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www.davideberto.it2024-11-21
  • Nelle ultime settimane un cliente (grazie Marco!...) mi ha consegnato un articolo tratto dal Corriere che trattava di alcune caratteristiche e abitudini quotidiane di persone diventate ricche nel tempo.
    Non perché anche tu debba per forza diventare ricco, ma mi sembra interessante metterti a conoscenza di alcuni elementi che queste persone hanno dimostrato di avere tra loro in comune.
    Ad esempio, c’è il fatto che leggono tutte moltissimo e costantemente: l’80% di loro dedica almeno 30 minuti al giorno a letture di autoeducazione o automiglioramento.
    Inoltre il 76% svolge quotidianamente attività aerobica per almeno mezz’oretta.
    La metà si sveglia poi presto, almeno 3 ore prima dell’inizio della giornata lavorativa.
    La maggior parte tende a frequentare persone di successoperseguire i propri obiettiviaffidarsi a dei mentoriavere un’indole positiva, tende ancora a non seguire la massa, ad avere delle buone maniere, ad aiutare gli altri ad avere successo, e a dedicare tra un quarto d’ora e mezz’ora al giorno a pensare soltanto (in genere la mattina in solitudine).
    Tutti poi, negli anni addietro, si posero l’obiettivo di risparmiare dal 10 al 20% delle loro entrate prima di diventare ricchi.
    Ma soprattutto, queste persone hanno gestito i propri risparmi con attenzione.
    I futuri milionari, non solo si sono imposti di risparmiare nel tempo, ma hanno messo da parte il loro denaro tenendo in considerazione 4 categorie generali: risparmi destinati alla pensione (lunghissimo periodo), spese specifiche (relative ad esempio all’ambito familiare), spese inaspettate (un fondo di emergenza) e spese cicliche (vacanze, regali …).
    Queste persone sono riuscite a vivere con l’80% (o meno) delle proprie entrate, sono state coerenti e pazienti e non hanno mai ostentato la propria ricchezza.
    Last but not least, hanno usato il tempo a proprio vantaggio.

    Rispondi allora onestamente, ti rivedi in alcune di queste abitudini e caratteristiche?
    Buona lettura!
  • 1) C'ERA UNA VOLTA MA NON C'E' PIU'

    Cosa c'era, 20 - 30 anni fa, di più prestigioso e sicuro del "posto in banca"?
    Tutto è cambiato da allora, l'ultima testimonianza di questo è il taglio di 8.000 posti di lavoro annunciato nei giorni scorsi dal CEO di Unicredit Jean Pierre Mustier.
    8.000 dipendenti in meno, quindi, entro il 2023, di cui 5.500 in Italia, ai quali andranno ad aggiungersi i 500 che usciranno da qui a fine anno in forza di accordi già raggiunti in passato, portando il totale nel nostro Paese a 6.000 bancari in meno, con la chiusura di ben 450 sportelli.
    Ovviamente questi tagli, non poteva essere diversamente, hanno scatenato la reazione furiosa dei sindacati.
    La banca oggi conta in totale 85 mila dipendenti, di questi 38 mila lavorano in Italia.
    L'uscita toccherebbe quindi il 14,5% del totale dei lavoratori italiani nell'arco dei prossimi 4 anni.
    Molti di questi raggiungeranno naturalmente la pensione, altri invece saranno agevolati da scivoli e da aiuti propri della categoria, come il celebre Fondo Esuberi.
    La banca dovrà poi probabilmente fare assunzioni di nuove figure professionali, all'interno di un ambito bancario e finanziario sempre più digitalizzato e innovativo.
    Unicredit negli ultimi anni è passata, a inizio 2017, da un aumento di capitale monstre da 13 miliardi cash.
    Ha ceduto poi Pioneer, Fineco, la polacca Pekao, la turca Yapi, oltre a un importante portafoglio immobiliare e, per ultima, la sua partecipazione in Mediobanca.
    Al di là delle singole partite, quello che appare chiaro in questa discontinuità rispetto al passato è l'interrompersi del racconto di una finanza di relazione che prima ha fatto grande e poi ucciso lo sviluppo del Paese.
    Unicredit si è tirata fuori e ora cerca una nuova dimensione.
    Qualcuno la definisce paneuropea, forse è solo una dimensione più moderna.
  • 2) AUMENTO DI CAPITALE SOTTO L'ALBERO

    Questa news è rivolta soprattutto ai tifosi (e investitori) di fede bianconera.
    Stanno per arrivare infatti le munizioni per il piano di sviluppo quinquennale con vista 2024 per la Juventus.
    Nei giorni scorsi il CDA, presieduto da Andrea Agnelli, ha esercitato per intero la delega per l’aumento di capitale da 300 milioni, attribuita dall’assemblea di fine ottobre.
    Il club spiega di trovarsi in una situazione di "tensione finanziaria" vista la differenza negativa tra crediti e debiti, non rispondendo di capitale circolante sufficiente a far fronte al proprio fabbisogno finanziario complessivo per i prossimi 12 mesi stimato in 148 milioni.
    E’ stato confermato l’importo (per esattezza 299,9 milioni), così come l’impegno dell’azionista di maggioranza Exor (al 63,8%) a sottoscrivere la sua quota di competenza pari a 191,2 milioni.
    Le azioni di nuova emissione saranno offerte in opzione ai soci bianconeri nel rapporto di 8 nuove per ogni 25 possedute, a un prezzo scontato del 29% rispetto ai valori attuali di mercato del titolo Juventus a Piazza Affari.
    Le sottoscrizioni avverranno dal 2 al 18 dicembre.
    Firmato anche il contratto di garanzia con un pool di banche per coprire l’eventuale inoptato (l'invenduto).
    I 300 milioni saranno indirizzati poi a investimenti per il potenziamento della rosa e per lo sviluppo dei ricavi commerciali a livello globale, attraverso il consolidamento dell’equilibrio economico e finanziario del club.

    Nel frattempo, in Inghilterra, il 10% del Manchester City è stato venduto dagli attuali proprietari, per 500 milioni di euro, alla società di private equity statunitense Silver Lake.
    Il valore del club arriva così a 4,8 miliardi di dollari, che ne fanno la squadra di calcio più ricca al mondo.
    Pep Guardiola, allenatore del City, è praticamente seduto su una montagna di denaro, e i suoi giocatori potrebbero fare il bagno nei soldi come Paperone nel suo mitico deposito.
    Il City con questa recente operazione ha superato i Dallas Cowboys, mitica squadra della NFL, e il Real Madrid.
    L'altra squadra di Manchester, lo United in mano ad un proprietario americano, si fermerebbe ad una valutazione di 2,8 miliardi di dollari.
    I parenti poveri di qualche tempo fa, pur avendo perso per 2-1 il derby cittadino di sabato, hanno così doppiato i vecchi dominatori del calcio inglese, e i risultati sportivi da qualche tempo rispettano lo stesso copione.
    "La storia non si compra" dice sempre Guardiola che lamenta una mancanza di abitudine e di tradizione alla Champions League, vero obiettivo della società.
    Ma con 5 miliardi alle spalle, lamentarsi sarà per lui ancora più difficile ... 
  • 3) NEL BLACK FRIDAY DELLE BORSE, QUASI NULLA A SCONTO

    Con questa notizia anche per fare un po’ il punto della situazione sui mercati finanziari in questo splendido 2019.
    Se il 2018 è passato agli annali della finanza come l’annus horribilis, con tutte le principali classi di investimento (azioni, obbligazioni e materie prime) che hanno chiuso simultaneamente in rosso come non accadeva da oltre 20 anni, quando ormai mancano poche sedute di Borsa alla chiusura del 2019, sembra di stare in un altro mondo.
    Da Gennaio infatti le azioni europee sono salite mediamente del 24%, Wall Street poi del 25% segnando nuovi massimi storici.
    In rialzo anche oro (+15%) e petrolio (+25%).
    Il punto da sottolineare è quello che molti piccoli risparmiatori hanno perso gran parte dei guadagni registrati in questo anno straordinario.
    Nel mese di Dicembre 2018 i fondi di investimento in Europa registrarono deflussi vicini ai 60 miliardi.
    Deflussi che continuarono anche nei mesi seguenti, soprattutto dalle soluzioni azionarie.
    Con il senno del poi, possiamo pertanto dire che vendere in preda all’emotività generata dai forti ribassi dei mercati nell’ultimo trimestre del 2018 sia stato un grave errore (un errore doppio per chi ha addirittura venduto con minusvalenze).
    Ed ora è quantomai impegnativo estrarre una previsione sulla validità della strategia di chi ha deciso di entrare solo adesso sui mercati, spinto certamente anche in questo caso dall’emotività e dal desiderio di prendere parte ai rialzi, e ai record, di cui narrano ogni giorno i media, raccontando la cronistoria delle quotazioni finanziarie.
    Quello che certamente si può dire, coadiuvati dal parere degli addetti ai lavori, è che oggi a sconto sui mercati finanziari non c’è praticamente nulla.
    Chi compra adesso dev’essere infatti consapevole che sta pagando la materia prima (azioni, bond …) a prezzi cari.
    Quanto alle azioni, la buona notizia è che i multipli non riflettono una possibile bolla finanziaria.
    Inoltre il dividend yield per la maggior parte degli indici azionari è ben superiore al rendimento delle obbligazioni decennali delle locali amministrazioni, il che riflette la valutazione ancora più costosa delle obbligazioni nominali governative.
    Per un investitore europeo, i rischi maggiori a quanto pare sono proprio sul mercato dei titoli di Stato.
    Nel 2019 i bond dell’Eurozona sono saliti moltissimo (Btp +16%, Bund +8% …), e per strappare un minimo di rendimento il risparmiatore è costretto ad esporsi a durate molto lunghe e, di conseguenza, a caricarsi di rischio. Quanto a Wall Street, il cui andamento è sempre considerato un faro generale per i mercati globali, gli esperti concordano che nella prima fase 2020 potrebbe continuare a macinare record.
    Anche qui, come per le altre Borse, i prezzi non sono in bolla, ma occorre andarci cauti.
  • 4) I BRAND NEL NOSTRO CUORE

    Ferrero supera Ferrari e si riprende la prima posizione tra le marche più amate dagli italiani, in una top ten dominata da altri brand dell’automotive (Bmw al terzo posto, Volkswagen al quarto, Pirelli al sesto e Toyota al decimo).
    Completano la classifica dei best corporate brand Barilla al quinto posto, L’Oreal al settimo, Eni e Lidl all’ottavo e nono.
    Coca Cola è invece prima tra i brand prodotto, seguita da Nutella e Dash, con Mulino Bianco, Findus, Lego, Algida, Rio Mare, Samsung e Nike a completare i primi dieci posti.
    JBL ed Amazon sono invece al top rispettivamente tra i brand più dinamici cresciuti di più, e quelli della sfera digitale, capaci di facilitare la vita quotidiana dei consumatori.
    E’ questa la fotografia scattata da Gfk e Serviceplan nelle graduatorie “Best Brands” che tengono conto sia dei dati economici delle marche, e quindi la loro forza commerciale ed economica, sia anche della componente emotiva della marca, grazie a una ricerca di mercato basata su un campione estremamente rappresentativo della popolazione.
    Un brand che vince nella classifica delle marche azienda è un brand che gestisce bene la trasformazione nella tecnologia, nel rispetto del mondo, dell’ambiente, dei nuovi modelli di vita e di consumo.
    Coca Cola e Nutella, ad esempio, non hanno mai smesso di essere all’avanguardia per innovazione di prodotto e per capacità di fare comunicazione. 
    Testimoni di questo sono anche i nuovi Nutella Biscuits recentemente lanciati nel mercato dall’azienda di Alba. Dash con gli iPods ha inoltre introdotto un nuovo modo di usare il detersivo come fossero delle cialde.
    Findus invece centra sempre i suoi spot pubblicitari sulla pesca sostenibile.
    Essere un grande brand quindi vuol dire anche essere capaci di leggere ed anticipare lo spirito dei tempi, nel cuore delle persone e nei dati economici che ne conseguono.
  • 5) DOVE IL LUSSO E' DI CASA

    Da Louis Vuitton a Christian Dior, da Yves Saint Laurent a Celine.
    Non si contano le grandi maison del lusso che hanno scelto la Riviera del Brenta, tra Padova e venezia, per la propria base calzaturiera.
    Gli ultimi numeri per le due provincie indicano la presenza di ben 553 aziende tra calzaturifici e indotto, e di oltre 10.500 addetti, per una produzione superiore a 20 milioni di paia e per un fatturato complessivo di poco inferiore ai 2,1 miliardi (il 22,3% dell’intero giro d’affari nazionale).
    Il tutto realizzato in un territorio relativamente piccolo e con ormai scarse possibilità di ulteriore espansione, perché è difficile reperire manodopera qualificata e perché non ci sono lavoratori “a spasso”.
    Da qui la sfida sempre più delicata della formazione professionale, che passa sì attraverso l’eccellenza formativa del Politecnico Calzaturiero della Riviera del Brenta, ma anche e soprattutto dalla capacità di attrarre i lavoratori di domani.
    Ce l’abbiamo in Veneto quindi il distretto oggi leader mondiale per la scarpa di lusso!
  • 6) MOBILI PER LA CASA PER IL BUON WARREN

    E’ notizia di qualche settimana fa.
    Warren Buffett, soprannominato l’Oracolo di Omaha per il suo straordinario successo negli investimenti finanziari, ha venduto parte delle sue partecipazioni in Apple e Wells Fargo (una delle 4 più importanti banche degli Stati Uniti), e ha invece investito in RH e in Occidental Petroleum.
    La Berkshire Hathaway, conglomerata controllata da Buffett, ha infatti comunicato alla Sec (ente federale statunitense di vigilanza dei mercati finanziari) di aver venduto durante il terzo trimestre circa 750.000 azioni dell’azienda di Cupertino e oltre 31 milioni di azioni di Wells Fargo (rispettivamente oltre 200 milioni, e 1.674 milioni di dollari).
    Berkshire ha invece acquistato 1,2 milioni di azioni di RH, azienda californiana produttrice di arredamento per abitazioni di lusso (pari circa a 206 milioni di dollari), e 7,5 milioni di titoli del gigante petrolifero Occidental, per un valore di circa 332 milioni.
    Lo scorso Aprile, Buffett si era impegnato a investire addirittura 10 miliardi di dollari nel capitale della stessa Occidental per aiutare l’azienda a finalizzare l’acquisto di Anadarko per 38 miliardi, dandole così un importante vantaggio nella sfida contro Chevron.
    Nonostante la vendita di parte del pacchetto azionario, Apple rimane l’investimento maggiore di Buffett e rappresenta oggi circa il 26% degli asset detenuti dalla sua holding.
    Berkshire possiede infatti il controvalore di 55,7 miliardi di dollari dell’azienda fondata da Steve Jobs.
    Non proprio bruscolini insomma …
  • 7) LE VAPORFLY FANNO STARE SOTTO LE 2 ORE

    Se dopo anni d’immobilismo, negli ultimi 12 mesi sono state stabilite le 5 migliori prestazioni cronometriche della storia della maratona maschile, e frantumato il primato mondiale femminile, un motivo (logico, fisiologico, tecnologico) ci deve pur essere.
    Questo motivo probabilmente è nascosto nel paio di scarpe dalla curiosa forma di banana, in colori che variano dal rosso al rosa al bianco, e del peso di 199 grammi, indossate da tutti gli atleti keniani che hanno corso a cavallo delle due ore o rompendo addirittura quel muro (nel caso del tentativo non ufficiale lo scorso settembre a Vienna di Eilud Kipchoge) che per la maratona sembrava inscalfibile.
    Sulle scarpe Nike Vaporfly nelle versioni 4% o Next, prodotte negli ultimi 3 anni in almeno 4 diverse configurazioni sempre più evolute, sta infuriando una polemica che nello sport non si vedeva dai tempi delle protesi di Oscar Pistorius.
    In realtà, dai tempi di Abebe Bikila (vinse a piedi nudi la maratona olimpica di Roma 1960 per l’impresa più bella della storia del running) al 2016, la scarpa del maratoneta si era evoluta pochissimo.
    Fino al 2016, appunto, anno in cui in Oregon, a Portland dove ha sede Nike, i ricercatori hanno rivoluzionato tutto sfruttando anche un’assenza di regole che in qualunque altro sport farebbe scandalo.
    Per la federazione internazionale di atletica (IAAF) le scarpe semplicemente non devono consentire vantaggi antisportivi a chi le indossa, e devono essere disponibili a tutti in ragionevole quantità sul mercato.
    Con così ampi margini di movimento, Nike ha sostituito la tradizionale gomma della suola con il Peba (Pebax commercialmente, un ammide a blocchi ricavato in parte dall’olio di ricino) che garantisce enorme elasticità.
    Poi ha alzato lo spessore della suola fino a 36 millimetri (una sorta di zeppa), aumentando l’inclinazione in avanti come se le scarpe avessero il tacco, inserendo nell’intersuola una lastrina di carbonio che conferisce al tutto una grande rigidità.
    I prototipi prima, e i modelli in commercio poi, sono stati testati fino a distruggerli da ricercatori indipendenti e dalla concorrenza a caccia di segreti.
    I risultati sono inequivocabili: il risparmio energetico dei modelli “col tacco” arriva al 4% consentendo così un miglioramento dei tempi in maratona, per atleti di altissimo livello, compreso tra i due e i tre minuti e mezzo. Insomma, la differenza tra un maratoneta da podio e un fuoriclasse della disciplina.
    La suola in pratica restituisce l’87% dell’energia che il piede rilascia sull’asfalto, rispetto al “solo” 65% dei migliori modelli della concorrenza, aumentandone le prestazioni.
    Nike è depositaria unica del brevetto che concede solo ai suoi atleti di punta, non a caso divoratori di vittorie e primati mondiali.
    E poi ovviamente a chi, libero da sponsorizzazioni, compra le scarpe in negozio dove però non si trovano i modelli più recenti.
    Proprio grazie alla rottura del muro delle due ore, Kipchoge è stato curiosamente premiato dalla federazione mondiale a Montecarlo come atleta dell’anno, pur avendo stabilito il record a Vienna in una corsa non omologata, senza avversari e con 35 lepri e un puntatore laser a dettargli il ritmo.
    Un’impresa che però non sarebbe stata tale senza le Vaporfly ai piedi.
    Secondo alcuni ricercatori in ambito biomeccanico, una scarpa non è più “fisiologica” quando la suola ha uno spessore superiore ai tre centimetri, e nel momento in cui all’interno del battistrada viene inserito un elemento in metallo.
    La risposta del piede al contatto sull’asfalto, in questo modo, esulerebbe dalla naturalezza del passo umano.
    La questione ha ovvie ricadute di marketing su vasta scala.
    Con tutto questo, non certo per darti un consiglio di investimento, Nike è azienda quotata al NYSE di New York, e il suo titolo azionario è ai massimi di sempre a quota 97,20 dollari.
  • Buona settimana di avvicinamento alle festività natalizie!
    Un caro saluto.

    Davide