Il 53° rapporto Censis, recentemente presentato, ci raffigura sfiduciati, ansiosi e impoveriti.
Gli italiani non credono più neppure in quelli che, fino a pochi anni fa, erano i due pilastri storici della sicurezza familiare: l’acquisto di immobili e gli investimenti nei Btp.
La svalutazione del mattone (dal 2011 ad oggi la ricchezza immobiliare si stima scesa del 12,6% in termini reali), e i rendimenti microscopici dei Buoni del Tesoro con oltre il 61% degli italiani non più disposti ad investire in titoli del debito pubblico,
incentivano erroneamente a mantenere alta la liquidità, cresciuta addirittura del 33,6% nel decennio 2008-2018.
Il nostro sembra essere un paese scoraggiato, senza più fiducia nella politica (il 90% degli intervistati non vorrebbe vedere politici in tv), e con la maggiore preoccupazione rivolta a lavoro e disoccupazione (44%), piuttosto che a immigrazione
(22%), pensioni (12%) o sicurezza (9%).
A crescere è il consumo di ansiolitici (in 3 anni + 23%), la diffidenza verso gli altri (75%) e l’insicurezza anche solo a camminare per le strade cittadine (44%).
Per il 74% degli intervistati, l’economia continuerà ad oscillare tra minicrescita e stagnazione, mentre per l’altro 26% stiamo andando verso una nuova recessione.
A dominare è dunque l’incertezza che deriva anzitutto dall’impoverimento.
Si lavora e si guadagna infatti meno.
E’ vero che rispetto al 2007, nel 2018 si sono registrati 321 mila occupati in più, e questa tendenza si è confermata anche nel 2019.
Ma una lettura attenta dei numeri ci dice che a crescere sono stati i posti di lavoro part-time (+1,2 milioni), mentre sono diminuiti di ben 867mila unità i lavoratori a tempo pieno.
A fornire la controprova del resto è il dato sulle ore lavorate: 2,3 miliardi in meno rispetto al 2007, a cui corrisponde una riduzione di 959mila unità di lavoro.
Il risultato sul fronte retributivo è altrettanto impietoso, con i salari scesi del 3,8%.
Ma il dato probabilmente più allarmante è quello demografico.
Dal 2015, anno di inizio della flessione demografica mai accaduta prima nella nostra storia, si contano 436mila cittadini in meno.
Inevitabile che a fronte di una diminuzione delle nascite cresca il numero degli anziani: nel 1959 gli under 35 erano il 56,3% della popolazione e gli over 64 solamente il 9,1%; tra vent’anni queste due fasce si equivarranno rappresentando ciascuna poco
più del 31% degli italiani.
Ad aggravare questo fenomeno anche la ripresa sempre più forte dell’emigrazione giovanile verso l’estero: in un decennio più di 400mila tra i 18 e i 39 anni hanno abbandonato il Paese, e a questi si sommano i 138mila con meno di 18 anni.
Il declino demografico non è però uniforme.
Rispetto al -0,7% del dato nazionale, nel Sud la perdita di popolazione arriva all’1,3%, contro lo 0,6% del Centro, lo 0,3% del Nord-Ovest e lo 0,1% del Nord-Est.
Su 107 province solo 21 non hanno perso popolazione, e di queste 6 sono in Lombardia e 9 nel Nord-Est. In 4 anni Bologna ha guadagnato 10mila residenti, mentre l’area milanese ha inglobato l’equivalente di una città come Siena (53mila abitanti in più).
Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna sono definite dal Censis come delle “aree di sostegno”, con un tasso di crescita del Pil e dei consumi in linea con le migliori aree d’Europa.
A proposito d’Europa, a parziale sorpresa emerge che gli italiani sono per il 62% contrari sia all’uscita dalla UE, che a un ritorno alla vecchia Lira.
Dati che, del resto, non dovrebbero sorprendere se consideriamo che proprio in Europa si gioca il nostro destino economico, visto il fatto che nella UE esportiamo oltre il 60% delle nostre vendite estere, e che in Europa vivono oltre 2 milioni di italiani
pari al 41% dei 5 milioni residenti all’estero.