telecom Verizon.
Ai vertici sono rimasti il gigante dei semiconduttori Intel, e il leader nelle infrastrutture internet Cisco, ma entrambi molto ridimensionati se si pensa che valgono rispettivamente il 40 e il 63% in meno.
Due dei big di oggi non esistevano neppure 20 anni fa: Alphabet e Facebook, le cui valutazioni non sono basse ma comunque ben lontane dalla pura follia di allora.
Eccezionale è stato invece l’exploit di Apple che nel 2000 era appena tornata sotto la guida del suo fondatore Steve Jobs, dopo aver quasi rischiato la bancarotta.
All’epoca valeva solamente una ventina di miliardi di dollari.
Nonostante una performance del 6.000%, la sua valutazione attuale rimane contenuta, con un p/u (rapporto tra prezzo del titolo quotato e gli utili dell’azienda) poco sopra 20 grazie alla montaga di profitti generati dai prodotti e servizi, ormai di culto,
targati Mela.
In generale il mercato odierno è molto diverso rispetto a quello del 2000.
La Federal Reserve (banca centrale americana) allora stava alzando il costo del denaro, mentre ora lo sta abbassando ai minimi storici.
La folle euforia di allora aveva inoltre contagiato moltissimi piccoli investitori che andavano a comprare i titoli azionari all’impazzata, mentre in pochi hanno partecipato al rialzo del Toro iniziato nel 2009.
Su tutto il mercato (e sull’economia mondiale) pesa ora l’incognita Coronavirus.
Il ceo Apple, Tim Cook, ha già avvisato che fatturato e profitti dell’azienda saranno inferiori al previsto.
Il peggio del contagio in Cina sembra però passato.
Ma ora che il virus si estende a Europa e Stati Uniti, in pochi hanno il coraggio di comprare al Nadsaq nonostante prezzi molto probabilmente a sconto.