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www.davideberto.it2024-10-11
  • Nel Marzo 1979 due giovani studiosi pubblicano un articolo che rivoluziona il modo in cui capiamo le nostre scelte negli affari e nella gestione dei risparmi.
    Non sono due economisti, ma due psicologi.
    Daniel Kahneman e Amos Tversky presentano un’analisi delle decisioni in condizioni di rischio.
    I due dimostrano che gli esseri umani sono istintivamente più disposti a rischiare pur di evitare una perdita che per ottenere un guadagno di pari dimensioni.
    Siamo animali sociali avversi a rimetterci qualcosa e non c’è niente come l’idea stessa di poter subire perdite (o di averle subite) che cambi il modo in cui ci comportiamo e vediamo il mondo.
    Tversky è morto nel 96, Kahneman ha vinto il Nobel per l’Economia nel 2002 e tra poco compirà 86 anni.
    Sicuramente anche per questo molti italiani preferiscono tenere i propri risparmi sotto al materasso o, più comodamente, nel conto corrente ma senza investirli, perché non si fidano di chi dovrebbe aver cura dei loro soldi.
    Sentimento a volte anche giustificato ma pericoloso, non fosse altro perché espone il denaro alla puntuale erosione dell’inflazione e sottrae risorse al sistema.
    1.500 miliardi di euro depositati oggi infruttiferi nei conti correnti sono la misura della sfiducia degli italiani, o se preferite, della paura di rimanere truffati.

    Buona lettura!
  • 1) IL DECENNIO NERO PER I GURU CATASTROFISTI

    Con il 2019 si è chiuso un decennio d’oro per chi ha investito in Borsa.
    Sono trascorsi oltre 10 anni dall’inizio del rally a Wall Street (il rialzo sull’S&P500 supera il 300% senza contare i dividendi), uno dei più lunghi della storia.
    E’ stato al contrario un decennio da dimenticare per tutti quei guru catastrofisti che, a partire dal 2010, hanno messo in guardia gli investitori sui rischi dell’investimento azionario.
    JP Morgan ha recentemente preparato uno studio dedicato alla categoria degli “armageddonist”, coloro che hanno invitato alla prudenza per paura di recessioni in arrivo o di nuove crisi.
    Gli inviti alla prudenza da parte degli “esperti” hanno infatti giocato un brutto scherzo a chi li ha seguiti, come anche nel corso di fine 2018 con le perdite dell’ultimo trimestre ampiamente recuperate e oltre dallo splendido 2019.
    Il primo appello a finire nel mirino del report di JP Morgan è quello di Nouriel Roubini nel maggio del 2010.
    Il docente ed economista americano, salito alla ribalta per aver previsto la crisi finanziaria, comincia a vedere nella primavera del 2010 i rischi di una recessione globale double-dip (a forma di “w”, dopo un iniziale picco negativo l’economia torna a crescere per un periodo per poi crollare nuovamente).
    Erano trascorsi appena 18 mesi dal crack Lehman e l’economia mondiale appariva ancora troppo fragile.
    Questo scenario non si è poi concretizzato.
    Nel report appaiono anche personaggi del calibro di Marc Faber, investitore svizzero ed editore della newsletter Gloom Boom & Doom Report dove sono frequenti gli scenari negativi sui mercati finanziari.
    Faber nel 2012 lancia l’allarme recessione globale per fine anno o al massimo a inizio 2013.
    Previsione disattesa anche la sua.
    Non mancano poi le dichiarazioni del raider statunitense Carl Icahn e del più noto finanziere ungherese naturalizzato americano George Soros.
    Il primo nel settembre 2015, e il secondo nel gennaio 2016 mettono in guardia i risparmiatori sui rischi di una seria correzione sui mercati finanziari, con Soros in particolare che punta l’attenzione sulla Cina come fattore destabilizzante.
    Anche in questo caso, allarmi rimasti sulla carta, a dimostrazione del fatto che si deve sempre investire e pianificare per esigenze ed obiettivi, senza lasciarsi troppo influenzare da mass media e pseudo guru finanziari.
  • 2) IL GRANDE DRAMMA DELL'EST EUROPEO

    Nella Slavonia croata, alla frontiera con l’Ungheria, ogni anno centinaia di abitanti lasciano cittadine e villaggi per cercare fortuna all’estero così come facevano, ormai un secolo fa, i loro nonni o bisnonni.
    Lo spopolamento della Croazia (4,07 milioni di abitanti oggi) si tocca con mano, e la tendenza è simile a quella che si registra in altri paesi dell’Est Europa dove si moltiplicano le misure a favore della natalità.
    Il premier croato Plenkovic ha recentemente affermato che il paese perde ogni anno l’equivalente della popolazione di una piccola città di 15mila abitanti.
    La libera circolazione delle persone, così come la bassa natalità, provocano anche una carenza di manodopera.
    Tre contee della Slavonia si sono prosciugate.
    Secondo l’ufficio di statistiche croato, il saldo tra immigrati ed emigrati è negativo da anni.
    Nel 2019, a fronte di 26mila immigrati, si sono contati 39mila emigrati alla ricerca di fortuna tendenzialmente in Germania, dove ormai risiedono circa 300mila croati.
    Vanno questi ad aggiungersi ai rumeni in Italia, ai polacchi in Inghilterra o agli albanesi in Francia.
    La crisi economica, il divario salariale, la libera circolazione sono diventati i fattori di una miscela che lascia gravissime conseguenze sociali e politiche.
    Un recente articolo della banca centrale croata sostiene che tra il 2013 e il 2016, 230mila cittadini avrebbero lasciato il paese.
    Ormai il 22% dei croati nati in Croazia risiede all’estero.
    Sul tavolo dell’Unione Europea (il governo croato dal 1° Gennaio ne ha assunto la presidenza) non c’è solo lo spopolamento di alcuni paesi, ma anche l’invecchiamento della popolazione con quasi il 20% degli abitanti europei con più di 65 anni.
    Molti stati membri soffrono di un progressivo spopolamento.
    Tra il 1991 e il 2015 i paesi baltici hanno perso in media il 16% della loro popolazione.
    La Bulgaria addirittura il 26% dei suoi abitanti.
    La Lettonia ha visto la sua popolazione scendere da 2,66 milioni dopo l’indipendenza dall’Unione Sovietica, a 1,92 milioni oggi.
    Alcuni governi dell’Est Europa perseguono ambiziose politiche della natalità che nella parte occidentale del continente i paesi esitano a introdurre perché ricordano le misure nazionalistiche dei passati regimi autoritari.
    In Polonia è aumentata la spesa statale per le famiglie, mentre in Ungheria il governo Orban ha nazionalizzato 6 cliniche per la fertilità, annunciando che i trattamenti di fecondazione in vitro saranno presto a disposizione di tutte le donne.
    Questo declino demografico è stato quindi dettato da 2 eventi geopolitici: la fine dell’Unione Sovietica e l’allargamento dell’Unione Europea.
    La libertà di movimento ha indotto all’emigrazione chi voleva una migliore qualità della vita, nuove personali opportunità e anche forse liberarsi dal giogo del clientelismo e della corruzione.
    L’impatto economico della crisi demografica è notevole e pesa inevitabilmente sulle economie nazionali e sui conti pubblici.
    Secondo le più recenti proiezioni, senza appropriate politiche demografiche il numeri di abitanti della Croazia scenderà a 3,46 milioni entro il 2050.
    La stessa drammatica tendenza è prevista dalle Nazioni Unite anche in altri paesi dell’Est Europa, dalla Polonia all’Ungheria, alla Romania.
    La crisi demografica (ed economica conseguente) tende spesso ad alimentare il populismo, inasprendo quindi il nazionalismo.
    Spero che in Europa si riesca a far fronte a tutto questo.
  • 3) PREOCCUPA IL CALO DEMOGRAFICO DEL DRAGONE

    L’India, rispetto alla Cina, aveva 300 milioni di abitanti in meno nel 1980, ma entro questo decennio, si stima, andrà a superare la popolazione cinese, per continuare a salire oltre il miliardo e mezzo.
    La Cina invece si fermerà sotto tale soglia per poi progressivamente diminuire.
    La politica cinese del figlio unico aveva, del resto, proprio l’obiettivo di contenere l’eccessivo aumento della popolazione per poter favorire la crescita economica.
    Il Pil cinese (ne parlerò nel prossimo numero della newsletter) rischia ora però di subire gli effetti negativi dello stesso indebolimento demografico.
    La denatalità non riduce semplicemente la popolazione, la erode dal basso, ovvero fa in modo che le nuove generazioni via via entranti siano sempre di meno.
    Questo nel tempo produce forti squilibri, in particolare nel rapporto tra popolazione anziana e popolazione in età lavorativa, con mutamento sfavorevole del rapporto tra chi alimenta i processi di crescita e chi assorbe ricchezza.
    La presenza solida di popolazione in età 25-49 ha sostenuto la produzione e alimentato un ampio mercato interno.
    Ma questa componente è proprio quella che si ridurrà maggiormente, mentre gli over 65 diventeranno oltre uno su quattro entro la metà del secolo.
    Il freno della popolazione attraverso la riduzione delle nascite produce squilibri, soprattutto se il calo della fecondità è repentino e i valori rimangono persistentemente bassi, con costi economici e sociali che diventano crescenti nel tempo.
    Ciò spiega perché il governo cinese abbia prima allentato il vincolo del figlio unico, per poi toglierlo nel 2016.
    Ciò che rende l’invecchiamento più grave in Cina è un sistema sociale, previdenziale e sanitario, molto poco sviluppato.
    Particolarmente carente in molte zone rurali, dove la presenza di anziani, per le dinamiche migratorie verso i grandi centri urbani, è maggiore.
    In questo scenario demografico, la sostenibilità sociale e la possibilità di alimentare la crescita economica non possono che passare attraverso un miglioramento dei fattori di efficienza e produttività del lavoro.
    La strategia del Dragone sembra essere quella di puntare sull’aumento del capitale umano, sull’investimento in ricerca e sviluppo, sul favorire i processi di innovazione nei campi della robotica, dell’intelligenza artificiale e dell’automazione.
    Una strada in comune con paesi vicini, come Corea del Sud e Giappone, che affrontano una sfida demografica simile.
    Ma avere meno giovani significa anche, in prospettiva, una società meno dinamica e meno in grado di produrre innovazione.
    Dopo aver dimostrato che si possono obbligare i cittadini a non avere figli, la Cina si dovrà, nei prossimi anni, forse confrontare con il limite di non poterli obbligare a fare.
  • 4) L'ENORME IMPATTO DELLA CATENA DI BLOCCHI

    Per chi ancora non lo sapesse, la Blockchain è una tecnologia, salita alla ribalta con la diffusione delle criptovalute, che consente di archiviare in modo sicuro, trasparente e permanente le transazioni o scambi di beni e informazioni, in tempo reale e in maniera assolutamente inalterabile.
    Tutti i dati raccolti sono archiviati in blocchi collegati tra loro gerarchicamente, dando così origine a una catena di blocchi (blockchain appunto) che consente la verifica di tutte le transazioni effettuate.
    A differenza di infrastrutture tradizionali molto spesso lente, costose e poco sicure, la blockchain rappresenta una delle più grandi rivoluzioni digitali dai tempi dell’invenzione di Internet.
    Si stima avrà un impatto enorme sull’economia reale e importanti benefici anche in ottica sostenibilità.
    A tal proposito, recenti stime, ritengono che entro il 2027 fino al 10% del Pil globale potrebbe essere conservato proprio attraverso la blockchain.
    Una sicura opportunità di investimento di lungo periodo pertanto.
    Questa moderna tecnologia ha il potenziale per supportare numerose iniziative sociali da parte delle aziende, rendendo possibili molte pratiche Esg che altrimenti non sarebbero concretamente realizzabili: protezione di dati personali, tracciamento della filiera, prevenzione di falsi e contraffazioni …
    Nel settore del commercio dei diamanti, e in generale dei gioielli, la blockchain può essere ad esempio utilizzata per tracciarne le importazioni e la vendita, in un processo che garantisce autenticità e qualità, riducendone i traffici illeciti e la contraffazione, permettendo inoltre di tracciare i minerali provenienti da zone in conflitto e determinando i benefici sociali integrando nella filiera le società che rispettano i principi dei loro lavoratori.
    Guardando alle imprese, l’utilizzo della blockchain permette da un lato di ridurre i costi operativi ed aumentare l’efficienza dei processi, e dall’altro offre nuove opportunità di fatturato alle aziende che forniscono servizi digitali a terzi.
    Permette infine a nuovi fornitori di accedere alle grandi filiere globali.
  • 5) ACQUISTEREMO ONLINE LA NOSTRA PROSSIMA AUTO?

    Oggi sono sempre di più i consumatori che fanno la spesa, acquistano abiti e mobili, libri e biglietti aerei online da casa propria.
    A breve cambieremo allo stesso modo l’auto.
    Secondo il recente studio Gearshift di Google, già nel 2018 il 58% degli italiani dichiarava di valutare l’acquisto di un’auto online, se possibile.
    Questi consumatori stanno chiedendo al mercato di migliorare la relazione virtuale con le case automobilistiche e le concessionarie, in un modello che rispecchi meglio le abitudini degli utenti sul web.
    Se video e foto ne ottimizzano la scelta, il 51% dei consumatori è pronto ad acquistare l’auto su internet.
    E’ questo il risultato di una recente rilevazione di MotorK realizzata in Italia, Francia, Spagna, Gran Bretagna e Germania.
    Nel 2018 nel nostro paese il 37% degli utenti che ha acquistato un’auto usata l’ha trovata sul web.
    Ma sono in costante aumento anche i casi in cui l’utente sceglie e personalizza un’auto nuova online per poi finalizzarne l’acquisto in concessionaria.
    Concessionarie e case automobilistiche devono quindi farsi trovare pronte.
    Non a caso i grandi marchi stanno sperimentando nuove strade per coinvolgere il cliente online.
    In marzo, ad esempio, Bmw ha lanciato 100 Serie 1 Digital Edition che si potevano ordinare solamente in rete in 100 giorni.
    A fine 2018 Citroen ha sviluppato in Italia un progetto di vendita, sempre online, per una limited edition della sua C5 Aircross.
    In vendita sul web prima ancora di arrivare nei concessionari, l’auto è stata presentata e venduta ai clienti attraverso una piattaforma di e-commerce.
    Persino Porsche ha aperto un canale di vendita digitale in Germania che consente ai clienti di acquistare auto nuove e usate.
    La casa del gruppo Volkswagen sta lanciando la vendita digitale al dettaglio negli Stati Uniti: ha un programma pilota con 25 concessionari, e in questo 2020 il progetto dovrebbe partire anche in Europa.
    Sempre Bmw, attraverso Alphabet, la sua società specializzata nella fornitura di servizi di mobilità, ha stretto un accordo con Banco BPM con il quale, a partire da Gennaio, i clienti della banca potranno noleggiare all’interno delle filiali dell’istituto vetture, veicoli commerciali leggeri e a due ruote.
    Questo servizio sarà in seguito allargato anche sulle piattaforme di internet banking del gruppo.
    La formula del noleggio a lungo termine è passata da una quota di mercato del 6% nel 2010 al 14% nel 2019, e si preannuncia in continua crescita.
  • 6) ADDIO SOUND HARLEY?

    L’elettrificazione nel mondo delle auto è ormai un dato di fatto, ma nel mondo delle moto questo fenomeno (o moda) tarda a prendere forma.
    Ci sono un paio di proposte peraltro molto valide, ma al momento i grandi nomi hanno mostrato solo prototipi e nessuna idea concreta.
    Fa eccezione il brand che più di ogni altro sembra essere in contrasto con questo tipo di motorizzazione, Harley-Davidson, le cui custom sono universalmente riconosciute come sinonimo di ribellione e libertà.
    Eppure la casa di Milwaukee, quotata anche in borsa al NYSE di New York (il titolo prezza oggi a 33,40 dollari per azione), ha caparbiamente perseguito il progetto di una moto elettrica e lo ha fatto partendo da un modello premium, la LiveWire dallo stratosferico prezzo di 34.200 euro, alla quale farà seguito nei prossimi due anni un’intera gamma più accessibile e pensata per un target più ampio.
    Solo il tempo dirà se quello di Harley sarà stato un azzardo o una scelta lungimirante che le darà in futuro un vantaggio competitivo.
    Il motore elettrico “Revelation” è raffreddato a liquido e nominalmente mette a disposizione 105 cavalli.
    Paragonarli però ai valori delle moto normali sarebbe un errore.
    La LiveWire fa da 0 a 100 in 3 secondi, e da 100 a 130 in 1,9 secondi.
    Una naked dal peso di 250 kg con prestazioni da vera sportiva quindi.
    Questa Harley ridefinisce il concetto di guida di una moto: quando si apre il gas (tecnicamente non c’è alcun gas e non si apre alcuna farfalla) non c’è rumore, non ci sono vibrazioni, ma rimane l’incredibile spinta e la velocità immediata.
    In modalità Sport, la più cattiva, la moto balza in avanti così velocemente che sembra lasciarti indietro.
    Certo, manca il sound brevettato delle tipiche Harley, e per molti non sarà questa una mancanza da poco.
    Al suo posto un battito da ferma appena percettibile, e un sibilo obbligatorio per sicurezza.
    La LiveWire non è solo una moto elettrica, ma grazie alla connettività, all’elettronica e alla componentistica di alto livello è già proiettata nel futuro.
    Ha un display touch da 4,3 pollici chiaro e ben personalizzabile, mentre la connessione allo smartphone consente di avere il navigatore e di gestire la ricarica, fungendo anche da antifurto di nuova generazione.
    L’autonomia massima dichiarata è di 235 km con possibilità di ricaricare in appena 40 minuti l’80% delle batterie garantite 5 anni.
    Certo, la gestione di una moto elettrica è da un lato più semplice per la mancanza di benzina, candele e lubrificanti, ma dall’altro l’autonomia limitata impone alcuni ragionamenti.
    Vedremo quindi se questo nuovo lancio da parte di Harley-Davidson contribuirà, tra le altre cose, a rivitalizzare il titolo azionario dell’azienda, decisamente in discesa negli ultimi anni.
  • 7) UNA CAVIGLIA NUOVA STAMPATA IN 3D

    Una caviglia intera ricostruita grazie a una protesi su misura stampata in 3D.
    E’ la prima volta al mondo che questa operazione è potuta succedere, ed è successo in Italia.
    L’impianto è avvenuto il 9 Ottobre scorso all’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, ma l’intervento è stato solamente di recente illustrato in conferenza stampa.
    Un paziente 57enne ha così potuto recuperare la piena possibilità di camminare dopo ben 13 anni dal grave incidente in moto in cui era stato vittima nel 2007.
    Fino a qualche tempo fa l’arto era considerato non operabile a causa della severa alterazione anatomica della caviglia.
    L’equipe medica è stata guidata dal professor Faldini, e la procedura si è svolta in due tempi.
    Qualche settimana prima dell’intervento il paziente ha svolto un esame della caviglia in posizione eretta, grazie al quale un’attenta ricostruzione 3D ha permesso di ricavare un modello tridimensionale della gamba e del piede tramite software e apposite procedure sviluppate.
    L’intervento è stato poi simulato al computer, lavorando su forma e dimensione di ogni diversa componente per andare incontro alle caratteristiche anatomiche specifiche del paziente, fino a trovare la combinazione ottimale di astragalo e tibia, le due ossa che compongono la caviglia.
    La protesi è stata stampata in una lega di cromo-cobalto-molibdeno, grazie ad un fascio di elettroni capace di fondere strato per strato la polvere metallica. 
    Questa notizia, se ce ne fosse il bisogno, ci impone a guardare sempre con ottimismo alle nuove frontiere dell’innovazione in ambito medico.
    La crescita e lo studio continuo ci stanno infatti portando a dei livelli di operazioni, protesi, materiali ed altro, inimmaginabili fino a pochi anni fa.
  • A presto con una 7 Notizie in 7 Minuti Italy Special Edition!
    Buona settimana,
    un caro saluto.

    Davide