Lo stato di salute della PREVIDENZA INTEGRATIVA oggi in Italia
Sono ormai passati più di 25 anni dal lancio dei Fondi Pensione in Italia, e la fotografia è quella di un mondo rovesciato dove chi è prossimo alla pensione investe in previdenza, e chi invece è più giovane lo fa con parsimonia.
L’obiettivo di questi prodotti è quello di coprire quel gap che la previdenza pubblica non sarà più in grado di garantire in seguito alle forti pressioni economiche e demografiche, ancora clamorosamente presenti e, se possibile, ancor più aggravate dalle
scelte degli ultimi anni.
E’ ora, pertanto, di fare un primo bilancio di questo importante pilastro complementare, che sempre più avrà un ruolo cruciale per le pensioni degli iscritti.
Le somme accumulate infatti, grazie a una buona e prudente gestione, e grazie anche agli importanti vantaggi fiscali riconosciuti, saranno una significativa fonte di integrazione delle future rendite pubbliche.
. ETA’ DEGLI ISCRITTI
Dopo molti anni, il numero delle adesioni ai Fondi Pensione resta ancora piuttosto limitato.
Alla fine del 2021 gli iscritti si attestavano a 8,8 milioni, pari a poco più del 30% dei potenziali aderenti.
Di questi, ben 2,4 milioni (il 27%) non ha effettuato versamenti nel corso del 2021.
Oltre un milione di soggetti non versa da almeno 5 anni.
Di questi 8,8 milioni di aderenti, solamente il 17,8% ha meno di 35 anni, mentre il 50,3% appartiene alla fascia centrale di età (35-54 anni), e il 31,9% ha almeno 55 anni.
Dal 2017 al 2021, peraltro, la percentuale della classe più giovane ha registrato una crescita molto modesta (+0,4%), mentre si è assistito a un progressivo spostamento dalle classi di età centrali a favore di quelle più anziane, pari circa al 6%.
Per tutto questo, l’età media degli iscritti negli ultimi 5 anni è aumentata da 45,9 a 47 anni.
Un paradosso, quello della scarsa adesione da parte dei più giovani ai Fondi Pensione, sicuramente da ricercarsi nella minor disponibilità economica in giovane età.
Disponibilità considerata troppo modesta per immaginare di destinare anche solo una piccola parte al risparmio previdenziale, visto forse anche come un obiettivo troppo lontano nel tempo.
. GENERE E PROFESSIONE DELL’ADERENTE TIPO
Per quanto riguarda invece il genere, gli iscritti di sesso maschile rappresentano il 62% del totale degli aderenti, e le donne, mediamente caratterizzate da carriere più discontinue, il restante 38%.
Negli ultimi 5 anni la componente femminile è aumentata solamente dello 0,5%.
Una proporzione che si mantiene piuttosto simile nelle varie fasce di età.
La contribuzione delle donne è inoltre mediamente inferiore, circa del 20%, a quella degli uomini.
Sarebbero soprattutto i lavoratori autonomi, con circa il 24% di aliquota contributiva, ad aver bisogno, un domani, di previdenza integrativa.
I dati mostrano però che 6,3 milioni di iscritti sono lavoratori dipendenti, mentre i lavoratori autonomi sono solamente 1,15 milioni.
I restanti 1,3 milioni sono i cosiddetti “altri iscritti”, ovvero soggetti diversi dai lavoratori, quali soggetti fiscalmente a carico, coloro che hanno perso i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica per perdita o cambio di lavoro, ovvero
per pensionamento obbligatorio, e, soprattutto, altri soggetti non classificati per i quali la forma pensionistica non dispone di informazioni aggiornate sulla situazione occupazionale.
Osservando, infine, la residenza, la maggior parte degli iscritti (il 57% del totale) è situata nelle regioni del Nord, dove le contribuzioni medie sono generalmente più elevate e al di sopra della media nazionale.
. LE SCELTE DI INVESTIMENTO
Di certo, i lavoratori dovrebbero essere molto più attenti quando operano
le loro scelte in materia previdenziale.
Indipendentemente dall’età anagrafica, si osserva la netta prevalenza dei comparti caratterizzati da una quota azionaria bassa o addirittura nulla e, di conseguenza, da un più basso profilo di rischio/rendimento.
Le linee di investimento garantite si confermano le preminenti, con il 39,5% degli iscritti.
Le linee obbligazionarie concentrano un ulteriore 13%, nelle bilanciate si colloca il 39% degli iscritti, mentre il più esiguo 8,5% riguarda il peso delle linee azionarie.
Tale quota azionaria è da considerarsi spesso assolutamente subottimale, se paragonata alla lunghezza dell’orizzonte temporale mancante al pensionamento.
Bisognerebbe partire infatti con un maggior peso azionario nei primi anni della carriera lavorativa, per poi gradualmente ridurlo, o addirittura annullarlo in prossimità dell’età di pensionamento.
A maggior ragione ora, con un debito pubblico che si aggira intorno al 160% del prodotto interno lordo, la previdenza pubblica così com’era in passato non tornerà più.
Ancora tanta strada dev’essere allora percorsa in termini di consapevolezza della reale situazione, e in termini di concrete azioni per sopperire, in tempo utile, alle sempre più ampie carenze del welfare pubblico.
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