Nella Slavonia croata, alla frontiera con l’Ungheria, ogni anno centinaia di abitanti lasciano cittadine e villaggi per cercare fortuna all’estero così come facevano, ormai un secolo fa, i loro nonni o bisnonni.
Lo spopolamento della Croazia (4,07 milioni di abitanti oggi) si tocca con mano, e la tendenza è simile a quella che si registra in altri paesi dell’Est Europa dove si moltiplicano le misure a favore della natalità.
Il premier croato Plenkovic ha recentemente affermato che il paese perde ogni anno l’equivalente della popolazione di una piccola città di 15mila abitanti.
La libera circolazione delle persone, così come la bassa natalità, provocano anche una carenza di manodopera.
Tre contee della Slavonia si sono prosciugate.
Secondo l’ufficio di statistiche croato, il saldo tra immigrati ed emigrati è negativo da anni.
Nel 2019, a fronte di 26mila immigrati, si sono contati 39mila emigrati alla ricerca di fortuna tendenzialmente in Germania, dove ormai risiedono circa 300mila croati.
Vanno questi ad aggiungersi ai rumeni in Italia, ai polacchi in Inghilterra o agli albanesi in Francia.
La crisi economica, il divario salariale, la libera circolazione sono diventati i fattori di una miscela che lascia gravissime conseguenze sociali e politiche.
Un recente articolo della banca centrale croata sostiene che tra il 2013 e il 2016, 230mila cittadini avrebbero lasciato il paese.
Ormai il 22% dei croati nati in Croazia risiede all’estero.
Sul tavolo dell’Unione Europea (il governo croato dal 1° Gennaio ne ha assunto la presidenza) non c’è solo lo spopolamento di alcuni paesi, ma anche l’invecchiamento della popolazione con quasi il 20% degli abitanti europei con più di 65 anni.
Molti stati membri soffrono di un progressivo spopolamento.
Tra il 1991 e il 2015 i paesi baltici hanno perso in media il 16% della loro popolazione.
La Bulgaria addirittura il 26% dei suoi abitanti.
La Lettonia ha visto la sua popolazione scendere da 2,66 milioni dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, a 1,92 milioni oggi.
Alcuni governi dell’Est Europa perseguono ambiziose politiche della natalità che nella parte occidentale del continente i paesi esitano a introdurre perché ricordano le misure nazionalistiche dei passati regimi autoritari.
In Polonia è aumentata la spesa statale per le famiglie, mentre in Ungheria il governo Orban ha nazionalizzato 6 cliniche per la fertilità, annunciando che i trattamenti di fecondazione in vitro saranno presto a disposizione di tutte le donne.
Questo declino demografico è stato quindi dettato da 2 eventi geopolitici: la fine dell’Unione Sovietica e l’allargamento dell’Unione Europea.
La libertà di movimento ha indotto all’emigrazione chi voleva una migliore qualità della vita, nuove personali opportunità e anche forse liberarsi dal giogo del clientelismo e della corruzione.
L’impatto economico della crisi demografica è notevole e pesa inevitabilmente sulle economie nazionali e sui conti pubblici.
Secondo le più recenti proiezioni, senza appropriate politiche demografiche il numeri di abitanti della Croazia scenderà a 3,46 milioni entro il 2050.
La stessa drammatica tendenza è prevista dalle Nazioni Unite anche in altri paesi dell’Est Europa, dalla Polonia all’Ungheria, alla Romania.
La crisi demografica (ed economica conseguente) tende spesso ad alimentare il populismo, inasprendo quindi il nazionalismo.
Spero che in Europa si riesca a far fronte a tutto questo.